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La liquidità del quantitative easing è scomparsa?

Dopo due anni di quantitative easing di straordinaria grandezza, le banche centrali stanno restringendo i propri bilanci. Ecco perché. L’analisi di Mario Lettieri, già sottosegretario all’Economia, e Paolo Raimondi, economista.

Mentre la Fed continua a innalzare il tasso d’interesse, molti economisti sollevano forti dubbi sulla sua capacità di normalizzare la politica monetaria e di influenzare positivamente i processi economici. Ciò vale per le altre banche centrali.

Dopo due anni di allentamento quantitativo (QE) di straordinaria grandezza, le banche centrali stanno restringendo i propri bilanci. Esse avevano acquistato asset back security (abs) e titoli di Stato in possesso delle banche private, emettendo riserve liquide in cambio. La liquidità creata, però, è svanita nel giro di pochi mesi.

Perché il rapido rientro dal QE ha prodotto questo risultato? La risposta è semplice: il sistema finanziario è diventato dipendente dalla liquidità facile.

Quando la banca centrale espande il proprio bilancio, il settore bancario, che deve detenere le riserve emesse dalla banca centrale per gli acquisti di asset, in genere le finanzia con depositi a vista, cioè più esigibili.

Le riserve offerte dalle banche centrali si ritengono le più sicure ma offrono rendimenti bassi. Perciò, sulla base della liquidità acquisita, le banche hanno creato altri flussi di entrate offrendo maggiori crediti. Ciò assume generalmente la forma di limiti più elevati per le carte di credito per le famiglie e linee di credito più ampie alle imprese, ai fondi d’investimento e alle società non finanziarie.

La maggiore detenzione di riserve offre alle banche la sicurezza di poter rispondere prontamente a eventuali richieste di prelievo. Le banche, però, hanno anche aumentato le operazioni più lucrative nei rapporti broker-dealer, cioè quelle che promettono di aiutare gli operatori-speculatori offrendo della liquidità per soddisfare eventuali richieste di margine, i margin call, quando si devono dare garanzie aggiuntive in contanti per coprire delle perdite sopravvenute.

Gli speculatori non sono solo gli hedge fund, ma anche i fondi pensione che, per compensare i bassi rendimenti delle obbligazioni pubbliche, hanno aumentato il profilo di rischio delle loro attività, assumendo una maggiore leva finanziaria e sottoscrivendo dei derivati per una copertura del rischio sugli interessi.

L’aumento dei tassi ha generato richieste di margini sulle posizioni in derivati.

In parole semplici, la liquidità ottenuta dalla Fed è stata “impegnata” in operazioni finanziarie a più alto rischio. Di conseguenza, le banche sono molto più esposte a qualsiasi incidente nel sistema finanziario, non avendo capacità di “tappare” eventuali buchi rilevanti. Lo stress di liquidità deriva dalla relazione asimmetrica tra lo stock di crediti concessi e quello delle riserve di liquidità. Anche il comportamento delle banche è asimmetrico rispetto a quello della Fed, più precisamente perché non riducono i crediti concessi quando la quantità delle riserve si riduce.

Questo è avvenuto recentemente in Gran Bretagna, quando il “mini budget” proposto dall’ex premier Liz Truss ha fatto emergere lo spettro dell’insostenibilità del debito sovrano, provocando un immediato aumento dei tassi di interesse delle obbligazioni statali di lungo termine.

Riconoscendo l’importanza sistemica del mercato dei titoli di Stato, la Banca d’Inghilterra è subito intervenuta sospendendo il programma di vendita di parte dei titoli in suo possesso, annunciando allo stesso tempo di voler riprendere ad acquistare i bond di Stato come nei passati mesi di QE.

Il malfunzionamento del mercato dei titoli di Stato in un’economia sviluppata è un segnale di una potenziale instabilità finanziaria.

Uno studio presentato da un gruppo di economisti americani all’incontro di Jackson Hole, rileva che, nel caso degli Stati Uniti, il rientro dal QE ha reso le condizioni molto difficili. E’ provato che, quando la Fed vuole riprendere le riserve emesse, il settore finanziario non riduce rapidamente i crediti concessi sulla base della liquidità generata. Questo rende il sistema vulnerabile agli shock o semplicemente a un qualche incidente. Era già successo a settembre 2019 e la Fed aveva ripreso le sue iniezioni di liquidità.

In altre parole, maggiori sono le dimensioni e la durata del QE, maggiore è la liquidità cui i mercati finanziari si abituano. Di conseguenza, per le banche centrali sarà più difficile normalizzare i propri bilanci. Gli shock finanziari non rispettano i tempi delle banche centrali e potrebbero costringerle a nuovi interventi di sostegno.

I responsabili delle politiche monetarie si trovano quindi in una posizione molto difficile: aumentare i tassi per ridurre l’inflazione e contemporaneamente fornire liquidità per stabilizzare i mercati dei titoli di Stato. E’ un processo infernale dal quale non si può uscire con gli strumenti tradizionali.

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