Il rilancio delle principali economie occidentali dopo la tempesta Covid19 passa attraverso i piani strategici come la Build Back Agenda per gli USA e il Next Generation EU (NGEU) per le economie europee. In Italia il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è lo strumento attraverso il quale il Governo, facendo affidamento sulle risorse NGEU, punta a superare le principali debolezze strutturali che hanno storicamente frenato le potenzialità dell’economia nazionale.
Il PNRR: puntare sulla competitività
Il Piano si sviluppa intorno a tre assi strategici, digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica e inclusione sociale e si articola in sei Missioni: digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo, rivoluzione verde e transizione ecologica, infrastrutture per una mobilità sostenibile, istruzione e ricerca, inclusione e coesione e salute. Gli investimenti saranno tanto pi profittevoli quanto più saranno dirottati verso ambiti competitivi del sistema produttivo.
Sostenibilità: da etica a profitto
L’ultimo rapporto SACE “Ritorno al futuro: anatomia di una ripresa post-pandemica” sostiene che la sostenibilità ambientale non è più solo una questione di etica, ma sempre più una leva per la competitività delle imprese. Secondo un’indagine elaborata nel 2020 dal Centro Studi Tagliacarne-Unioncamere su 3mila imprese manifatturiere “le imprese che hanno investito in processi e/o prodotti a maggior risparmio energetico e/o minor impatto ambientale mostrano una maggiore propensione all’export: un’impresa green su due esporta, mentre per le imprese non green questo rapporto è di uno a tre”.
Più green più internazionali
Le imprese green si dimostrano più costanti rispetto a quelle non green anche in termini di presenza sui mercati internazionali. “Tra le imprese esportatrici, quelle regolari, ossia non occasionali (cioè che hanno sempre esportato dal 2017 al 2021 compreso) sono più frequenti nel caso delle imprese eco-investitrici – continua il rapporto -. A ciò si aggiunge anche la più elevata capacità delle imprese green di esportare in più mercati, con una media di 22 Paesi di destinazione contro i 17 per le imprese esportatrici non green”.
Investimenti green un impegno stabile nel tempo
Le imprese esportatrici si dimostrano, inoltre, più votate alla strategia di investimenti in transizione ecologica rispetto a quelle non esportatrici. Infatti, stando ai dati del rapporto, non solo è più elevata per le imprese che esportano la quota di quelle che hanno già investito nel green nel triennio 2017-19 (17% vs 11%) ma è anche più elevata la quota delle imprese che hanno già investito nel green nel passato triennio e che investiranno anche nel triennio 2021-23 (18% tra le esportatrici vs 11% tra le non esportatrici).
La sostenibilità conviene
Le ragioni del maggiore orientamento green delle imprese che esportano sono molteplici. Tra questi una domanda internazionale formata da consumatori e imprese sempre più attenti alla sostenibilità dei prodotti “dalle materie prime utilizzate al loro tasso di riciclo, passando per la sostenibilità dei processi per mezzo dei quali sono stati realizzati”. È anche per questo che le imprese che investono nella sostenibilità ambientale hanno non solo una maggiore apertura internazionale, ma anche una maggiore propensione all’export: la quota di fatturato estero sul totale fatturato nel caso delle imprese green è superiore di sei punti percentuali rispetto alle imprese non green. Migliori sono anche le performance di export delle imprese green “la quota di queste, che dichiara un aumento delle esportazioni nel 2021, è superiore rispetto a quella delle imprese non green”. Il report rileva che la componente green spinge tanto l’internazionalizzazione, cioè la capacità di esportare, quanto il rafforzamento della presenza sui mercati esteri misurata come regolarità della presenza e propensione all’export. Non a caso sono proprio le imprese esportatrici quelle più propense a puntare sul green per accrescere la propria competitività, consapevoli anche dei rischi che il cambiamento climatico rappresenta per la propria azienda e la società più in generale.
Un sostegno alla svolta green dalla quarta rivoluzione industriale
Un ulteriore fattore di spinta agli investimenti green proviene dalle tecnologie. Secondo dati del Centro Studi Tagliacarne-Unioncamere esiste una forte relazione tra tecnologie 4.0 e apertura all’export. Le tecnologie più moderne, infatti, riducono le distanze, favoriscono l’acquisizione delle informazioni, velocizzano i processi decisionali e permettono le produzioni “su misura” rispetto ai repentini cambiamenti di domanda. In questo senso, le imprese esportatrici dimostrano di avere una più elevata inclinazione verso l’adozione di tecnologie legate all’Industria 4.0. Nello specifico, le imprese che hanno investito sia nella sostenibilità ambientale sia in Industria 4.0 (“imprese green & digitali”) sono più diffuse tra le imprese esportatrici rispetto alle non esportatrici.
Le imprese green esportatrici: grandi e giovani
Il report di Sace ha rilevato che le imprese esportatrici green sono maggiormente concentrate nella classe dimensionale medio-grande (il 25% si trova nella classe 50-499 addetti, contro il 10% delle imprese esportatrici non green e il 3% di quelle non esportatrici), al Nord (71% vs 67% e 58%) e nei settori ad alta o medio-alta intensità tecnologica (33% vs 28% e 12%). Oltre ad essere mediamente più grandi sono anche mediamente più giovani. Le imprese la cui proprietà è nelle mani di under 35 mostrano una lieve maggiore propensione all’export rispetto a quelle guidate da un management di età maggiore. Le imprese esportatrici green hanno una maggiore quota di casi in cui vi sia parità di rappresentazione di genere all’interno del management, evidenziando così la “forza del mix”. Infine le imprese esportatrici green vedono una lieve maggiore presenza di imprese a proprietà familiare, e tra queste le meglio posizionate sono quelle con un management esterno alla famiglia. Un altro caso in cui ricorrere al “mix” tra tradizione e innovazione paga.