Oggi Giorgia Meloni sarà a Bruxelles per una serie di incontri informali con i vertici delle istituzioni europee. Proverà a capire da Ursula Von Der Leyen, Charles Michel e Roberta Metsola, fin dove il proprio governo potrà spingersi negli aiuti contro il caro bollette, senza entrare in conflitto con l’Europa e i mercati.
Da questi colloqui probabilmente dipenderanno le risorse disponibili per questi ultimi mesi del 2022 ed il livello di deficit/Pil programmatico per il 2023. A scanso di equivoci, dalla Germania il ministro delle Finanze Christian Lindner – da cui proprio ieri si è recato il suo omologo Giancarlo Giorgetti – ha affidato al Financial Times l’elenco di ciò che si potrà fare e ciò che non si potrà fare.
Con le sue parole, Lindner ha chiuso tutte le vie d’uscita a favore di una politica di bilancio più espansiva del governo di Giorgia Meloni, pur senza mai citarlo. Da un lato ha stroncato la possibilità di emettere debito comune, sul modello dello strumento Sure o Next Generation Ue, dall’altro ha bocciato presunti patti bilaterali tra governo e Commissione per il rientro del debito, come prevedono le ipotesi più accreditate di riforma del Patto di Stabilità.
Quindi, che sia debito con la Ue o debito con gli investitori sui mercati, la Germania non è d’accordo. L’elemento di novità risiede nelle motivazioni portate da Lindner a sostegno della propria arcinota tesi. Infatti il tedesco mette in discussione il ruolo della Ue come emittente di titoli, osservando che la “convenienza del debito Ue rispetto all’emissione del debito nazionale non esiste più” e ribadendo che “il debito Ue per il Next Generation EU è stato un evento una tantum e che non si dovrebbe guardare all’emissione di debito comune, ogniqualvolta ci siano da finanziare investimenti”.
Il tedesco – dati alla mano – coglie nel segno, soprattutto alla luce delle ultime evoluzioni del mercato delle obbligazioni governative. La Ue, pur avendo un rating tripla A, è un emittente in concorrenza con gli altri e – anche godendo della garanzia aggiuntiva dello 0,6% del PIL di ciascuno Stato membro – può trovarsi di fronte ad investitori che richiedono rendimenti crescenti.
Quando, a giugno-luglio 2021, la Commissione cominciò le prime emissioni di debito per poter erogare l’anticipo del 13% sull’erogazione complessiva di sussidi e prestiti, il maggior rendimento rispetto al Bund decennale tedesco si misurò in circa 30 punti base. Addirittura anche qualche punto in meno rispetto all’analogo bond francese. Insomma, la convenienza del debito Ue rispetto alle emissioni nazionali c’era per tutti i Paesi, eccetto la Germania. Ad ottobre 2022 tutto ciò non è più vero. Sulla scadenza decennale, lo spread tra Bond Eu e Bund è arrivato a circa 80 punti ed oggi anche gli analoghi titoli francesi e belgi possono vantare un rendimento inferiore per circa 30 punti base. Perfino Spagna e Portogallo presentano rendimenti solo marginalmente superiori ai titoli emessi da Bruxelles. L’unico Paese rimasto con un differenziale significativo è l’Italia, il cui decennale ieri mostrava uno spread di circa 130 punti (4,2% contro 2,9%) con il bond Ue. Insomma Lindner usando il criterio della convenienza, “ha dimenticato” che saremmo proprio noi i maggiori (ipotetici) beneficiari.
Tornando al confronto con l’estate 2021, quando lo spread Btp-Bund era intorno a 110 punti, la Commissione piazzò il primo decennale al tasso del 0,09%, circa 70 punti base in meno rispetto all’analogo Btp. In questi giorni lo spread Btp-Bund è passato a 210 punti e ci saremmo aspettati che il titolo Ue avesse seguito il “virtuoso” titolo tedesco, facendo segnare anch’esso un pari aumento dello spread verso il Btp.
Invece il bond UE è diventato relativamente più caro rispetto al Bund, e lo spread col Btp è aumentato di soli circa 50 punti, arrivando intorno a 120 punti. È evidente che la convenienza dell’Italia esiste sempre, anzi in assoluto è aumentata, ma nelle mutate condizioni dei mercati avrebbe dovuto essere più ampia ed attestarsi almeno intorno a 170 punti. È infatti accaduto che il bond UE ha perso terreno verso il decennale tedesco, il titolo guida del mercato europeo, ed è proprio a questa relativamente scarsa performance che si riferisce Lindner. Sulle scadenze tra sei mesi e due anni, il vantaggio del bond UE rispetto alle nostre emissioni si riduce a circa 25 punti ed a cinque anni è pari a 90 punti.
Tuttavia questi confronti sono disomogenei. Come si fa a confrontare i tassi di due strumenti così diversi? Le condizioni gravose (anche macroeconomiche) poste dal NextGenEu, lo status di creditore privilegiato di fatto da parte della UE, la garanzia dei bilanci statali pro-quota, l’enorme apparato burocratico (accordi operativi, rendiconti, controlli, cabina di regia, servizio centrale per il Pnrr, segreteria tecnica, ecc…), hanno un costo? Siamo sicuri che è inferiore ai 120 punti base che ci fa risparmiare il prestito Ue? La Commissione ci ha messo 15 mesi per emettere 237 miliardi di titoli con scadenza tra 3 mesi e 30 anni, con un tasso medio del 1,24% sui titoli con scadenza oltre i 3 anni e -0,55% su quelli a breve. Al nostro Tesoro, per emettere 268 miliardi sono bastati gli ultimi 7 mesi. Inoltre, non sappiamo i tassi che la Ue sta applicando ai Paesi debitori.
Tutto ciò sembra un vano arrovellarsi, quando si osserva che le emissioni nette di titoli del Tesoro dal 2015 al settembre 2022 sono state pari a 471 miliardi e nello stesso periodo la Bce ha eseguito acquisti netti degli stessi titoli per ben 731 miliardi, che sono tuttora in portafoglio. In 7 anni su 8, gli acquisti netti della Bce hanno sempre largamente ecceduto le emissioni nette del Tesoro. In altre parole, tutti gli altri detentori di titoli italiani hanno diminuito le loro consistenze nette di titoli, perché c’era di fatto un unico compratore. Il 2019 è stato l’unico anno in cui la Bce è stata assente e, per coincidenza, abbiamo avuto fino ad agosto un governo non propriamente allineato.
Allora la Bce si assuma le proprie responsabilità e faccia ciò che ha già fatto quando i problemi da risolvere erano indipendenti dalla nostra volontà. A maggior ragione, intervenga ora che ci sono da finanziare i costi di una guerra economica voluta dalle istituzioni Ue.
Lindner ha messo il dito nella piaga, evidenziando che i mercati non guardano in faccia a nessuno quando si tratta si allargare gli spread.
La conclusione è che i prestiti europei, invocati da mesi come la panacea per tutti i mali, possono per il momento riempire due cassetti: quello degli obiettivi mancati dal precedente governo e quello degli strumenti indisponibili per l’attuale governo.
(Articolo pubblicato sul quotidiano La Verità)