Si è svolta dal 29 al 30 settembre Alba (Cuneo) la quinta edizione degli Stati generali dell’export, intitolata quest’anno “Il sostegno al sistema Paese, tra grandi e Pmi”. Definito la “Cernobbio dell’Export” dedicata esclusivamente ai temi dell’export e del Made in Italy, l’evento è stato promosso e organizzato dal Forum Italiano dell’export con il patrocinio, tra gli altri, del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. Gli Stati generali dell’export, recita una nota, “mettono a confronto imprenditori, operatori del settore ed esponenti istituzionali sui temi del commercio estero, delle startup e dell’innovazione”. Tra gli oltre 70 relatori presenti all’edizione 2023 c’era anche Stefano Pontecorvo, presidente di Leonardo. Ecco un estratto del suo intervento. (Redazione Startmag)
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L’economia globale è stata scossa da almeno tre shock successivi. Il primo: il blocco delle catene di fornitura innescato dalla pandemia. Il secondo: l’incertezza politica prodotto a livello globale dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Il terzo: le conseguenze economiche, prima fra tutte l’aumento dell’inflazione, innescate proprio dalle tensioni geopolitiche. Il risultato più evidente è davanti agli occhi di tutti: la fine della globalizzazione per come l’avevamo conosciuta e l’inizio di un processo di regionalizzazione del commercio e degli investimenti per aree geo-economiche; circostanza che ha ulteriormente alimentato divisioni e tensioni politiche. Un numero su tutti: 4500 chilometri.È la lunghezza della frontiera fra l’Occidente e la Russia. Una linea di fronte decisamente più estesa di quella che, durante la Guerra Fredda, divideva i Paesi occidentali da quelli del Patto di Varsavia.
Sotto le bombe non c’è finita solo l’Ucraina. Ma anche quel concetto di globalizzazione che ha guidato l’azione politica degli ultimi vent’anni. E che ha permesso ad un miliardo di persone di uscire da condizioni di estrema povertà. Ora anche quel mondo non c’è più. Alla globalizzazione, così come l’avevamo interpretata, si è sostituita la glocalizzazione: un fenomeno nuovo che porta ad incrementare scambi economici e commerciali “fra simili”. O, per meglio dire, fra “like-minded partners”.
L'”11 SETTEMBRE” INNESCATO DALLA GUERRA IN UCRAINA
Onestamente, credo che questi fattori geopolitici stiano condizionando il mondo degli affari con un impatto non lontano da quello innescato con l’”11 settembre”. Nulla sarà più come prima.
A questa sfida credo che l’Italia stia rispondendo bene. Soprattutto perché sta innescando fenomeni positivi: e lo dico per esperienza diretta. Più volte, in passato, si è detto e scritto che l’Italia, a differenza della Francia, “non faceva sistema”. Ora lo sta facendo, e lo verifico quotidianamente.
Come presidente di Leonardo mi devo confrontare con i numeri. L’86 per cento dei ricavi di Leonardo vengono dall’estero. E devo riconoscere che il governo dà un sostegno considerevole alle attività di Leonardo. Nelle missioni internazionali mi confronto con il ministero della Difesa, con quello dell’Economia e – soprattutto – con quello degli Esteri; trovando la massima collaborazione in tutt’e tre le amministrazioni.
Per non parlare sul fronte interno del costante dialogo con il ministero delle Imprese e del Made in Italy.
Questo, secondo me, è “fare sistema”. (Mi dicono che prima non era così scontato). E quando un Paese “fa sistema” diventa più forte ed acquisisce autorevolezza. E favorisce il business dei propri campioni internazionali. E Leonardo lo è.
L’AEROSPAZIO: UN “PONTE” FRA I PAESI
Sono fermamente convinto che la tecnologia possa accorciare le distanze fra i diversi blocchi geopolitici. O, quantomeno, possa avvicinare maggiormente e consolidare le conoscenze fra blocchi “like-minded”. In modo particolare, credo che un ruolo fondamentale potrà svolgerlo la tecnologia aerospaziale. Può diventare, secondo me, un “Ponte” fra Paesi. Nell’attuale fase di incertezza dobbiamo puntare a rafforzare i meccanismi di cooperazione tra Paesi nel campo scientifico, del trasferimento tecnologico e dell’innovazione industriale.
Il settore aerospaziale, per sua stessa natura, può svolgere un ruolo di avanguardia nella costruzione di nuove partnership. Il “Ponte” di cui parlavo prima. Innanzitutto, perché si tratta di un settore ad alto tasso di innovazione, e quindi ad alta intensità di capitale; come tale richiede l’investimento di risorse e know-how ingegneristico che poche nazioni al mondo, da sole, sono in grado di permettersi. La collaborazione è pertanto una necessità.
Il secondo punto che rende l’aerospazio centrale è la sua trasversalità: la natura strategica delle tecnologie aerospaziali rappresenta oggi il punto di incontro su cui converge l’interesse degli Stati per la tutela della sicurezza e quello delle aziende, alla ricerca di opportunità di business. Tecnologie critiche come intelligenza artificiale, robotica e cybersecurity, sempre più centrali nell’ambito del nostro settore, richiedono la costruzione di partnership pubblico-private.
