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Energia

Perché serve deficit a manetta per salvare l’economia in Europa. Report Unicredit

In occasione del prossimo Euro Summit, se i leader europei fossero a corto di idee, il capo economista di Unicredit Erik Nielsen ne propone una: una espansione di bilancio pubblico pari ad 4/5% del PIL e un consistente assegno inviato a casa di operatori sanitari e non solo. L'articolo di Giuseppe Liturri

 

Il Covid ha portato lutti e danni all’economia – e purtroppo non mancano i dubbi sul fatto che i secondi siano giustificati dall’esigenza di prevenire e diminuire i primi – ma, allo stesso tempo, ha portato alla caduta repentina di molti (apparentemente) inconfutabili dogmi che hanno retto la politica economica della Ue nello scorso decennio e che tanti danni hanno provocato, soprattutto all’Italia.

Da un paio di domeniche a questa parte, il commento del capo economista di Unicredit Erik Nielsen non lascia spazio a dubbi: la UE sta commettendo lo stesso errore del 2011/2012, cioè ridurre troppo in fretta il sostegno dei bilanci pubblici all’economia, rallentando così il recupero del livello di attività pre Covid. Il confronto con quanto accaduto negli USA, sia sotto il profilo sanitario che economico, sta cominciando a diventare impietoso nei confronti della UE. Al punto che Nielsen lancia la proposta di inviare a casa di operatori sanitari, scienziati ed insegnanti un consistente assegno in segno di ringraziamento da parte della società.

“Gli applausi fanno bene, ma credo che il denaro farebbe ancora meglio” ha chiosato l’economista danese, scommettendo sul fatto che buona parte di quel denaro non finirebbe in risparmi ma sarebbe speso prima della fine dell’anno.

Nielsen sostiene che la BCE, pur tra mille difficoltà, sta svolgendo il suo compito, tenendo anche testa alla pressione verso l’aumento dei tassi nominali proveniente dagli USA. È la politica di bilancio che latita clamorosamente. Per il 2021 lo stimolo programmato avrebbe dovuto essere ben più consistente e smonta ad una ad una le critiche di chi si oppone a questa proposta.

La realtà è che, nel migliore dei casi, la UE raggiungerà il livello di PIL pre Covid intorno alla metà del 2022. Una lunga cicatrice a danno dell’economia causata dall’insufficiente stimolo della politica di bilancio. Nel 2021 esso dovrebbe essere pari al 6% del PIL (inclusi gli stabilizzatori automatici ed il Next Generation Eu), contro un output gap (la differenza tra PIL potenziale ed effettivo) pari al 8,5% del PIL.

Chi si oppone ad una maggiore espansione di bilancio porta due argomenti:

  1. Il timore di una bolla speculativa sul mercato azionario e su quello immobiliare.

Nessuno dei due pericoli è in vista. Anzi, è proprio l’insufficienza della politica di bilancio a provocare un’indebita supplenza della politica monetaria che, quella sì, provoca una bolla speculativa. In ogni caso, anche qualora ci fossero delle avvisaglie di bolla sul mercato azionario, manca l’elemento determinante che rende dannoso il suo scoppio: il boom del credito che la sostiene.

  1. Non è affrontabile a causa del già elevato livello di debito pubblico.

Sbagliato, sostiene Nielsen, per due motivi: qualsiasi alternativa sarebbe peggiore e dopo anni di investimenti pubblici modesti, la gran parte della spesa, finanziata a tassi negativi, si rivelerebbe profittevole per l’intera società.

In particolare, le due crisi dei precedenti decenni ci hanno insegnato l’errore compiuto dalla UE, rispetto agli USA, nel prematuro ritiro di una politica fiscale espansiva. Inoltre, gli Stati non hanno il vincolo di rimborso di un debito che può avere una famiglia. Per loro è sufficiente il rinnovo, non il rimborso.

Quindi ciò che conta e la sostenibilità e qui entra in gioco la variabile del costo per interessi come percentuale delle entrate di uno Stato. Oggi siamo intorno al 5% per la gran parte degli Stati OCSE, con l’Italia al 7,2%. Niente di preoccupante. Basti pensare agli anni ‘80/’90 quando si oscillava tra il 7% ed il 15% e nessuno metteva in dubbio la sostenibilità del debito pubblico.

Ma vi è di più. Tutto dipende anche da chi detiene il debito. Quando lo detiene una banca centrale, il costo per interessi non rileva in quanto essi ritornano al Tesoro tramite i dividendi pagati ad esso dalla stessa banca centrale. Essa li venderà solo quando l’economia tornerà a crescere e ci sarà il rischio di suo surriscaldamento. Una situazione ben diversa dall’attuale, da cui siamo notevolmente lontani.

L’effetto redistributivo causato dal debito detenuto dal settore privato può essere neutralizzato da strumenti di natura fiscale. Ma oggi il settore privato contribuisce poco alla crescita, siamo in una situazione da manuale di economia: quando il settore privato genera un eccesso di risparmio, riducendo consumi ed investimenti, è proprio allora che il settore pubblico deve colmare questo “buco”.

Oggi manca all’appello almeno un 2/3% di PIL di stimolo di bilancio pubblico nell’eurozona, esattamente l’eccesso di risparmio privato rispetto al deficit pubblico, che finisce a finanziare il surplus delle partite correnti verso l’estero.

Allora, Nielsen lancia l’acuto finale. In occasione dell’Euro Summit della settimana prossima, se i leader europei fossero a corto di idee, lui ne propone una: una espansione di bilancio pubblico pari ad 4/5% del PIL e un consistente assegno inviato a casa di operatori sanitari, scienziati ed insegnanti, come segno di ringraziamento da parte dell’intera società. Altro che applausi.

Stupisce soltanto che queste elementari considerazioni da primi anni dei corsi di economia, vengano diffuse oggi, dopo (almeno) un decennio perduto ad inseguire fantasmi.

Pazienza, pur di non perdere il prossimo decennio, saremmo disposti a metterci una pietra sopra, purché oggi si faccia finalmente la cosa giusta.

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