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Europa Germania

Perché l’economia della Germania sbanda (e perché sarà un problemone per l’Europa)

L'analisi dell'editorialista Guido Salerno Aletta

Non si possono fare spallucce di fronte ad una recessione tedesca, più che probabile se anche i dati di dicembre scorso indicheranno una contrazione della sua economia. Non si tratta di applicare una definizione tecnica astratta, che individua i casi in cui la diminuzione del Pil si protrae per due trimestri consecutivi, ma di mettere in evidenza una questione rilevante per l’intera Eurozona.

Occorre indagare sin d’ora le cause di questo andamento negativo, che potrebbe essere anticipatore di assai più gravi conseguenze nel corso dell’anno, di ordine economico, finanziario e politico. Non riguarderebbero solo la Germania, con i suoi cittadini che come tutti gli altri europei a maggio prossimo si recheranno alle urne per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo, ma tutta l’Unione.

Si tratta di questioni che coinvolgono soprattutto la responsabilità della Commissione che, nella sua composizione ormai in scadenza, continua a considerare come “non perturbato” il quadro macroeconomico cui si riferiscono le decisioni di finanza pubblica per il 2019. Con la conseguenza di non concedere deroghe in termini di maggior deficit per opporsi al ciclo negativo.

Il problema sarebbe assai più grave se emergesse che è la stessa politica di risanamento strutturale sottesa al Fiscal Compact a determinare la contrazione della economia tedesca, con l’aggravante che si sta già riverberando negativamente sugli altri Paesi dell’area, tra cui l’Italia.

Tutto si poteva immaginare, fino ad un paio di mesi fa, fuorché un rallentamento della Germania. Il primo segnale negativo è arrivato con la contrazione del prodotto nel terzo trimestre di quest’anno, con un -0,2%. In modo sbrigativo, si disse che tutto era dipeso dalla sosta estiva imposta alla produzione automobilistica, preordinata al cambiamento degli standard relativi all’inquinamento atmosferico. Il calo era stato particolarmente brusco, vista la crescita dello 0,5% nel primo trimestre, e dello 0,4% nel secondo.

L’aria si era fatta pesante anche in Italia, con una crescita nulla nel terzo trimestre, rispetto al +0,2% del secondo: d’altra parte, si rilevava, molte nostre industrie del nord sono fornitrici della Germania, e quindi ne avevano inevitabilmente risentito. Che la questione non fosse così passeggera lo avevano capito un po’ tutti, ridimensionando da subito le previsioni di preconsuntivo per il 2018 e quelle per quest’anno.

Anche i più recenti dati tedeschi marcano una situazione pesante: ad ottobre, aggiustati per inflazione, stagionalità e calendario, gli ordini nel settore manifatturiero, pur essendo aumentati dello 0,2% rispetto al precedente mese di settembre, hanno segnato una caduta del -3% rispetto al mese di ottobre del 2017. A novembre, il trend si è confermato in contrazione: -1% rispetto ad ottobre, e -4,3% rispetto a novembre 2017. Anche la produzione manifatturiera ha segnato una contrazione: -1,9% a novembre rispetto al precedente mese di ottobre, e -4,7% rispetto a novembre 2017. Anche le vendite nel settore manifatturiero hanno registrato un andamento contrastato: il dato di ottobre, stimato provvisoriamente pari al +1% rispetto al mese di settembre, è stato rivisto al ribasso portandolo al +0,5%. Il dato di novembre registra un -2,4% rispetto ad ottobre.

Più in generale, tutta la produzione tedesca sta rallentando: nel comparto dell’industria, a novembre si è registrato un -1,8% rispetto al precedente mese di ottobre. La produzione di beni capitali è diminuita dell’1,8% e i beni intermedi dell’1,0%. La produzione di beni di consumo è diminuita addirittura del 4,1%. Al di fuori del comparto industriale, la produzione di energia a novembre è stata inferiore del 3,1% rispetto al precedente mese di ottobre mentre nelle costruzioni è diminuita dell’1,7%.
La frenata, quindi, c’è davvero tutta.