INDUSTRIA AEROSPAZIALE VOLANO DI SVILUPPO
Prendiamo ad esempio il settore della space economy: si tratta di un mercato che, secondo un rapporto PwC, potrebbe raggiungere il valore di un trilione e mezzo di dollari nel prossimo decennio: una grande opportunità. Ed è anche per questo che, a fianco dei player tradizionali, nella corsa allo spazio si sono affacciati grandi attori privati, spesso provenienti da altri settori, e lo stesso hanno fatto le nuove nazioni industrializzate.
Penso agli Emirati Arabi Uniti, che due anni fa sono diventati il quinto paese al mondo a raggiungere Marte con la loro sonda Hope, o all’Arabia Saudita, che ha messo lo spazio al centro della sua Visione 2030 e, proprio pochi mesi fa, ha raggiunto per la prima volta la Stazione Spaziale Internazionale con due astronauti. In uno scenario sempre più policentrico, dobbiamo avere la capacità ed il coraggio di rendere sistemica la collaborazione sulle nuove competenze e rafforzare la cooperazione tecnologica nord-sud. Ovviamente attraverso modalità concordate e programmi industriali dedicati, capaci di tutelare le esigenze strategiche dei partner coinvolti.
È importante stabilire forme di dialogo strutturato tra “like-minded partners”, e forum internazionali come il G7 e il G20, in sinergia tra loro, possono offrire la cornice ideale per costruire un multilateralismo inclusivo capace di favorire lo sviluppo tecnologico e metterlo al servizio della sicurezza e della crescita collettiva.
Negli ultimi quattro anni, le Presidenze G20 di Arabia Saudita, Italia, Indonesia e India hanno dimostrato grande continuità per favorire la ripresa economica globale del dopo-pandemia, da ultimo, con il lancio dell’ambizioso progetto di sviluppo infrastrutturale che connetterà il subcontinente indiano con il Medioriente e l’Europa. Si tratta di un’azione che l’Italia intende continuare anche in seno al G7, di cui assumerà la Presidenza il prossimo anno.
L’industria aerospaziale sarà uno dei volani più importanti di questo interscambio tecnologico e produttivo, ed anche uno dei principali beneficiari. A Leonardo, l’azienda che ho l’onore di presiedere, abbiamo ben chiaro che oggi l’unico modello di business sostenibile per l’aerospazio è quello della compartecipazione a programmi e alleanze industriali internazionali.
PERCHÉ SERVE LO SCORPORO DELLE SPESE PER SICUREZZA E DIFESA DAL PATTO DI STABILITÀ
L’Europa nel suo complesso si può permettere di destinare quasi il 50% del pil alla spesa sociale perché ci sono altri che spendono per la propria sicurezza e difesa. Vale a dire, gli Stati Uniti.
Secondo un report dell’Istituto internazionale Studi Strategici, gli Usa hanno spese militari pari al 3,5% del proprio Pil e coprono quasi il 40% della spesa globale. La Francia è al sesto posto, l’Italia al dodicesimo. Se vediamo la stessa graduatoria per la spesa sociale la graduatoria si inverte. Il paese a spendere di più in rapporto al Pil è la Francia. Al quarto posto c’è l’Italia. E gli Stati Uniti arrivano al 21/esimo posto. Preceduto da tutti paesi che aderiscono alla Nato. Oggi questo è un “lusso” non più sostenibile, almeno non negli stessi termini. Solo lo scorso anno l’Europa ha speso per la Difesa 320 miliardi di euro, il dato più alto dai tempi della Guerra Fredda. Come potete vedere, la Sicurezza ha impatti diretti sulla sfera sociale; e, quindi, economica. Faccio un esempio per spiegarmi meglio. Come ben sapete l’Italia aderisce al sistema della Moneta utile; e, come tale, deve rispettare una serie di parametri di bilancio. Aderisce anche alla Nato, ed anche qui dovrebbe rispettare le “regole della casa”. Vale a dire, destinare il 2% del pil alle spese per Sicurezza e Difesa.
Come l’Italia, anche gli altri paesi europei aderiscono alla Nato, ma i parametri di bilancio che l’Europa si è data “non si parlano” con quelli della Nato. Ora a livello europeo l’Italia si sta battendo perché le spese per la Sicurezza vengano stralciate dal calcolo del deficit. L’occasione è quella giusta: il prossimo anno, la Commissione europea dovrebbe discutere con gli Stati membri la riforma del Patto di Stabilità e Crescita della Ue.
Si tratterebbe, se la proposta italiana dovesse essere condivisa, di “far parlare” i parametri europei con quelli della Nato. Finora è come se la mano destra non sapesse cosa fa la sinistra.
Parliamoci chiaro. Oggi Bruxelles è arrivata ad emettere eurobond per finanziare il Next Generation Eu: iniziativa lodevole che fa dell’Europa un Continente all’avanguardia nella salvaguardia dell’Ambiente. Ma c’è arrivata con 20 anni di ritardo.
