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Recovery Plan Lavoro

Perché il decreto Sostegni bis non salverà 1,5 milioni di posti di lavoro

Lo sterile dibattito sul blocco dei licenziamenti. L'intervento di Giovanni Assi Consigliere nazionale di Unimpresa

 

Gli ultimi dati diffusi dall’Anpal e dall’Istat hanno definitivamente certificato il fallimento delle politiche del lavoro degli ultimi anni. Scelte che hanno crudelmente evidenziato quanto le politiche attive decise fin qui siano state disastrose e gli ultimi provvedimenti, compreso il decreto “sostegni bis”, sono un fallimento annunciato per la ripresa dell’occupazione. Ben 814.000 posti di lavoro sono andati in fumo da febbraio 2020 ad aprile 2021, 8 milioni e 200.000 lavoratori disoccupati che hanno presentato la disponibilità al lavoro ai centri per l’impiego e l’unico segno positivo, ovvero i 123.000 occupati in più da gennaio 2021, sono per la quasi totalità contratti a tempo determinato ovvero quella tipologia contrattuale pressoché bandita (o, se preferite, demonizzata) dal decreto “dignità”.

Questi numeri rappresentano inequivocabilmente il risultato di politiche per il lavoro scellerate dove si è pensato esclusivamente a porre in atto politiche passive o, per meglio dire, assistenzialistiche. Si tratta di interventi meritevoli, ma, se non accompagnati da politiche attive per il lavoro, ci consegnano il quadro di incentivi alle assunzioni più scarno degli ultimi 30 anni. Le agevolazioni per le assunzioni sono arrivate con il contagocce e, peraltro, presentano dei requisiti soggettivi talvolta impossibili da rispettare. Esempio: un lavoratore di 35 anni non deve mai aver svolto un giorno di lavoro con un contratto a tempo indeterminato, neanche se risale a più di quindici anni. Non solo: laddove si è fortunati a trovare l’aspirante lavoratore con i requisiti giusti ecco un’altra valanga di condizioni, alcune giustissime come il rispetto delle norme in materia di sicurezza, altre molto meno perché la richiesta di regolarità contributiva, in questa fase nella quale le aziende italiane hanno sofferto gli effetti della crisi economica innescata dalla pandemia, è illogica.

Senza dimenticare il fatto che le circolari operative arrivano sempre in ritardo. La dichiarazione di compatibilità da parte della Commissione europea, che oggi blocca alcune agevolazioni rendendole inutilizzabili, obbliga il datore di lavoro a pagare, nell’immediato, i contributi “pieni” che potranno essere recuperati solo dopo il via libera della stessa Unione europea.

Il decreto “sostegni bis”, quello che doveva rappresentare la base per la ripartenza dei livelli occupazionali, ha partorito l’ennesimo topolino insignificante i cui risultati sembrano segnati: il datore di lavoro, in questo scenario di incertezza totale, dovrebbe assumere a tempo indeterminato per usufruire di uno “sconticino” sui contributi di soli sei mesi e per un’agevolazione massima di 3.000 euro. Peraltro, l’agevolazione non vale da subito, ma solo per le assunzioni effettuate dal 1 luglio al 31 ottobre.

Vi sono poi aree di lavoratori totalmente dimenticate. È il caso della fascia tra i 36 e i 49 anni, che continua a perdere occupati (meno 277.000 unità in un anno): si tratta di persone che, espulse dal mercato del lavoro, fanno più difficoltà a rientrarvi e vedono il traguardo della pensione ancora troppo lontano. Nonostante questo quadro, governo e parti sociali continuano a parlare solo del blocco dei licenziamenti, senza mai realmente pensare a quello che accadrà al termine del divieto di licenziare che, prima o poi, arriverà e porterà via 1,5 milioni di posti di lavoro. Ed è evidente che se si insiste solo col reddito di cittadinanza o di emergenza, senza incentivare le assunzioni, il risultato, drammatico, sarà questo.

Adesso più che mai serve coraggio, bisogna davvero riformare questo mercato del lavoro obsoleto, occorre una riforma del lavoro che abolisca il decreto dignità: l’obiettivo complessivo deve essere un mercato del lavoro flessibile, una drastica riduzione del costo del lavoro con agevolazioni contributive di immediato e semplice utilizzo, una riforma degli ammortizzatori sociali con unico sostegno che non gravi sulle casse delle aziende e che, al tempo stesso, garantisca un vero supporto economico ai lavoratori.

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