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Manovra

Perché le coperture finanziarie della manovra si fermano al 2019?

Il commento di Gianfranco Polillo, già sottosegretario all'Economia e alle Finanze, sulle coperture finanziarie della legge di bilancio presentata dal governo Conte

Il paradosso è evidente. I maggiori rimbrotti da parte della Commissione europea nei confronti dell’Italia non riguardano solo l’anno che verrà, ma il 2020. Nel secondo anno della previsione finanziaria, infatti, le distanze tendono ad aumentare in modo preoccupante. Con un deficit di bilancio destinato superare le colonne d’Ercole del 3 per cento (3,1 per cento), ed entrare in rotta di collisione non solo con il Fiscal compact, ma le stesse regole di Maastricht. Quando, invece, il Governo italiano aveva previsto un suo relativo contenimento, segnato dal passaggio dal 2,4 al 2,1 per cento. Conti che non sembrano tornare. Per il 2019 la distanza tra le due diverse previsioni è pari allo 0,5 per cento del Pil. Che raddoppia l’anno successivo con una differenza pari ad un tondo 1 per cento. Come si spiega?

Una prima risposta investe direttamente il cielo della politica. Il “contratto per il governo del cambiamento” deve avere attuazione. Quindi la “manovra del popolo” dovrà farsi carico delle relative spese. Ed ecco allora una prima spiegazione delle coperture recate dalla “legge di bilancio”. Secondo la Relazione tecnica della Ragioneria, le maggiori spese del relativo articolato saranno pari a poco più di 18,5 miliardi all’anno, con leggere variazioni nel corso del triennio. Per circa il 75 per cento deriveranno dall’introduzione del reddito di cittadinanza e dalla riforma della Legge Fornero. Per entrambe è stato appostato uno specifico fondo, in attesa di conoscere la natura del successivo provvedimento che sarà varato – non è ancora chiaro – con un decreto legge oppure con un disegno di legge collegato alla manovra.

Al primo capitolo sono destinate risorse fresche per un totale di 6,8 miliardi, potendosi utilizzare il vecchio Fondo povertà, istituito nella precedente legislatura, con una dotazione di circa 2,2 miliardi. Per un totale di 9. Alla riforma della Legge Fornero sono, invece, destinati 6,7 miliardi, nel primo anno e 7 nei successivi. In apparenza: pari e patta, considerando la diversa intensità con cui Lega e 5 stelle guardano ai due diversi provvedimenti.

In apparenza, si diceva. Nella dotazione del Fondo per il reddito di cittadinanza sono, tuttavia, compresi i costi relativi al potenziamento dei Centri per l’impiego. Valore presunto: circa 1 miliardo. Ne consegue che per il salario di cittadinanza vero e proprio ne restano solo 8. Saranno sufficienti? Sembrerebbe di no: stando almeno alle ultime stime della Svimez. Per poter garantire a tutti i potenziali beneficiari il raggiungimento di una soglia pari a 780 euro, tenendo conto della numerosità delle famiglie e della casa di proprietà, sarebbero necessarie risorse pari a 16 miliardi l’anno. Quindi o si restringe la platea dei beneficiari (altro che scomparsa della povertà) o si riduce il sussidio almeno della metà.

Stesse incertezze contabili per quanto riguarda la riforma della Legge Fornero. Lo stanziamento iniziale (6,7 miliardi) è incrementato per il solo 2020 di 300 milioni. Rimane, invece, immutato l’anno successivo, nella presunzione che quest’ultimo sia il costo a regime dell’intera operazione. L’ipotesi non è realistica. Se fosse così vi sarebbe solo lo scalino del 2019, quindi il flusso si arresterebbe, salvo il piccolo incremento del 2020. Per tornare tutto come prima. Le previsioni della stessa Nota di aggiornamento al Def sembra, invece, contraddirne i fondamenti. Pur con la cautela del caso (calcoli estremamente complessi) si possono infatti individuare più realistici ordini di grandezza. Calibrati sull’ipotesi che i comportamenti siano reiterati. Che ogni anno, cioè, lo stesso numero di pensionandi scelga il pensionamento anticipato, secondo le nuove facilitazioni legislative. Ebbene, in questo caso, mancherebbero all’appello 6,8 miliardi nel 2020 ed addirittura 14,5 nel 2021.

