È stato convertito in legge dal Senato questo pomeriggio, con una larga maggioranza, il D.L. 142 del 16 dicembre 2019, relativo all’intervento dello Stato (attraverso la sua agenzia per gli investimenti Invitalia e la controllata Mcc-Banca del Mezzogiorno) nella futura ricapitalizzazione della Banca Popolare di Bari (nonostante la banca barese non sia mai nominata nel testo del decreto).
Il dibattito in aula al Senato e le dichiarazioni di voto sono stata l’occasione per una riflessione più ad ampio raggio sui danni relativi a vicende del passato e su minacce purtroppo ancora incombenti sul sistema bancario italiano.
Tra i numerosi interventi, da segnalare quello del senatore Alberto Bagnai che ha evidenziato alcune perplessità sulla reale capacità risolutiva di tale decreto nella vicenda della crisi della Banca Popolare di Bari.
Due gli aspetti da sottolineare:
Da un lato, l’emergere, dagli atti dell’inchiesta, di episodi di mala gestio – pressione sui sindacati, perizie che sconsigliavano l’acquisizione di Tercas nascoste agli organi interni, ingerenza degli Jacobini in processi gestionali estranei alle loro competenze – che proiettano una cattiva luce sull’operato della Vigilanza di Bankitalia. È un rimbalzo automatico: ad ogni episodio rivelato, monta sempre più l’onda delle domande e dei dubbi sull’operato dell’organo di Vigilanza.
Dall’altro lato, Bagnai è tornato sulla evidente contraddizione, di cui si è scritto diffusamente su Start qualche giorno fa, tra pomposi obiettivi “(sviluppo di attività finanziarie e di investimento, anche a sostegno delle imprese e dell’occupazione, nel Mezzogiorno, da realizzarsi con operazioni finanziarie, anche mediante il ricorso all’acquisizione di partecipazioni al capitale di banche e società finanziarie”) e cruda realtà costituita dalla presenza di “logiche, criteri e condizioni di mercato”.
Come spiegato nel dettaglio, il rispetto di condizioni di mercato comporta con ogni probabilità una drastica cura dimagrante per il perimetro di attività e per il personale della banca. Altrimenti la scure della DG Concorrenza di Bruxelles cadrà inesorabilmente, chiedendo il preventivo sacrificio dei creditori (quelli non protetti) della banca. Ma davvero si crede possibile “sostenere le imprese e l’occupazione” e, al contempo, soddisfare gli obiettivi di un piano industriale che devono essere necessariamente sfidanti ed in linea con quelli che avrebbe posto e richiesto un operatore privato? Ma se si chiede allo Stato di operare come un privato, allora a cosa serve più lo Stato?
In attesa che il piano industriale, che costituirà base per la decisione dell’investimento di Mcc nella Banca Popolare di Bari, sia pronto, ad oggi ci sono i seguenti punti fermi che però non lasciano ancora intravedere quale sarà la casella di arrivo della vicenda.
Le perdite e gli accantonamenti (soprattutto a causa del prevedibile ingente contenzioso con i soci a cui sono state vendute azioni, senza avere piena consapevolezza del rischio) potrebbero assorbire sia i 442 milioni di patrimonio netto al 30/6/2019 e sia una buona parte dell’intervento di 700 milioni del Fitd deliberato a fine dicembre. Quanto residuerà di quei 700 milioni, affinché il Fitd possa utilizzarli per l’aumento di capitale, sarà noto solo al termine della due diligence a fine marzo. Si parla di non più di 200/300 milioni, che si aggiungeranno agli altri 700 milioni di capitale che saranno versati da Mcc solo a banca ripulita e a fronte di un sostenibile piano industriale che rispetti le famose “condizioni di mercato” poste dalla Vestager.
Come si vede, la strada è ancora lunga e tortuosa.