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Pesca Regno Unito Francia

Perché Londra e Parigi si tirano i pesci in faccia

Che cosa succede davvero fra Regno Unito e Francia sulla pesca. Il punto di Enrico Martial

 

L’incontro tra il presidente francese Emmanuel Macron e il premier britannico Boris Johnson, al margine del G20 di Roma, il 31 novembre, è andato piuttosto male. Le premesse non erano buone, si sono incontrati soltanto per una mezz’ora, al di là della cortesia l’abbassamento dei toni non c’è stato. La tensione durava da mesi ma a ottobre la frattura è diventata netta, fino a una serie di ultimatum reciproci, che solo il 1° novembre, in serata, sono stati superati, in una temporanea de-escalation.

Da tempo antico, piccole imbarcazioni francesi pescano nei dintorni delle isole britanniche di Guernsey, Jersey, Alderney, che si trovano tra venti e cinquanta km dalla costa francese, da cui proviene, per esempio, l’energia elettrica con un cavo sottomarino. L’accordo di Londra del 1964 che regolava questa facoltà è stato denunciato nel 2017.

Con la Brexit, Londra era intenzionata a recuperare il controllo dell’intera sua zona esclusiva, per tutta la costa europea, a favore dei pescatori britannici, che hanno votato per il 92% per l’uscita dall’UE e che esportano verso l’Unione europea il 75% del loro prodotto. Gli ulteriori paesi coinvolti sono la Spagna, i Paesi Bassi, l’Irlanda, la Danimarca, la Germania e il Belgio. I valori delle “quote di pesca” detenuti da Paesi UE sono valutati 2,1 mld di euro, di cui circa il 28% francesi. L’accordo finale della Brexit prevedeva che i britannici ne recuperino il 25% entro il 2026, per un valore di circa 535 mln.

Nel caso delle isole anglo-normanne, l’accordo era che fosse rinnovata la licenza ai pescatori presenti fino alla Brexit nello spazio tra 6 e 12 miglia nautiche. Dovevano provarlo però, ed è così nato un contenzioso. Londra dice che il 98% delle licenze sono state rilasciate, secondo Parigi il 90%. I numeri sono ballerini, ma Londra e Jersey, che ha una sua autonomia al riguardo, avrebbero rilasciato circa 210 licenze, mentre secondo Parigi ne mancherebbero circa 200. Per tutto lo spazio esclusivo britannico, i battelli dell’Unione europea avrebbero chiesto 2.127 licenze, e ne sarebbero state rilasciate 1.913, cioè il 90,3 %: quel 10% mancante sarebbe dunque in gran parte francese. Anche da parte britannica è noto che 135 licenze sono state finora rifiutate.

Il conflitto sulla pesca, per linguaggio e argomenti, ricorda altri casi di frontiera nella storia dell’otto-novecento europeo, con tanto di nazionalismi e incomprensioni, pur in un terreno di forte conoscenza reciproca e interrelazioni. Il problema della pesca si somma alla frontiera per le merci nel mar d’Irlanda. Era stata individuata per evitare quella terrestre nordirlandese e riaccendere le ragioni di un conflitto superato con gli Accordi del Venerdì Santo. Il Regno Unito, secondo cui minerebbe la continuità nazionale, pur avendolo sottoscritto non ha ancora dato attuazione a quella parte dell’accordo, e a fine giugno scorso aveva ottenuto una proroga, dopo una lunga polemica sulle “salsicce” che non si sarebbero potute mandare a Belfast.

Secondo Le Monde, Boris Johnson, forse dopo la COP 26 di Glasgow, potrebbe evocare l’art. 16 del trattato che consente, in determinate condizioni, di sospendere l’attuazione di parti dell’accordo per l’Irlanda del Nord. Le quote pesca sembrano seguire lo stesso percorso di messa in discussione del Trattato Brexit.

Bisogna poi aggiungere il caso della rottura del contratto di vendita dei sottomarini all’Australia e dell’alleanza AUKUS, a metà settembre, anche per i toni con cui si è svolto. Inoltre, il continuo rimando britannico alle elezioni presidenziali per spiegare il comportamento francese è poco apprezzato a Parigi, che reagisce. Non sentendosi aiutata da parte europea, la Francia ha finito per collocarsi sul piano bilaterale, sullo stesso piano politico “tra Stati sovrani” in cui è oggettivamente più debole, precedente allo stile e alla collaborazione dell’integrazione europea.

Anche sul terreno se ne ha conferma. Il 6 maggio scorso, quando una cinquantina di battelli da pesca francesi si sono affacciati alle isole anglo-normanne per protestare sulle licenze mancanti, anziché telefonarsi, il messaggio è stato di forza. Londra ha inviato due battelli militari da pattuglia “a scopo preventivo”, il HMS Severn e HMS Tamar, peraltro già utilizzati in passato per ricognizioni antifrode. Parigi ha risposto mostrando dal suo canto altre due navi da pattuglia, Athos e Thémis, per quanto non armate.

Adesso, in questa fase di nuova tensione, con il caso AUKUS ancora da rimarginare, mentre i tabloid inglesi rincarano la dose, il 14 ottobre il segretario di stato francese agli affari europei, Clément Baune, ha detto che in assenza di progressi sulle licenze mancanti ci sarebbero state contromisure. La risposta stizzita è giunta sino alla convocazione dell’ambasciatrice francese a Londra, Catherine Colonna, annunciata il 28 ottobre. Nella notte tra il 27 e il 28 ottobre, due navi da pesca britannica sono state controllate nelle acque francesi, di fronte al porto di Le Havre. Una ha rifiutato che la pattuglia salisse a bordo, l’altra non aveva la licenza di pesca nelle acque francesi e per il suo capitano si è aperto un procedimento giudiziario. David Frost, segretario agli affari europei e brexiteer in prima linea, ha annunciato a sua volta ulteriori contromisure, con controlli sistematici sui battelli da pesca UE nelle acque britanniche.

Il 30 ottobre è peraltro scaduto il termine di rilascio delle licenze: lo stesso Baune ha annunciato che dal 2 novembre l’accesso ai porti francesi sarebbe stato interdetto alle navi da pesca britanniche e i controlli doganali e sanitari intensificati. Parigi si era anche riservata la possibilità di intervenire sul rifornimento elettrico alle isole, non tanto per interruzioni quanto sulle tariffe. A sua volta, nel mattino del 1° novembre, Liz Truss, segretaria di stato britannica per gli affari esteri, ha dato 48 ore alla Francia prima che il Regno Unito sollevi un contenzioso formale per questa parte di trattato.

Poi, dal primo pomeriggio del 1° novembre si è tenuta una pur complicata videoconferenza tra i ministri  Clément Baune, per gli affari europei, e David Frost, per la Brexit e le relazioni con l’Europa, e la Commissione europea. Hanno soprattutto deciso di incontrarsi di persona giovedì 4 novembre, a Parigi.

Il presidente Macron, dalla COP 26 di Glasgow, ha fatto sapere che l’ultimatum del 2 novembre era sospeso, perché “ non si introducono sanzioni mentre si negozia”.

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