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Polonia, tutte le sfide economiche del rieletto presidente Duda

Mentre una parte dell'opinione pubblica liberale teme che il secondo mandato di Duda sarà segnato dal completamento dell'occupazione istituzionale da parte del Pis, c'è chi ritiene che il paese continuerà ad attirare gli investimenti degli altri paesi europei. L'approfondimento di Pierluigi Mennitti

Come sempre in Polonia gli scrutini elettorali si protraggono per ore, secondo una tradizione più italiana che mitteleuropea. Ma i sondaggi ormai funzionano bene, i primi exit poll avevano in nottata confermato le previsioni della vigilia e alla fine la Commissione centrale elettorale, pur in maniera ancora non ufficiale, ha fornito il verdetto. Il ballottaggio per eleggere il nuovo presidente è stato una corsa testa a testa tra l’attuale titolare dei nazional-conservatori Andrzej Duda e lo sfidante liberal-conservatore Rafael Trzaskowski, con il primo che ha prevalso sul secondo per appena 2 punti percentuali: 51 a 49. Affluenza incredibilmente elevata per la Polonia, 68%, la seconda più alta dal 1989.

Il Pis (Diritto e Giustizia), al governo ormai da cinque anni, dopo aver perduto la maggioranza del Senato (la camera meno importante) ce l’ha fatta a mantenere la presidenza della Repubblica, posizione non solo simbolica nell’architettura istituzionale polacca. Il presidente, infatti, può opporre il veto alle decisioni parlamentari, superabile solo da un successivo voto dei due terzi del Sejm, la camera bassa. Avesse vinto il candidato della Piattaforma civica (Po), il partito di Trzaskowski, si sarebbe aperta una turbolenta fase di coabitazione tra le due forze alternative del paese.

Il dato elettorale è tuttavia significativo e segnala una corrosione del consenso al partito di governo. Più delle ormai consolidate spaccature geografiche e sociali polacche (campagna contro città, giovani contro anziani, ovest contro est) che in fondo ricalcano analoghe fratture in tanti paesi europei, compresi quelli occidentali, è la ripresa di credibilità dell’opposizione e l’emersione di un potenziale nuovo leader l’elemento nuovo di questa competizione. Elemento maturato peraltro in poche settimane, da quando all’indomani dello slittamento (causa coronavirus) della data elettorale prevista per il 10 maggio, il Po decise di cambiare candidato e puntare sul sindaco di Varsavia. In meno di due mesi Rafael Trzaskowski è riuscito a rianimare l’elettorato borghese e urbano di Piattaforma civica e, conquistata l’opportunità di giocarsi tutto al ballottaggio, è stato capace di trascinare con sé l’intera opposizione, cattolici moderati, liberali, finanche quella fascia progressista che da anni non si riconosce nei partiti della sinistra quasi scomparsi dalla scena politica.

Il ballotaggio secco (come quello appena svoltosi per il secondo turno presidenziale) favorisce tali aggregazioni, che naturalmente non saranno ripetibili in un’elezione parlamentare dove ogni partito corre per sé, ma il voto di ieri segnala una ritrovata capacità di Piattaforma civica di aggregare consensi tra gli elettori e alleanze tra i partiti. Un dato nuovo nell’eterno derby polacco fra due destre, quella nazionalista e quella liberale, a patto che Po ne sia conseguente nel ridisegnare i propri equlibri interni.

E tuttavia la ricetta economico-sociale del Pis attira ancora la maggioranza degli elettori. Per dirla con Krzysztof Jasiecki, professore di economia all’Università di Varsavia: applicazione di trasferimenti sociali e rinforzo del welfare per le fasce che erano state marginalizzate dal boom economico degli Anni Dieci, scivolamento verso un nuovo tipo di capitalismo di Stato, coordinamento centralizzato delle strategie industriali, agevolazione alla nascita di campioni nazionali, sostituzione delle élites imprenditoriali con manager vicini al partito. Una politica che va di pari passo con i processi di controllo da parte del governo della Tv pubblica (che in questa campagna elettorale ha giocato un ruolo sfacciatamente di parte) e della magistratura, su cui è aperto il contenzioso con l’Unione Europea.

