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Ecco perché Greenpeace fa nera Generali sugli investimenti green

L'articolo di Emanuela Rossi

 

Oltre 1.000 miliardi di dollari da parte di 4.488 investitori istituzionali: a tanto ammonta il supporto della finanza globale al settore del carbone a cinque anni dall’Accordo di Parigi sul clima. I numeri arrivano dalla ricerca pubblicata da Urgewald, Re:Common e altre 27 Ong internazionali che per la prima volta tenta di analizzare l’esposizione di banche commerciali, compagnie assicurative e investitori nei confronti dell’industria del carbone. La ricerca, aggiornata a gennaio 2021, esamina i flussi finanziari destinati alle 934 società del settore del carbone presenti sulla Global Coal Exit List. Dall’altra parte si consideri che tra il 1° ottobre 2018 e il 31 ottobre 2020 sono state identificate 665 banche che hanno fornito prestiti per 315 miliardi di dollari e attività di sottoscrizione per oltre 808 miliardi di dollari.

Parzialmente in controtendenza i dati sulla finanza italiana: l’esposizione al carbone dei principali attori come UniCredit, Assicurazioni Generali e Intesa Sanpaolo inizia a diminuire, dopo aver toccato il suo apice nel 2019. Ma non è tutto oro quel che luccica e soprattutto per il Leone di Trieste c’è qualche critica. Intanto le emissioni green continuano a piacere e in Italia pochi giorni fa si è registrato un record per il primo Btp Green.

COME SI STANNO MUOVENDO UNICREDIT, GENERALI E INTESA

Dando uno sguardo alla realtà italiana, secondo i dati forniti da Greenpeace Unicredit è avanguardista. Proprio di recente il gruppo bancario di piazza Gae Aulenti ha deciso di adottare una politica che entro il 2028 dovrebbe progressivamente azzerare qualsiasi finanziamento a progetti e società coinvolte nel business del carbone. Anche Generali prosegue nel suo disinvestimento dall’industria carbonifera, sulla scia degli impegni presi nel 2018, ma secondo le organizzazioni promotrici della ricerca la fuoriuscita dal settore “procede troppo a rilento, perché gli investimenti nel settore ammontano ancora a più di 200 milioni di dollari, di cui il 10% in ČEZ e PGE, società che stanno ostacolando la transizione energetica rispettivamente in Repubblica Ceca e Polonia”. Inoltre, sebbene la ricerca si focalizzi soltanto sugli investimenti, “bisogna anche tenere in considerazione i contratti assicurativi ancora in essere stipulati dal Leone di Trieste con le due società, che aggravano ulteriormente la sua posizione”.

A sorpresa c’è poi la performance di Intesa Sanpaolo che tra il 2019 e il 2020 ha diminuito i prestiti al carbone di circa il 70%, nonostante una delle policy settoriali più deboli in Europa, secondo la ricerca. Un risultato che è stato ottenuto, si legge ancora, grazie alla pressione esercitata nell’ultimo anno da Greenpeace e Re:Common. “È ora che Intesa sostenga questi passi con l’adozione di una policy sul carbone robusta come quella di UniCredit” è stato il commento di Re:Common secondo cui questa è “l’unica maniera per evitare che il sostegno al carbone torni a crescere in futuro, e anzi diminuisca costantemente fino ad azzerarsi entro il 2030”.

LE MOSSE DI DONNET

Proprio in questi giorni si registrano alcune parole sul tema da parte di Philippe Donnet, amministratore delegato di Generali, intervistato nell’ambito del Politico Finance Summit 2021. Per il manager francese un’eventuale revisione di Solvency 2 dovrebbe essere orientata a dare un contributo alla ripresa economica magari agendo sul calo del peso assegnato alla rischiosità degli investimenti, in particolare sugli asset verdi. “Per esempio si potrebbe pensare a una asset class speciale per quanto riguarda i green bond e trattarli meglio in tema di assorbimento di capitale per spingere gli investitori di lungo periodo e le assicurazioni a puntare su questi asset” ha detto Donnet secondo cui oggi l’Europa ha l’opportunità di costruire un sistema di protezione complessivo al quale dovrebbero contribuire, tra gli altri, assicurazioni, riassicurazioni e Stati membri, e di cui beneficerebbero sia le persone sia le imprese.

L’ACCUSA ALLA FINANZA GLOBALE

Tornando alla questione del supporto all’industria del carbone, se la Conferenza sul clima di Glasgow del 2020 si fosse tenuta regolarmente – anziché essere rinviata al 2021 per l’emergenza pandemica – sul banco degli imputati ci sarebbe stata innanzitutto la finanza globale. Le organizzazioni ricordano che il 17% degli oltre mille miliardi investiti è imputabile ai colossi statunitensi Vanguard e BlackRock e, tra azioni e bond, gli Stati Uniti pesano per più della metà degli investimenti globali, circa 602 miliardi di dollari. Le cose non vanno meglio dalle parti delle banche commerciali che, nel biennio successivo al report IPCC del 2018, hanno erogato 315 miliardi di dollari all’industria del carbone con la parte del leone fatta da tre istituti di credito giapponesi ovvero Mizuho (22 miliardi), Sumitomo Mitsui (21 miliardi), Mistubishi UFJ (18 miliardi).

L’APPELLO ALL’ITALIA

Nel mese di novembre a Glasgow si terrà la CoP Clima, di cui l’Italia ha la copresidenza. Nel nostro Paese si svolgerà, a Milano, la CoP Giovani e una riunione intersessionale fra settembre e ottobre. Una settimana prima della CoP, a Roma, è invece in programma la riunione del G20 a presidenza italiana. Da qui l’invito di Greenpeace Italia: “Nell’anno della COP26, co-presieduta dall’Italia, e del G20 di Roma, la finanza italiana non può tirarsi indietro e deve dare un chiaro segnale. Gli occhi del mondo saranno puntati sul nostro Paese in materia di clima, ambiente e transizione ecologica”.

IL BTP GREEN

Intanto in Italia si registra un’attenzione per il green da parte degli investitori vista la domanda per oltre 80 miliardi di euro da parte di 530 investitori e una vendita pari a 8,5 miliardi, del Btp Green – emesso il 3 marzo – ossia il nuovo titolo per finanziare la spesa ‘eco-friendly’. Un debutto che peraltro avviene in concomitanza con la scelta di Palazzo Chigi di istituire un ministero per la Transizione ecologica per disegnare il Recovery plan e che fa festeggiare il Tesoro. C’è da dire che l’Italia su questa strada segue Polonia, Francia, Belgio, Irlanda, Paesi Bassi, Germania e Svezia ma è il primo Paese del blocco mediterraneo e comunque, come ha informato il Mef, ha raggiunto “il record di richieste nelle emissioni inaugurali di Green Bond sovrani in Europa”. “Il successo del collocamento porterà altri emittenti a lanciare obbligazioni verdi” è l’opinione di Simon Bond, direttore investimento responsabile di Columbia Threadneedle, mentre per Vittorio Ogliengo, executive chairman di Bnp Paribas CIB Italy il successo dell’emissione “evidenzia la molteplicità delle leve ambientali da attivare per affrontare la crisi del clima e della biodiversità” e mostra che “gli investitori si mobilitano per supportare quegli Stati che portano le loro ambizioni in tema di ambiente e clima sui mercati dei capitali”.

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