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Perché Conte e Tria sono stati più morbidi di Padoan con Bruxelles? Ecco prove e 2 ipotesi. L’approfondimento di Liturri

Si potrebbe ipotizzare che Conte e Tria hanno deciso di evitare toni sfidanti con la Commissione Ue confidando che a ottobre la flessibilità sarebbe stata comunque concessa da Bruxelles. Nel frattempo hanno stoppato la riforma fiscale auspicata dalla Lega. L'approfondimento dell'analista Giuseppe Liturri

 

Il dibattito sulla legge di bilancio 2020 e sul deficit che ci sarà consentito dall’Ue è appena cominciato e si annuncia piuttosto infuocato.

Gli spazi di manovra appaiono davvero ristretti e praticamente nulli. Infatti nella lettera del 2 luglio scorso, Conte e Tria hanno ribadito l’impegno al pieno rispetto del Patto di Stabilità e Crescita per il 2020, cioè un miglioramento del deficit strutturale rispetto al 2019. In breve, un deficit/Pil non superiore a 1,6/1,8%.

Anche la successiva comunicazione della Commissione al Consiglio europeo, in cui si prendeva atto degli impegni del governo italiano, non ha lasciato spazio a margini di trattativa. La Commissione infatti ha ribadito che controllerà da vicino il rispetto degli impegni assunti.

Ma dal 20 agosto il vento pare cambiato. Le voci a favore della flessibilità si stanno facendo sempre più intense ed autorevoli. È cambiato il quadro macroeconomico, l’unico elemento che dovrebbe consentire un cambio nel segno (espansivo o restrittivo) della politica fiscale? No, i segnali di rallentamento, in Eurozona ed in Italia, emersi sin dal primo semestre 2018, ricevono solo ulteriori conferme. Da ultimo, l’indice anticipatore PMI Markit, pubblicato il 2 settembre, conferma per l’undicesimo mese consecutivo il peggioramento dello stato di salute del settore manifatturiero italiano.

È cambiato “solo” il quadro politico, ma questo è un tema che sarà approfondito durante la prossima campagna elettorale, lontana o vicina che sia.

Quello che qui si vuole approfondire è invece il tono totalmente remissivo della lettera del 2 luglio. Parole di una inusitata chiarezza che non fanno il minimo accenno alla richiesta di spazi di flessibilità, oppure alla negativa congiuntura internazionale che dovrebbe giustificare politiche di bilancio più espansive.

A questo punto sorge la curiosità di un confronto con le numerose lettere scambiate, a partire dall’ottobre 2014, tra il ministro Padoan e la Commissione europea, per cercare di strappare qualche decimo di punto di deficit in più. E l’esito è sorprendente.

Il 27 ottobre 2014, è vero che Padoan rispondeva ‘ad horas’ alla lettera del commissario Ue Katainen del 22 ottobre, promettendo ulteriori tagli per €4,5 miliardi ed adeguandosi quindi, almeno parzialmente, alle richieste della Commissione. Ma almeno, a giustificazione del parziale aggiustamento, Padoan sosteneva che “…Allo stesso tempo è mio dovere ricordarle che l’economia italiana sta attraversando una delle più severe e durature recessioni della sua storia. Il pil è diminuito del 9 per cento rispetto al 2008. L’economia è nel terzo anno di recessione, esposta al rischio di una deflazione (o a un prolungato periodo di inflazione molto ridotta) e una stagnazione. Un quarto anno di recessione deve essere evitato a tutti i costi, perché sarebbe estremamente problematico tirare fuori il paese da una crisi economica così difficile. Inoltre renderebbe molto più complesso garantire la sostenibilità del debito. Per questo il governo italiano ha proposto una serie di misure volte a minimizzare questi rischi macroeconomici, perché una politica fiscale più dura e/o una soluzione radicalmente differente sarebbero troppo rischiosi e controproducenti in termini di dinamiche del debito…”.

Insomma, Padoan aveva il coraggio di sostenere che conseguire l’austerità richiesta dalla Commissione avrebbe lasciato il Paese in recessione e peggiorato la sostenibilità del debito. Quindi decideva di ridurre il deficit, ma in una misura ridotta rispetto a quella richiesta dalla Ue.

Inoltre, Padoan giustificava il mancato adeguamento, invocando le circostanze eccezionali costituite da una crescita molto al di sotto del potenziale (cosiddetto output gap).

Ma ancora più pugnace è la lettera di Padoan dell’ottobre 2016, in cui veniva messo in discussione il meccanismo di calcolo dell’output gap, da cui discende l’aggiustamento richiesto del deficit strutturale, e veniva richiesta una flessibilità aggiuntiva a causa dell’emergenza emigranti e delle spese per il terremoto.

Insomma, perfino Padoan appare un coraggioso sfidante delle regole di bilancio europee, rispetto all’ultima versione di Tria e Conte.

I quali però avevano mostrato ben altro e combattivo piglio durante l’autunno 2018 quando, con numerose lettere insistevano sul deficit/pil al 2,4% che finì per attirarci addosso la minaccia della procedura d’infrazione.

Cosa potrebbe averli quindi portati a questo evidente cambio di tono, al punto da sembrare più remissivi rispetto a Padoan?

A pensar bene, si potrebbe ipotizzare che hanno deciso di evitare toni sfidanti, confidando che a ottobre la flessibilità sarebbe stata comunque concessa facendo affidamento su un più favorevole ‘output gap’ (cioè la distanza dalla crescita potenziale, che dovrebbe essere superiore rispetto al passato in cui era incredibilmente considerata quasi nulla) che avrebbe quindi consentito un minor aggiustamento strutturale del deficit e quindi un deficit nominale più alto.

A pensar male, si potrebbe ipotizzare invece che quella lettera così acquiescente serviva a tarpare definitivamente le ali agli ambiziosi propositi di tagli di imposte più volte manifestati dall’alleato di governo, costringendolo a chiudere l’esperienza di governo, mandandolo all’opposizione e preparando il terreno per un governo gradito a Bruxelles, che poi non avrebbe tardato a manifestare la propria riconoscenza.

Pur essendo quest’ultimo uno scenario di fantapolitica non supportato al momento da alcuna conferma, non dimenticherei che a pensar male si fa peccato, ma spesso si indovina.

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