skip to Main Content

Mes

Ecco il punto (aggiornato) sul Pnrr

Pnrr: abbiamo incassato 67 miliardi, ne abbiamo spesi (forse) 21 e con i residui 46 abbiamo evitato di emettere nuovo debito sul mercato. E ora? L'analisi di Giuseppe Liturri.

Dall’Europa arrivano i soldi del PNRR, ma di investimenti se ne vedono pochi.

In 3 semestri abbiamo prodotto una montagna di carte (le famose “riforme”) che non danno da mangiare ma che tuttavia ci hanno consentito di incassare somme importanti da Bruxelles. Parallelamente, il conto degli investimenti, cioè il denaro effettivamente speso dallo Stato, che invece crea sviluppo, mostra ancora cifre modeste.

Dopo aver già incassato 67 miliardi (25 di anticipo nel 2021 e due rate da 21 miliardi nel 2022), il 30 dicembre, sul filo di lana della scadenza, il governo ha annunciato che sono stati conseguiti i 55 obiettivi e traguardi che condizionavano il ricevimento della terza rata del PNRR da parte della Commissione.

È così partita da Roma la richiesta di 21,8 miliardi (19 al netto dell’anticipo già incassato ad agosto 2021) che dovremmo incassare non prima di aprile, dopo la valutazione ed i controlli della Commissione e del Comitato Economico Finanziario.

In tutto 86 miliardi che sono prevalentemente serviti per diminuire il ricorso del Tesoro ad altre fonti di finanziamento, il cosiddetto “ricorso al mercato”, non certo per essere spesi nelle opere in programma. Chi festeggia è il ministero dell’Economia che ha potuto diminuire gli importi delle aste per finanziare il fabbisogno dell’anno ed il rifinanziamento del debito in scadenza.

È come se, avendo cominciato a ristrutturare una casa ed avendo già disponibile il mutuo di una banca, arrivasse un’altra banca e finanziasse sia le opere già eseguite che quelle da eseguirsi, perdipiù erogando alcune rate già al momento della definizione dei progetti e dei contratti con l’impresa appaltatrice. Ma quelle rate, anziché essere tenute su un conto separato per finanziare le opere da eseguire, finissero per rimborsare debiti preesistenti. Col rischio finale di doversi procurare nuovi fondi quando ci sarà da completare le opere e pagarle.

IL CALENDARIO DEL PNRR

Il PNRR sta funzionando allo stesso modo. Lo Stato aveva già pianificato spese per progetti in essere per 51,4 miliardi (investimenti di RFI in collegamenti ferroviari, sisma bonus, eco bonus, investimenti in transizione 4.0 delle imprese), già incluse nell’indebitamento netto, per finanziare le quali il Tesoro avrebbe dovuto emettere titoli pubblici. Poi è arrivato il PNRR che si è sostituito come finanziatore, aggiungendo altri progetti fino a raggiungere 191 miliardi di investimenti.

Per esempio, nel 2025 dovremmo incassare 24 miliardi, ma spenderne per investimenti programmati ben 48. La differenza di 24 ci è stata già erogata, ma è finita nel calderone del bilancio dello Stato in questi due anni e andrà reperita sul mercato nel 2025. E se tra due anni ci fossero problemi nell’emissione di titoli pubblici?

Sta di fatto che il calendario secondo cui arrivano i soldi dall’Europa e quello secondo cui vengono spesi, sono (solo temporaneamente) disallineati. L’effetto è che finora la Repubblica Italiana ha incassato decine di miliardi ma ne ha spesi solo una modesta frazione.

Le prime avvisaglie di questo fenomeno si erano avute a settembre scorso, quando il profilo finanziario della spesa del PNRR è stato significativamente rimodulato dal governo Draghi con la Nadef. Nonostante sia stato consentito al governo di ammettere al PNRR investimenti già eseguiti a partire da febbraio 2020, la spesa effettiva del governo fino a dicembre 2022 è stata ridotta a 20,5 miliardi, rispetto ai 33,7 miliardi del DEF di aprile. Ma il dato consuntivo ad agosto 2022, pubblicato nella seconda relazione al Parlamento sullo stato di attuazione del PNRR del 6 ottobre 2022, è ancora fermo a soli 11,8 miliardi. È vero che quest’ultimo dato è sottostimato perché le registrazioni contabili dell’effettivo avanzamento della spesa sono rallentate a causa del rispetto di tutte le procedure richieste dalla Ue, ma anche l’obiettivo programmatico di 20,5 miliardi che il governo prevede comunque di consuntivare, appare modesto rispetto ai 67 miliardi finora incassati.

La resa dei conti avverrà a partire dal 2023, quando il governo prevede di spendere 41 miliardi. A seguire 47 e 48 miliardi nel 2024 e 2025. Per poi chiudere con 36 miliardi nel 2026.

E mentre gli obiettivi ed i traguardi conseguiti finora sono stati prevalentemente collegati alla preparazione di tutto l’apparato normativo e regolamentare per poter eseguire quegli investimenti, gli 86 obiettivi dei due semestri del 2023 cominciano a contenere soprattutto obiettivi relativi alla materiale esecuzione delle opere. In altre parole, se si completano i cantieri, le rate arrivano. Altrimenti si resta a secco.

Su questo punto l’ex premier Mario Draghi aveva correttamente rilevato che finora l’avanzamento della spesa non è stato quasi mai tra gli obiettivi da conseguire, che minacciavano l’incasso delle rate. Ma ha omesso di aggiungere che negli anni successivi tale avanzamento sarà sempre più il protagonista e le rate dipenderanno in modo decisivo da quei risultati.

Nel frattempo abbiamo incassato 67 miliardi, ne abbiamo spesi (forse) 21 e con i residui 46 abbiamo evitato di emettere nuovo debito sul mercato. E quando ce ne sarà bisogno dove andremo a prenderli? Perché, se li troveremo sul mercato, sarà la prova che non era necessario farci finanziare dalla Commissione con tutto il carrozzone di condizioni e burocrazia al seguito del PNRR. Se invece qualcosa dovesse andare storto sui mercati, non vorremmo essere nei panni del Presidente Giorgia Meloni.

Back To Top