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Quale sarà il lubrificante per far ripartire il motore delle economie mondiali?

A cosa servono i soldi quando non c’è niente che si voglia — o che si possa — comprare? La Nota diplomatica di James Hansen

In un senso molto reale, ma forse non facilmente afferrabile, tutte le valute che utilizziamo sono “virtuali”. In sé, non hanno valore. Valgono solo ciò che possono comprare. Siamo però abituati a pensarla al rovescio. Così, a luglio del 2008, in un evento in qualche modo “propedeutico” al crac di quell’anno, il prezzo del petrolio è schizzato in poco tempo al valore incredibile, mai più toccato, di $147 al barile per poi scendere del 80% nei mesi immediatamente seguenti.

È sembrato cioè che il petrolio improvvisamente valesse molto di più. Invece, una possibile interpretazione di quel fatto è che il dollaro e le monete collegate per un po’ valessero molto di meno. Il punto è che, in fondo e da tempo, l’unità di conto che “conta” è il barile, non tanto la valuta, che pare sempre di più una sorta “artifizio contabile”.

Ora, d’un tratto, il prezzo al barile del petrolio è sceso da un picco recente di $66 dollari a circa $30 a causa dei riflessi economici della crisi coronavirus e per via di una sorta di guerra commerciale in corso tra i russi e l’Opec.

Analisti seri temono un possibile ulteriore crollo a $10 al barile (greggio Brent, Energy Aspects) e a $5 (greggio WTI, Citigroup). Mizuho Securities parla perfino di possibili valori negativi… Se accettiamo che la base del “vero” valore sia il petrolio in sé, può mai essere che il dollaro e le altre valute ora valgano molto di più? Dopotutto, acquisterebbero di più. Sfortunatamente no.

Quello che invece succede è che il giocattolo economico che ha retto il mondo sviluppato dalla fine della Seconda Guerra Mondiale sta scricchiolando in una maniera allarmante. Il prezzo del petrolio scende perché non lo si vuole comprare, ormai il suo prezzo è sostanzialmente indifferente. Già si scambia — nei limiti in cui esista ancora un mercato — a valori vicini al semplice costo d’estrazione e di trasporto.

È illuminante quello che sta succedendo nel mercato chiave del carburante per gli aviogetti. Visto che praticamente non ha più compratori, il “jet fuel” si sta stoccando sulle petroliere inutilizzate. L’uso delle navi come serbatoi galleggianti è un comune mezzo per assorbire temporaneamente eccessi di produzione del greggio, ma non del carburante per gli aerei, molto sensibile alla contaminazione e soggetto a un veloce deterioramento che lo rende inutilizzabile.

Lo si “stocca” perché è registrato in contabilità e non può essere semplicemente buttato via, anche se non ha mercato. Quanto al denaro, l’altra parte dell’equazione, se non può “esprimere un valore” comprando qualcosa, è semplicemente l’elemento di fondo della contabilità.

Al momento, la totalità delle ipotesi su come rimettere in moto le economie mondiali ha a che fare con le iniezioni di liquidità nel sistema, di tanti soldi — non importa il loro valore — per “resettare” la contabilità delle aziende e dei privati. Il problema è che i libri contabili non sono in sé un valore, sono solo un’idea, una “concettualizzazione” che si sta rivelando progressivamente più fragile. I soldi virtuali che rappresentano sono il lubrificante degli ingranaggi economici, una convenzione culturale — la “finanziarizzazione” dell’economia — che ha funzionato bene e a lungo, ma che davanti ad eventi epocali come l’attuale epidemia sta repentinamente mostrando la corda.

Quando gli ingranaggi non girano più, cosa c’è da lubrificare?

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