Di seguito, riportiamo i dati della bilancia commerciale. Nel mese di novembre, la Germania ha esportato merci per 116,3 miliardi di euro ed importato per 95,7 miliardi di euro. Sulla base dei risultati preliminari, le esportazioni sono rimaste praticamente invariate rispetto a novembre 2017, mentre le importazioni sono aumentate del 3,6%. Corrette per i giorni di calendario e destagionalizzate, le esportazioni sono diminuite dello 0,4% rispetto al mese di ottobre, mentre le importazioni sono diminuite dell’1,6%. Quest’ultimo pare essere il dato congiunturale più significativo. La bilancia commerciale ha chiuso a novembre 2018 con un surplus di 20,5 miliardi di euro, rispetto ai 23,7 miliardi del novembre 2017.

Per quanto riguarda i flussi geografici, nello scorso mese di novembre sono stati esportati beni per 68,1 miliardi di euro verso il complesso degli Stati membri dell’Unione europea (Ue) ed importati da questi per 54,5 miliardi di euro. Rispetto a novembre 2017, le esportazioni verso i paesi dell’Ue sono aumentate dello 0,3% e le importazioni del 3,1%. L’export tedesco verso i Paesi l’Eurozona è stato di 42,8 miliardi di euro (-0,4%), mentre l’import è arrivato a 34,8 miliardi (+ 2,9%). L’export verso i paesi dell’Ue non appartenenti all’area dell’euro è stato di 25,3 miliardi di euro (+ 1,3%), mentre l’import è arrivato a 19,7 miliardi di euro (+ 3,3%). Si nota una diversa dinamica, molto più rallentata da e verso l’Eurozona rispetto al resto della Ue.

Sempre a novembre scorso, la direttrice extra-Ue ha presentato questo profilo: export per 48,2 miliardi di euro ed import per 41,2 miliardi di euro. Rispetto a novembre 2017, le esportazioni tedesche sono diminuite dello 0,4%, mentre le importazioni sono aumentate del 4,3%. Da tutti questi dati relativi al commercio con l’estero si evince che il forte rallentamento della economia tedesca non ha avuto radici esogene.

Bisogna dunque guardare meglio che cosa avviene all’interno della Germania. E si rileva immediatamente la incapacità di valutare i dati statistici nel loro complesso: si guarda solo alla domanda interna delle famiglie, agli investimenti delle imprese, alle relazioni commerciali sia infra che extra europee, ma si trascura completamente il comportamento dell’operatore pubblico. Nessuno infatti sembra essersi preso la briga di capire se, e come, il tonitruante saldo attivo del bilancio pubblico tedesco sta impattando in modo recessivo sull’economia: secondo i risultati preliminari dell’Ufficio federale di statistica (Destatis), già nella prima metà del 2018 la PA ha accumulato un avanzo di 48,1 miliardi di euro. In rapporto al Pil semestrale calcolato a prezzi correnti (pari a 1.671,8 miliardi di euro), il risultato è stato del 2,9%. E’ un dato esorbitante, fortemente costrittivo, visto che il Fmi ha previsto per l’intero 2018 un avanzo di bilancio pari a 50,7 miliardi di euro, con un peso sul Pil annuale pari all’1,5%: il dato di gestione è stato quindi pari al doppio rispetto a quello previsionale. Non risulta al momento il dato relativo all’attivo del saldo primario, che sempre il Fmi ha stimato pari a 73,5 miliardi di euro per l’intero 2018, con un peso sul Pil pari al 2,2%. Se anche questa dinamica si fosse parametrata alla precedente, il contributo negativo alla crescita economica sarebbe stato pari, nel solo primo semestre, al 2,2% del Pil: una enormità.

L’economia tedesca sta rallentando a causa della austerità fiscale: se per uscirne praticasse con ancora più rigore le riforme strutturali che predica da anni, si avviterebbe nella depressione. Non solo esporta disoccupazione per via del saldo commerciale strutturalmente attivo, ma ora sta sperimentando sulla pelle dei suoi cittadini le conseguenze di una politica di bilancio recessiva.

I tedeschi non cambieranno idea. Neppure noi: Medice, cura te ipsum.

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