È ormai da lungo tempo che dal mondo dell’industria tedesca arrivano solo cattive notizie per l’economia dell’ex locomotiva europea, ma il fatto che gli imprenditori non vedano ancora all’orizzonte segnali di cambiamento rischia di rendere cronica la crisi e concreto il fantasma finora solo evocato: la deindustrializzazione.
Tra imprese che rinviano investimenti, altre che rallentano l’attività e vecchi marchi che traslocano verso gli Stati Uniti (sedotti dagli incentivi dell’Ira di Joe Biden) o la Polonia (attratti da un migliore clima industriale), il deludente governo tedesco guidato da Olaf Scholz non sembra saper più che pesci prendere.
UNO STUDIO CHE FA NERO IL GOVERNO SCHOLZ
Secondo un nuovo studio di Deloitte e della Federazione delle industrie tedesche (Bdi), quasi un’azienda su due teme che “la deindustrializzazione della Germania difficilmente potrà essere fermata”. Il 49% delle aziende intervistate ha dichiarato di aver già delocalizzato una parte della produzione e di voler continuare a farlo anche in futuro.
Le critiche dell’associazione industriali al governo semaforo sono ormai pane quotidiano, dopo la grande illusione di inizio mandato che aria fresca potesse rimettere in corsa un paese imballato negli ultimi anni dell’era Merkel. Poi la guerra russo-ucraina ha fatto definitivamente saltare il già traballante equlibrio che supportava l’economia tedesca, basato tra l’altro sull’energia a basso costo proveniente da Mosca. I pesi di infrastrutture non modernizzate, burocrazia farraginosa e alta pressione fiscale facevano parte delle continue lamentele degli imprensitori. “Ma ora la situazione è ancora più grave”, confessa all’Handelsblatt Jürgen Sandau, partner e specialista della supply chain presso Deloitte Consultants, “perché le aziende sono pessimiste a lungo termine e molti industriali non credono più che sia possibile tenere sotto controllo i problemi strutturali in modo tempestivo”.
LE CRITICHE DEL MONDO DELLE IMPRESE, NON SOLO PICCOLE
Gli fa eco Wolfgang Niedermark, membro del consiglio d’amministrazione della Bdi, co-autrice dello studio: “La Germania sta diventando sempre meno attraente come sede in cui investire, lo stallo politico rallenta gli investimenti urgenti e necessari, il governo dovrebbe adesso agire in modo più deciso”.
L’indagine di Deloitte e Bdi ha coinvolto non solo le piccole e medie imprese, ma si è allargata anche alle grandi. D’altronde solo poche settimane fa l’azienda leader degli elettrodomestici Miele ha annunciato il trasferimento di 700 posti di lavoro nella produzione di lavatrici da Gütersloh, in Nord Reno-Vestfalia, a Ksawerow, in Polonia. Il fornitore automobilistico Valeo aveva annunciato un passo simile. E l’insofferenza di un gigante della chimica come Basf è ormai nota: recentemente è stato annunciato un altro taglio di posti di lavoro nello stabilimento principale di Ludwigshafen e per il futuro il consiglio d’amministrazione dell’azienda, particolarmente colpita dalla crisi energetica, guarda con speranza all’Estremo Oriente, alla Cina: ovunque, l’importante è allontanarsi dalla Germania.
I MOTIVI DELLE CRITICHE
Oltre a burocrazia e costi energetici, uno dei temi evidenziati dallo studio riguarda i costi più elevati per le catene di approvvigionamento che comprimono ulteriormente i margini. La maggior parte delle aziende pensa di esternalizzare aree di produzione a valore sempre maggiore. Ma anche altri risultati emersi dalla ricerca sono preoccupanti: preoccupa la carenza di personale e di lavoratori qualificati, nonché un aumento dei prezzi delle materie prime e altri costi più elevati e anche la sicurezza informatica contro la quale il sistema di difesa tedesco appare inadeguato. A tutto questo si aggiunge una paura nuova, che riguarda la politica: la maggior parte delle aziende ritiene che la Germania non solo stia perdendo la sua attrattiva come piazza, ma anche la sua stabilità politica, preoccupazione che accomuna il 68% degli intervistati.
L’indagine è stata effettuata prima delle elezioni europee, ma tra governo inadempiente e irrobustimento dell’estrema destra nazionalista, l’esito del voto era piuttosto scontato. dopo il successo del 9 giugno, il possibile bis di AfD nelle prossime elezioni regionali di settembre, in tre delicati Länder orientali come Sassonia, Brandeburgo e Turingia, accresce l’ansia. Da sempre il mondo delle aziende teme l’ascesa di un partito estremista come AfD, specie a est dove la carenza di manodopera è il problema principale per la crescita economica e la retorica anti immigranti penalizza anche l’arrivo dei necessari lavoratori dall’estero. L’imprenditore Reinhold Würth è chiaro: “Se questa tendenza continua, allora noi imprenditori dobbiamo stare attenti dove e come investiamo. Ora ci prenderemo il tempo necessario per analizzare e valutare se effettuare ulteriori investimenti su larga scala qui in Germania o se trasferirci altrove”.
CHE COSA PROPONGONO GLI INDUSTRIALI IN GERMANIA
Sul piano delle proposte per provare a invertire la rotta, l’86% degli industriali interpellati è del parere che in Germania siano necessari maggiori investimenti in innovazione, per tenere il passo con la concorrenza globale. Un esempio di ciò è la digitalizzazione e l’automazione, che possono alleviare la carenza di lavoratori qualificati e ridurre i costi. Quanto ai problemi legati alle catene di fornitura, molte aziende ripongono le loro speranze nell’economia circolare. “Ciò può ridurre la dipendenza dalle consegne di materie prime”, conclude Sandau, sottolineando che il 43% delle aziende ritiene che la circolarità abbia il potenziale per ridurre i costi delle materie prime e quindi prevenire parzialmente le delocalizzazioni.
Ma l’impressione è che il mondo industriale abbia già chiuso il capitolo delle speranze verso il governo Scholz e stia cercando di capire se nuovi equilibri possano ridare speranza per un cambio di rotta. O se ci si debba davvero preparare alla fuga.