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First Republic

Perché First Republic Bank farà splash

Le istituzioni politiche e finanziarie americane stanno lavorando per trovare una soluzione di sistema per First Republic Bank. Fatti, numeri e approfondimenti

America in ansia per First Republic Bank.

La Federal Reserve, il Dipartimento del Tesoro e la Federal Deposit Insurance Corporation (Fdci) stanno lavorando per trovare una soluzione di sistema per il salvataggio de facto di First Republic Bank.

L’autorità americana di controllo bancario sta infatti per mettere in liquidazione amministrativa coatta la First Republic Bank, secondo i media americani.

La decisione è arrivata dopo il crollo a Wall Street, con il meno 43 per cento registrato nella giornata di venerdì scorso dal titolo, conseguente le voci di una bancarotta imminente. Dall’inizio dell’anno First Republic Bank ha perso il 97 per cento.

CHE COSA SUCCEDERA’ A FIRST REPUBLIC BANK

Secondo le indiscrezioni raccolte da Bloomberg, Reuters e Wall Street Journal, l’Autorità statunitense Fdic sta cercando di quadrare il cerchio di un commissariamento-salvataggio che coinvolga anche banche private (si parla di JP Morgan, PNC, Bank of America, Citizen Financial e altri istituti) per evitare che l’istituto finisca formalmente in fallimento. “Anche perché, con 233 miliardi di attivi, si tratterebbe del secondo più grande crack bancario nella storia Usa. Non poca cosa, insomma”, chiosa il Sole 24 ore.

IL RUOLO DI JP MORGAN

L’operazione dovrebbe passare per un commissariamento da parte delle Autorità Usa e poi per un’acquisizione totale o parziale da parte di JP Morgan e delle altre banche che avevano già manifestato alla Fdic nei giorni scorsi l’intenzione di muoversi.

COME NASCE LA CRISI DI FIRST REPUBLIC BANK

La crisi di First Republic Bank, quattordicesima banca statunitense con sede a San Francisco che da inizio anno ha perso in Borsa il 97%, era esplosa a marzo dopo il crack della Silicon Valley Bank.
Nei giorni scorsi la banca ha diramato i conti trimestrali denunciando una fuga di depositi tra gennaio e marzo per oltre 100 miliardi di dollari. Molto superiore alle attese. Considerando che First Republic a dicembre 2022 aveva 176,4 miliardi di depositi, significa che ne ha persi ben più di metà in tre mesi. L’istituto è sopravvissuto fino ad oggi solo grazie ai prestiti della Federal Reserve, ma ormai è evidente che questa vicenda sia arrivata al capolinea.

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First Republic e non solo, perché le banche regionali mettono ansia all’America. L’approfondimento di Start Magazine

ESTRATTO DI UN ARTICOLO DI START MAGAZINE DI MARZO 2023

COME PROCEDE LA CRISI DELLE BANCHE REGIONALI AMERICANE

Un funzionario degli Stati Uniti rimasto anonimo ha detto domenica all’agenzia Reuters che i deflussi dei depositi dalle banche regionali americane (come First Republic, PacWest o Western Alliance) stanno rallentando, e in alcuni casi si stanno anche invertendo, ma gli investitori non sono ancora convinti che la crisi sia passata. Il funzionario ha poi aggiunto che l’esposizione delle banche statunitensi al gruppo svizzero Credit Suisse, che verrà comprata da UBS per evitarne il fallimento, è limitata.

Anche alcune banche regionali americane hanno fatto sapere che le loro basi di depositi si sono stabilizzate.

Reuters riporta che quattro legislatori statunitensi hanno detto di voler prendere in considerazione un aumento del limite di assicurazione federale sui depositi rispetto agli attuali 250.000 dollari per ispirare maggiore fiducia nel sistema.

COSA STA FACENDO LA FDIC

La FDIC, l’ente governativo che fornisce assicurazione sui depositi delle banche e che ha preso il controllo di Silicon Valley Bank e Signature Bank, sta lavorando per riportarle nelle mani del settore privato. Ha annunciato che la New York Community acquisterà depositi, prestiti (con uno sconto di 2,7 miliardi) e quaranta filiali di Signature Bank. La FDIC stima che l’operazione avrà un impatto di 2,5 miliardi sul proprio fondo.

L’autorità non sta invece riuscendo a trovare un acquirente per l’interezza di Silicon Valley Bank, ma – stando alle fonti di Reuters – dovrebbe cercare nuove offerte per delle porzioni della banca mercoledì e venerdì.

