Skip to content

Cairo Calcio

Perché in Rcs il cdr del Corriere della Sera strattona Cairo

Che cosa succede al Corriere della Sera di Urbano Cairo? Fatti, numeri, algoritmi e subbugli su Rcs e dintorni

Non bastavano le ripetute sconfitte del Torino Calcio (che hanno indotto Urbano Cairo a cambiare allenatore esonerando Walter Mazzarri).

Non bastavano le grane per la disputa legale con il fondo americano Blackstone sulla vendita dell’immobile Rcs di viale Solferino (qui l’ultimo approfondimento di Start).

Ci mancavano solo le diatribe sindacali proprio al Corriere della Sera a impensierire il maggior azionista e capo azienda del gruppo editoriale Rcs, Cairo, che però si può confortare con i risultati della “Reputation Science” secondo cui è sempre in vetta tra i manager italiani, come si può leggere ogni settimana in una rubrica sul “suo” Corriere Economia, il dorso dedicato all’economia e alla finanza del Corriere della Sera:

Ma la reputazione di Cairo tra i giornalisti di Rcs è inferiore rispetto a quella calcolata dagli algoritmi di “Reputation Science”. Eppure il manager e patron di Cairo Communication e di La7 ha rimesso i conti in sesto del gruppo editoriale, come tutti gli analisti del settore riconoscono a Cairo.

Diverso il giudizio dei giornalisti del Corriere della Sera come si evince da una nota del comitato di redazione del quotidiano diretto da Luciano Fontana in cui si stimmatizzano il piano di prepensionamenti di giornalisti finanziato dallo Stato (un paradosso per un giornale dall’impostazione liberista come il quotidiano milanese) mentre l’anno scorso l’azienda guidata da Cairo “ha distribuito dividendi per oltre 30 milioni”.

Ecco di seguito ampi stralci della nota del cdr, così come ne ha dato contoieri  il sito di Prima Comunicazione:

“Ieri pomeriggio il Cdr del Corriere della Sera ha incontrato l’azienda che ha ufficialmente presentato il documento che avvia la procedura per i prepensionamenti, con accesso ai contributi statali”. Lo scrive in una nota il Cdr del Corriere della Sera. “Si tratta, scrivono, di un documento irricevibile, in quanto, testualmente, “comporterà per il Corriere della Sera una riorganizzazione del lavoro dalla quale conseguiranno 50 esuberi su un organico complessivo di 354 giornalisti”. “Di fatto l’azienda ci prospetta un taglio del 15% del corpo redazionale. Un obiettivo inaccettabile perché comporterebbe un drastico impoverimento del giornale”.

“Se poi il numero di 50 esuberi non dovesse essere raggiunto, la ricaduta economica per l’intera redazione sarebbe pesantissima. Questo, rimarcano, in un’azienda che lo scorso anno ha distribuito dividendi per oltre 30 milioni”.

“A fronte di questi tagli, Rcs prevede investimenti irrisori e di dubbia natura. Inoltre non viene confermato in maniera chiara ed esplicita il cambio del sistema editoriale, annunciato “entro il 2020” in una precedente riunione. In caso di prepensionamenti, infine, si parla di ingressi di “nuove figure legate al mondo digitale”, lasciando dunque intendere che possano essere non giornalisti. Prospettiva che il Cdr rigetta con forza”.

“Il piano punta su una nuova “riorganizzazione aziendale con vocazione al digitale” che non lascia immaginare, nemmeno in linea teorica, le possibili ricadute economiche in grado di invertire il trend negativo di ricavi editoriali e pubblicitari”.

Nel pomeriggio, anche i giornalisti di Rcs Periodici hanno diramato una nota, ribadendo il loro no all’apertura di un nuovo stato di crisi. “L’assemblea dei giornalisti di Rcs Periodici, preso atto dell’indisponibilità dell’azienda di sospendere la presentazione dell’allegato D come richiesto dall’assemblea – e anzi della sua volontà di procedere alla consegna del documento il 4 febbraio 2020 – conferma la sua assoluta contrarietà all’apertura di un nuovo stato di crisi nelle redazioni della Periodici”. “L’assemblea ribadisce la sua opposizione in considerazione dei gravosi sacrifici già compiuti dalla Periodici negli anni scorsi e di bilanci Rcs in utile, come dimostra la distribuzione di dividendi agli azionisti e di premi ai dirigenti di prima fascia.

Torna su