Credo sia necessario un salto di qualità delle policy europee anche per la Difesa. Per queste ragioni, non si possono aspettare vent’anni per finanziare gli investimenti con l’emissione di eurobond. Servono subito. Mi sembra che, a livello europeo, sia in atto una profonda trasformazione del pensiero unitario. Una trasformazione che apprezzo. Si sta abbandonando, a mio parere, il dogmatismo per far spazio al pragmatismo. Sarà senz’altro un processo lento, ma inevitabile.
STARE AL PASSO DEGLI ALTRI PAESI
Ad imporlo è il processo in atto negli altri Paesi. La Cina ha speso nel 2022, 292 miliardi di dollari: il 4,2% in più rispetto al 2021, ma il 63% rispetto al 2013. La Russia, in un solo anno, l’ultimo, ha aumentato la propria spesa militare del 9,2%.
Per avere un termine di paragone con l’Europa, nel 2022 la spesa militare del Continente è aumentata del 13% rispetto al 2021 ed ha toccato livelli della Guerra fredda. Ma l’incremento rispetto al 2013 è stato del 30%: la metà della Cina. Il sistema di Sicurezza europeo ha bisogno di importanti investimenti nel prossimo futuro: vuoi per riequilibrare il rapporto con gli Stati Uniti vuoi perché non sappiamo da dove arriveranno le minacce future. La Sicurezza ha tempi di reazione rapidi, anche perché le minacce sono multilivello ed a queste minacce bisogna predisporre risposte multilivello. E sarebbe necessaria anche un po’ più di lungimiranza e visione da parte delle autorità europee.
Ho iniziato a fare il consigliere diplomatico per il ministero della Difesa con Giampaolo Di Paola, che – a quanto mi risulta – negli anni passati ha insegnato anche qui alla Luiss. Ebbene, una volta, confrontandoci sulle politiche europee, Di Paola mi disse: “Stefano, sai qual è la differenza fra una visione ed un incubo”? Ovviamente, lascia che me la spiegasse. “Sono entrambi sogni. Solo che l’incubo è un sogno sganciato dalla realtà. La visione è un sogno agganciato alla realtà”.
LA NUOVA FRONTIERA DELLE GUERRE DEL FUTURO
Una cosa è certa: non siamo indovini. Così come non potevamo immaginare l’11 Settembre, non potevamo immaginare l’invasione dell’Ucraina. Tutto l’Occidente è esposto a mutazioni geopolitiche talmente rapide che l’unica cosa in nostro possesso è farci trovare preparati: pronti a fronteggiare le crisi.
Per anni, i Paesi occidentali si sono concentrati sullo sviluppo di capacità di counter-insurgency e anti-terrorismo. Oggi questo non è più sufficiente. La guerra in Ucraina sta dimostrando che fattori come la difesa aerea, l’artiglieria, i carri armati continuano ad avere il loro peso. Un drammatico bagno di realtà che impone un ripensamento della dottrina della Difesa europea e Nato concepita e condivisa a livello Ue prima della Guerra in Ucraina.
Capirete quindi la necessità di avviare una rapida trasformazione non solo delle policy, ma anche dei processi produttivi dell’industria della difesa. A cui verrà richiesto di mettere più velocemente a disposizione i propri sistemi, rifornire gli stock in misura maggiore, garantire addestramento e manutenzione ad un ritmo sempre più elevato. Per operare questo passaggio è necessario il supporto di tutti gli attori coinvolti nel processo con un’ottica di sistema: così da garantire una visione a lungo termine dei requisiti di cui ci sarà bisogno da qui a dieci anni.
DIGITALE, AI E IPERSONICO
Un punto fondamentale riguarda l’impatto dell’evoluzione tecnologica sulla sicurezza. Prepararci alle minacce del futuro: digitalizzazione, Intelligenza artificiale, robotica e tecnologie ipersoniche saranno i nuovi strumenti per fronteggiare i rischi del futuro. Anche perché i pericoli per la sicurezza europea non riguardano soltanto l’ambito strettamente militare: dall’altra parte arrivano minacce per le infrastrutture critiche, attacchi di natura cyber e ibrida, fino a fenomeni come la “weaponizzazione” dei flussi migratori ed energetici.
Minacce multi-livello che richiedono risposte multi-livello. Da parte di tutti. Da parte degli Stati, ovviamente; ma anche delle imprese che dovranno confrontarsi con sfide diverse e sempre nuove.
E qui torniamo alle collaborazioni industriali fra paesi alleati ed amici.
Leonardo garantisce oggi la Cyber sicurezza ad organismi con la Nato, l’Agenzia spaziale europea, il Parlamento europeo. Abbiamo centri specializzati in grado di verificare miliardi di eventi informatici al giorno e di individuare da dove parte un attacco cyber. Ovviamente, in strettissimo contatto con le autorità nazionali delegate.
È una nuova frontiera perché le guerre del futuro – come dice spesso Roberto Cingolani – avranno bisogno di meno bullet e più bit.