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Sud Zes

Qual è lo stato dell’industria nel Mezzogiorno?

Che cosa emergerà dal primo rapporto sulle attività manifatturiere nell’Italia del Sud che sarà presentato il 22 luglio. L'intervento di Federico Pirro, docente di Storia dell’Industria e presidente onorario e coordinatore scientifico del CESDIM - Centro Studi e documentazione sull’industria nel Mezzogiorno istituito presso l’Università degli Studi di Bari

 

Pur in una situazione economica oltremodo complessa come quella che stiamo attraversando, forse è giunto il momento di fare chiarezza sull’apparato industriale localizzato nell’Italia del Sud, un’area del Paese che sarebbe debole sotto il profilo industriale, o addirittura alle soglie della desertificazione manifatturiera, come affermano alcuni centri di ricerca. Nulla in realtà è più lontano dalla realtà ed infatti – per smentire questa tuttora diffusa opinione – il 22 luglio nell’Aula Magna dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro sarà presentato il primo rapporto sulle attività manifatturiere nell’Italia del Sud, un ampio studio curato dalla SRM, società di ricerca sul Mezzogiorno del Gruppo Intesa Sanpaolo e dal CESDIM-Centro Studi e documentazione sull’industria nel Mezzogiorno istituito presso l’Ateneo barese.

Il lavoro ha compiuto una ricognizione in profondità nelle otto regioni del Sud delle aziende di tutte le branche manifatturiere, allargando poi l’analisi anche ad imprese che, pur non essendo classificabili come manifatturiere in senso stretto, per la tipologia delle lavorazioni che vi si svolgono, possono assimilarsi ad esse: ci si riferisce in particolare alle OP-Organizzazioni di produttori agricoli che dispongono di grandi stabilimenti di trattamento di ortofrutta con impiego di macchinari e linee operative molto avanzate, e alle imprese spesso di medie e grandi dimensioni operanti nel ciclo integrato dei rifiuti.

Sono state censite così piccole, medie e grandi aziende presenti nelle varie province e Città metropolitane dell’Italia meridionale, riportandone i fatturati o i valori delle produzioni (quando questi ultimi siano risultati noti) nel 2020, ultimi dati disponibili.

Si è cercato in tal modo di superare l’impostazione di alcune banche dati come ad esempio l’Asia — Archivio statistico delle aziende attive dell’Istat che le riporta, ma solo per classi di fatturato — ovvero da 1 a 9 milioni, da 10 a 49 e così via – e numero degli addetti anch’essi ripartiti per soglie numeriche: classificazioni che impediscono tuttavia di conoscere il fatturato specifico, o il numero reale degli occupati delle singole aziende che, invece, è possibile attingere da varie centrali di bilanci come quelle di Cerved, Report Aziende, Tutto dati, Unioncamere, o riportati in volumi pubblicati con cadenza annuale, come ad esempio quello di Mediobanca dal titolo Le principali società italiane.

Ne è emerso un panorama per molti aspetti inedito e poco conosciuto di tanti cluster aziendali diffusi, sia pure con diversa densità insediativa, in tutte le regioni più industrializzate come Campania, Puglia, Sicilia e Abruzzo, ma anche in quelle ritenute meno sviluppate come Molise, Basilicata, Calabria e Sardegna.

Certo, l’Industria nell’Italia meridionale non ha le dimensioni di quella del Nord e tuttavia è saldamente integrata all’apparato di produzione manifatturiera nazionale, grazie alla presenza di centinaia di stabilimenti facenti capo a big player italiani ed esteri, cui si affiancano nuclei oltremodo diffusi di Pmi di imprenditori locali fra le quali sono venute crescendo e si sono rafforzate nel corso degli anni alcune società che hanno poi superato anche il miliardo di fatturato.

Insomma, dalla vastissima ricognizione compiuta nello studio emerge il profilo di un assetto industriale localizzato nel Sud settorialmente molto articolato, dinamico, tecnologicamente avanzato – grazie soprattutto ai sistemi di incentivazione nazionali e regionali e ai loro progressivi affinamenti – in larga misura export-oriented e pertanto ben lontano dal potersi ritenere alle soglie della desertificazione che, invece, viene paventata spesso come imminente dalla Svimez.

I maggiori stabilimenti nei comparti capital intensive di siderurgia, petrolchimica, chimica di base, automotive, aerospazio, cantieristica navale, meccanica pesante e Ict — che da anni alimentano robuste supply chain, vicine alle fabbriche maggiori, o addensate invece in filiere molto lunghe e distanti territorialmente dai siti di committenza — si sono insediati fra la fine degli anni ‘50 e il primo quinquennio degli anni Duemila, lungo un decorso storico che ha conosciuto fasi di accelerazione insediativa — come ad esempio quella fra il 1959 e il 1975 — e periodi anche prolungati di rallentamento degli investimenti.

Ma valutando con ottiche di lungo periodo il processo di industrializzazione del Mezzogiorno dall’inizio degli anni Cinquanta del secolo scorso ai giorni nostri è indubbio che le varie fasi che lo hanno scandito hanno comunque contribuito a inserirlo nelle dinamiche dell’apparato manifatturiero nazionale, a sua volta integrato in quello industriale dell’Unione europea.

Nell’ampio scenario delineato nella ricerca l’apparato industriale della Città Metropolitana di Bari emerge con tutta la sua forza competitiva, cui l’Università degli Studi Aldo Moro sta contribuendo da anni con le sue sempre più ampie attività di ricerca avanzata ed applicata, con la formazione di risorse umane impiegabili nelle aziende grazie anche all’attivazione di nuovi corsi di laurea, e con la terza missione che vede impegnato quotidianamente l’Ateneo in un inteso e proficuo dialogo con il territorio, le sue aziende e le sue istituzioni.

La ricerca dunque si propone all’attenzione dei lettori come un contributo analitico profondamente innovativo nel metodo e nei contenuti e delinea un quadro dell’industria nel Meridione molto ampio e dettagliato, utile — crediamo — per studi ulteriori e più approfonditi.

 

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