Il Servizio Bilancio della Camera dei deputati, nell’indeterminatezza del successivo panorama legislativo, non ha potuto che mettere le mani avanti. Ha ricordato, innanzitutto “che la previsione di limiti di spesa anche a fronte di misure – quali ad esempio quelle pensionistiche – che determinano in capo ai destinatari posizioni giuridiche non comprimibili presuppone che la disciplina attuativa e la connessa quantificazione dei relativi effetti finanziari siano tali da assicurare la coerenza degli stanziamenti rispetto all’impatto effettivo delle misure da introdurre.”

Tradotto in un linguaggio intellegibile ai non iniziati, significa che il riconoscimento di diritti soggettivi una volta concesso non può poi essere negato dall’eventuale carenza di risorse finanziarie. Ne deriva, pertanto, che, ai fini della necessaria quantificazione andrebbero considerati gli “oneri permanenti variabili nel tempo in considerazione della sovrapposizione, di anno in anno, delle leve interessate all’erogazione di prestazioni pensionistiche”. Dando quindi sostanza alle nostre ipotesi di quantificazione, seppur nell’ambito delle semplificazioni indicate.

Resta, infine, il problema dell’Iva e delle accise sui carburanti. Quelle clausole di salvaguardia che si trascinano dal 2011 e che non hanno ancora trovato una definitiva soluzione. La legge di bilancio sterilizza solo per il 2019 il previsto aumento: per un importo pari 12,5 miliardi circa. Per gli anni successivi il ristoro è solo parziale nell’ordine di 5 miliardi per il 2020 e 4 l’anno successivo. Ciò significa che per gli anni successivi dovranno essere individuate nuove risorse per un importo superiore a 13,6 miliardi nel 2020 e 15,6 negli anni successivi. Una stima non condivisa dall’Ufficio bilancio della Camera dei deputati, che l’aumenta di circa 1,5 miliardi nel 2019 e di oltre 2,5 negli anni successivi. Se queste risorse non verranno trovate, l’aliquota dell’Iva ridotta dovrà aumentare dal 10 all’11,5 per cento e quella ordinaria dal 22 al 24,1 per cento.

Per le accise sui carburanti è stato seguito lo stesso criterio: completa sterilizzazione degli aumenti per il 2019, ma solo parziale per gli anni successivi. Ci vorranno, per questo, altri 300 milioni, che dovranno essere individuati nelle pieghe del bilancio. Molto dipenderà ovviamente dall’andamento futuro del prezzo del petrolio. Se quest’ultimo dovesse diminuire, sarebbe sufficiente per lo Stato incamerare la differenza senza determinare aumenti dei prezzi. Ma vallo a sapere. Potrebbe anche verificarsi il contrario ed allora sarebbe tutto più difficile.

Se questi sono le determinanti effettive della “manovra del popolo”, che porta soprattutto le impronte dei 5 stelle, si comprende non solo lo stupore, ma la dura reazione della Commissione europea, orientata, per la prima volta, ad applicare le sanzioni previste per deficit eccessivo. E’ stato presentato in Europa un progetto che fa acqua da tutte le parti. Con coperture finanziarie indefinite e relative solo al primo anno d’esercizio. Quasi a lasciar intravedere che si trattasse di un programma di fine legislatura. Il sospetto che aleggia nei Palazzi romani. Può andar bene per il bizantinismo nostrano. Ma fuori dei confini nazionali assume la forma di una vera e propria farsa. Che non può che essere sanzionata.

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