LO STUDIO DI SOCIAL SCIENCE RESEARCH

Secondo uno studio di Social Science Research, la crisi bancaria statunitense, nel peggiore scenario possibile, potrebbe mettere in difficoltà centonovanta istituti.

Particolarmente problematiche sono le perdite potenziali legate al portafoglio di titoli indicati come held to maturity, quelli che le banche vogliono conservare fino alla loro scadenza: tali perdite ammonterebbero a 2000 miliardi, molto più dei 620 miliardi stimati dalla FDIC a fine 2022. A questo si aggiungono i deflussi dei depositi, che secondo JPMorgan sarebbero ammontati a 550 miliardi solo nella terza settimana di marzo. In ultimo, c’è la possibile carenza di titoli “da consegnare come garanzia per ottenere finanziamenti dalla Fed”, la banca centrale degli Stati Uniti, scrive Il Sole 24 Ore.

Questi problemi sono legati tra loro. Come spiega il quotidiano, i titoli held to maturity vengono contabilizzati al costo ammortizzato e non al loro valore di mercato: la banca, dunque, non segnala perdite qualora i prezzi dovessero scendere. Il rialzo dei tassi portato avanti dalla Fed e da altre banche centrali durante il 2022 ha causato una notevole diminuzione dei prezzi delle obbligazioni: per le banche, la perdita media potrebbe essere stata del 10 per cento, ma una parte di questa – quella che rientra negli held to maturity – non compare nei bilanci.

Di conseguenza – è il caso di Silicon Valley Bank -, qualora una banca dovesse attingere a questi titoli e venderli prima della scadenza per rispondere a un aumento dei prelievi, finirebbe per riportare “tutto d’un colpo le intere perdite che non aveva mostrato nel 2022”, scrive Il Sole 24 Ore.

Una parte significativa dei depositi bancari americani non è coperta dalla garanzia federale, che si ferma a 250.000 dollari. Secondo uno studio degli economisti Erica Jiang, Gregor Matvos, Tomasz Piskorski e Amit Seru, il 23 per cento delle attività delle banche statunitensi è finanziato da depositi non assicurati. In momenti di incertezza, questi depositi sono i primi a venire trasferiti altrove: in questo preciso momento nei fondi monetari, per approfittare degli interessi al 4,58 per cento garantiti dai titoli di stato americani a tre mesi (i conti correnti, invece, offrono interessi circa allo zero).

Secondo lo studio, se il 10 per cento dei depositi non assicurati dovesse venire ritirato dalle banche, gli istituti a rischio fallimento sarebbero sessantasei, con 201 miliardi di attivi.

ESTRATTO DI UN ARTICOLO DEL 30 APRILE DEL SOLE 24 ORE SU FIRST REPUBLIC:

La crisi di First Republic Bank, come quella della Silicon Valley Bank, è stata causata da un mix di regolamentazione troppo lasca, vigilanza assente e business model squilibrato. Tutto è scoppiato a causa dell’aumento dei tassi, che ha fatto emergere proprio i problemi del business model. Fondata nel 1985, First Republic ha erogato molti mutui residenziali (a un tasso medio del 2,89%) di cui più del 60% di tipologia interest only. Cioè con rimborso del capitale alla fine. A questi magri rendimenti si contrappone un costo dei depositi che nel 2022 è stato in media solo dello 0,71% ma che nel primo trimestre del 2023, secondo stime riportate da Bloomberg, si aggira tra il 3 e il 4%. Quando è scoppiata la crisi della Silicon Valley Bank, ed è arrivata la colossale emorragia di depositi, il crack è diventato inevitabile. Così ora la First Republic Bank è arrivata al capolinea.

Per le Autorità si tratta ora di far quadrare il cerchio. Per giorni è stata tentata la via del salvataggio solo privato, con vari advisor coinvolti nel tentativo, ma senza successo. Anche perché JP Morgan, che da marzo è capofila al capezzale della First Republic, ha dei precedenti che sono comunque stati difficili da digerire: l’istituto guidato da Jamie Dimon (il più longevo amministratore delegato di una grossa banca Usa in sella dal 2005) nel 2008 rilevò Bear Stearns in crisi e poi acquisì anche Washington Mutual. Anche PNC non è alle prime armi in fatto di salvataggi: nel 2008 acquisì l’istituto di Cleveland National City Corp con l’assistenza del Governo. Proprio grazie a quella acquisizione è diventata una delle maggiori banche regionali Usa. Ora si prepara al bis. Insieme a JP Morgan e, forse, ad altri.

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