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Perché la decisione dell’Istat è una manna per Meloni e Giorgetti

Superbonus: quello che Istat non dice è l’impatto decisamente positivo che questa operazione avrà sui conti dei prossimi anni. Insomma il governo ha ricevuto un enorme aiuto dall’Istat. Infatti – poiché l’impatto complessivo per i conti dello Stato non cambia – ciò che peggiora i conti del 2020-2021-2022, li migliora negli anni successivi dal 2023 al 2026. L'analisi di Giuseppe Liturri

 

Tanto tuonò che (non) piovve. Ma in altri tempi avrebbe grandinato.

Stiamo parlando di conti delle amministrazioni pubbliche resi noti questa mattina dall’Istat che hanno ufficializzato ciò che era già nell’aria da alcune settimane. Cioè che la spesa pubblica per i vari bonus edilizi deve gravare sull’anno in cui è maturato il diritto all’intera detrazione fiscale, anziché essere spalmato sugli anni (4, 5, 9 o 10) in cui il contribuente può compensare tali importi con i propri debiti fiscali.

Questo ha determinato un vero e proprio terremoto per i conti dello Stato nel triennio 2020-2022.

Come si rileva da questa tabella, l’effetto soprattutto sul 2021 e 2022 è di notevoli dimensioni.

Nel 2022 – l’anno in cui è esploso l’utilizzo del Superbonus – si rileva un maggior deficit/Pil per 2,4 punti percentuali (da 5,6% a 8%), in cifra assoluta parliamo di 81 miliardi di maggior deficit sull’intero triennio. Una cifra che, se dichiarata in sede programmatica da Mario Draghi quando, nell’autunno 2021, stava preparando il bilancio 2022 avrebbe mandato in subbuglio i mercati. Ricordiamo sempre che il governo Conte 1 fu crocifisso dai mercati – opportunamente imbeccati dalla Commissione con dichiarazioni irresponsabili – per sei settimane tra ottobre e novembre 2018 a causa di un misero 0,4 di deficit/Pil in più.

Invece per tutta la giornata di ieri i mercati non hanno battuto ciglio. Btp e spread si sono mossi a causa di ben altre motivazioni.

Cominciamo col dire che questa operazione è una mera riclassificazione, cioè si tolgono voci di uscite da alcune annualità e le si aggiungono su altre. L’Istat sottolinea che l’impatto complessivo della misura agevolativa sul deficit delle Amministrazioni pubbliche è il medesimo, sia che la stessa sia registrata come minore entrata tributaria, sia che venga registrata come maggiore spesa. Muta, invece, il profilo temporale di tale impatto”. Non cambia nulla anche sotto il profilo dell’impatto sul livello di debito pubblico: a prescindere dall’anno in cui si manifesta il deficit (saldo annuale tra entrate ed uscite), sempre debito è. Cosa ben diversa è l’impatto delle agevolazioni sul cosiddetto “ricorso al mercato”, cioè l’emissione di titoli pubblici per finanziare il fabbisogno, si cui torneremo più avanti.

Quello che Istat non dice – ma non può dirlo perché quel documento non è la sede idonea per farlo – è l’impatto decisamente positivo che questa operazione avrà sui conti dei prossimi anni. Insomma il ministro Giancarlo Giorgetti ha ricevuto un enorme aiuto dall’Istat. Infatti – poiché l’impatto complessivo per i conti dello Stato non cambia – ciò che peggiora i conti del 2020-2021-2022, li migliora negli anni successivi dal 2023 al 2026 (solo per tenere conto degli effetti del Superbonus). E questa è una manna per il governo Meloni che, nel 2023, dovrebbe avere un deficit/PIL più basso di poco meno di mezzo punto percentuale, rispetto al dato programmatico del 4,5%. Ancora meglio nel 2024 e 2025, con un impatto stimato positivo pari a poco meno di un punto percentuale.

Avremo evidenza precisa di questi ultimi dati tra poche settimane con la pubblicazione del Documento di Economia e Finanza (DEF).

Questi nuovi dati di finanza pubblica scaturiscono da una accurata valutazione da parte di Istat/Eurostat della natura dei bonus edilizi. Se sono trasferibili, riportabili nel tempo e compensabili con altri debiti fiscali e contributivi, allora esiste una ragionevole elevata probabilità che lo Stato pagherà quel debito, seppure diluito nel tempo. La possibilità di sconto in fattura o cessione del credito, da sola, è condizione sufficiente – come peraltro abbiamo visto osservando i dati delle cessioni, almeno in una prima fase – per dare una ragionevole certezza al contribuente di beneficiare dell’agevolazione.

Allora, se è entrata (pagabile) per qualcuno, sarà uscita (pagabile) per lo Stato.

Si rivela così in tutta la sua pochezza quello che era stato strumentalmente presentato come uno spauracchio per i conti dello Stato. L’impatto sulla finanza pubblica è sempre quello, anzi, avendo caricato quasi tutto sul passato, migliorano le prospettive.

Ma ora siamo di fronte ad un paradosso. L’uso strumentale dello spauracchio di Istat/Eurostat era finalizzato a trovare una scusa per bloccare le cessioni, vera porta d’ingresso per consentire ai contribuenti di trasformare i crediti in liquidità. Ed è questo il passaggio che potrà creare veri problemi ai flussi di cassa, perché determinerà – se e quando il cessionario del credito lo compenserà con i propri debiti fiscali – una minore entrata per lo Stato ed un conseguente maggiore ricorso al mercato per finanziare il fabbisogno pubblico.

Con il mercato delle cessioni sostanzialmente bloccato – perché i tempi per riattivare il canale bancario appaiono ancora lunghi – ciò che Istat ha considerato pagabile (proprio perché c’erano le cessioni) sta diventando di fatto “non pagabile”, perché è concreto il rischio che a fine anno chi non riuscirà a detrarre dalla propria dichiarazione dei redditi o a cedere il credito, veda azzerato il beneficio. Che è l’obiettivo nemmeno tanto recondito di chi tiene i cordoni della borsa a via XX Settembre. Con buona pace del legittimo affidamento dei contribuenti e dell’Istat che ci ha messo quasi due anni per capirci qualcosa.

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