Ma se da un lato il Pis ha sfatato i timori iniziali di larga parte del mondo imprenditoriale polacco ed europeo che la sua politica sociale avrebbe danneggiato la crescita economica del paese, dall’altro la crisi determinata dall’impatto della pandemia eroderà quella crescita che ne forniva le risorse. Dopo 12 anni di ininterrotti segni più davanti ai numeri del Pil e il record di unico paese europeo a non aver subito conseguenze dalla crisi finanziaria del 2009, la Polonia seguirà il destino dell’intero continente e affronterà dopo tanti anni la sua prima recessione.

La flessione generale delle economie europee già prima del coronavirus – in particolare quella della Germania cui la Polonia è molto legata – avevano ridimensionato le previsioni di crescita polacche per il 2020. Ma il paese si sarebbe comunque ancora fregiato di un segno positivo, un aumento del Pil di 3 punti e mezzo. Ora le ultime stime dell’European Economic Forecast prevedono – 4,6%. Resta il dato migliore di tutta l’Ue, ma se si compara con le stime di sei mesi fa si osserva come la pandemia costerà a Varsavia 8 punti di Pil.

Se si guarda più in profondità nel tessuto economico polacco si osservano le contraddizioni che lasciano aperta qualsiasi prospettiva per la ripresa post-coronavirus. Secondo dati riportati dal quotidiano Handelsblatt, nelle settimane del lockdown il settore automobilistico ha segnato un crollo dell’80% a ruota di quello tedesco, produzione industriale e settore commerciale hanno perduto in media un quarto del volume di affari. Al contrario l’edilizia è andata avanti, non solo nelle grandi città, la disoccupazione non è esplosa come si temeva (è al 5,8%) e le aziende della farmaceutica hanno addirittura conosciuto un incremento di attività, come dimostra l’ampliamento del Service Center della Bayer a Danzica, che gestisce l’amministrazione del consorzio tedesco in 27 paesi. Anzi, la Polonia sembra aver accentuato l’attrattiva come luogo dell’outsourcing e non solo per le aziende tedesche. Proprio mentre la pandemia colpiva più forte, Microsoft ha annunciato l’investimento di 1 miliardo di dollari nell’ambito di un piano che prevede l’apertura di un data center per fornire servizi cloud a imprese e istituzioni governative. L’accordo, siglato con il fornitore di cloud domestico Chmura Krajowa (National Cloud), ha una motivazione ben chiara, secondo quanto riporta il sito Emerging Europe: la Polonia sta cercando di rafforzare la propria posizione come centro per la tecnologia e punta a diventare il nuovo cuore digitale d’Europa. Microsoft dimostra di crederci.

Non è scontato dunque che la crepa osservata ieri nel consenso per il partito di governo sia necessariamente destinata ad allargarsi. È vero che la Polonia potrebbe entrare in affanno affrontando una situazione ormai inedita come una crisi economica, ma mantiene tutte le carte in regola per trasformare tale crisi in un’occasione di nuovo rilancio. Il personaggio da tenere d’occhio è Jadwiga Emilewicz, 45enne vice-premier e ministra per lo Sviluppo economico, esponente del piccolo alleato di governo liberal-conservatore “Accordo”: è lei che, accanto al premier del Pis Mateusz Morawiecki, è diventata il motore della reazione alla crisi, promette sostegni alle imprese, illustra i contenuti dei pacchetti di salvataggio e sottolinea le posizioni polacche nei programmi di incentivazione economica dell’Ue. Giura che la Polonia sperimenterà solo una mini-recessione e sarà in prima fila fra i paesi europei che torneranno a crescere. Bruxelles stima che nel 2021 la Polonia crescerà del 4,3, quasi recuperando quanto perso con la pandemia.

Così mentre una parte dell’opinione pubblica liberale (stampa, cittadini, politici europei) teme che il secondo mandato di Duda sarà segnato dal completamento dell’occupazione istituzionale da parte del Pis e dall’ulteriore allontanamento di Varsavia dallo Stato di diritto e dai valori fondanti dell’Ue, c’è chi ritiene che il paese continuerà ad attirare gli investimenti degli altri paesi europei. Se il paradigma economico post-pandemia suggerisce l’accorciamento delle filiere distributive per evitare stalli e guerre commerciali, molti grandi gruppi europei guardano alla Polonia come il paese giusto in cui investire. Non più tanto per la sua forza lavoro meno costosa rispetto all’Ovest quanto per l’ambiente favorevole all’impresa e per il robusto mercato interno.

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