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Conte e Tria hanno già scritto con l’Europa la prossima manovra? Fatti, numeri e scenari

Perché con la lettera del 2 luglio Conte e Tria di fatto scrivevano la legge di bilancio 2020, esautorando qualsiasi margine di manovra del Parlamento e vanificando qualsiasi progetto di taglio alle tasse? La ricompensa per il governo amico di cui parlava 2 giorni fa Ottinger è proprio la flessibilità che fino al 2 luglio non esisteva? L'analisi di Giuseppe Liturri

(Rielaborazione parziale di un articolo pubblicato oggi dal quotidiano La Verità fondato e diretto da Maurizio Belpietro)

Lo scorso 2 luglio, il presidente Conte e il ministro dell’Economia Tria, scrissero una letterina di 2 pagine ai vertici della Commissione della Ue, il cui contenuto è così riassumibile:

  • Abbiamo dei risparmi di spesa e delle maggiori entrate che ci consentono di riportare il deficit/Pil del 2019 dal 2,4% (peggiorato dal famoso 2,04% per il rallentamento della crescita) al 2% circa.
  • Per il 2020 promettiamo di rispettare in pieno il Patto di Stabilità e Crescita (noto anche come Fiscal Compact) e quindi ribadiamo il nostro impegno a ridurre, rispetto al 2019, il deficit strutturale.
  • Poiché il Parlamento ci ha chiesto di evitare l’aumento dell’Iva, troveremo misure compensative agendo sui tagli di spese e sulle cosiddette ‘tax expenditures’ (in pratica riduzioni di imposte di natura agevolativa per categorie di contribuenti o tipologia di reddito).
  • Sfrutteremo anche il minor deficit prevedibile per il 2020 a legislazione vigente che si preannuncia sensibilmente più basso rispetto alla stima iniziale del 2% del DEF di aprile, proprio per le minori spese relative a reddito di cittadinanza e ‘quota 100’.
  • Proseguirà il risanamento di bilancio (‘fiscal consolidation’) di pari passo con le riforme strutturali finalizzate a migliorare il potenziale di crescita dell’economia.

Il successivo 3 luglio, a stretto giro, la Commissione comunicava al Consiglio Europeo che quegli impegni erano sufficienti per non procedere con la richiesta dell’apertura della procedura di infrazione contro l’Italia, ma aggiungeva che avrebbe tenuto sotto stretta sorveglianza l’effettiva esecuzione di quegli impegni, sia per il 2019 che per il 2020. Soprattutto avrebbe verificato l’effettiva rispondenza del bilancio 2020 ai criteri del Fiscal Compact.

Il giorno stesso, tra il giubilo generale, Conte e Tria annunciavano alla stampa lo scampato pericolo ed il grande successo ottenuto a Bruxelles. Il commissario Moscovici non mancava di far conoscere il proprio plauso.

Tutto molto bello.

Con quelle parole, che non lasciavano spazio a dubbi, Tria e Conte avevano definitivamente tarpato le ali ad ogni ipotesi di riduzione delle imposte di qualsiasi natura (flat tax ed affini). Anzi, avevano condizionato il mancato aumento dell’Iva nel 2020 ad una faticosissima opera di taglio di spesa pubblica ‘casa per casa’, oltre che ad un altrettanto faticoso lavoro di eliminazione di agevolazioni, detrazioni e deduzioni di imposte che, di fatto, avrebbero comunque aumentato la pressione fiscale.

Infatti, di lì a pochi giorni, la sera del 25 luglio il Presidente della Commissione Bilancio della Camera, Claudio Borghi, di fronte a tale situazione che impediva ogni margine di alleggerimento fiscale, dichiarava apertamente ‘se non si è d’accordo, nessuno obbliga Tria a continuare a fare il Ministro’. Il mattino successivo, la successiva dichiarazione in cui Di Maio esprimeva piena fiducia in Tria e Conte, forniva la plastica rappresentazione della plateale rottura avvenuta.

La Lega non avrebbe mai potuto realizzare il suo progetto di riduzione delle tasse e non avrebbe mai potuto votare una legge di bilancio con un saldo, probabilmente il 1,8% già definito da Tria come asticella massima, inferiore di pochi decimali a quello del 2019. Un’ennesima manovra restrittiva, nel solco di quelle già fatte da Padoan negli anni precedenti, quando aveva ridotto il deficit dal 3% del 2014 al 2,1% del 2018.

Era decisamente troppo.

In quei giorni la stampa era troppo impegnata da ragazzi bendati in caserma e moto d’acqua, per prestare attenzione ad uno scontro di simile livello di intensità e gli eventi successivi sono noti.

Ma ecco che, all’improvviso, il 21 agosto, proprio all’indomani del dibattito in Senato e delle dimissioni di Conte, il Sole 24 Ore titolava in prima ‘con esecutivo senza sovranisti possibile deficit aggiuntivo di 10 miliardi’.

Tralasciando la enormità costituita dalla aperta dichiarazione di una discriminazione tra amici e nemici nell’applicazione delle regole, non si trattava di un fulmine a ciel sereno. Le voci contro la eccessiva rigidità e pro-ciclicità della politica di bilancio imposta dalla Commissione si erano ormai fatte numerose.

Come al solito, il solco lo aveva tracciato Draghi che all’inizio di giugno aveva parlato esplicitamente di limiti della politica monetaria e del ruolo necessario della politica fiscale per stimolare la crescita e l’inflazione nell’eurozona. Addirittura anche il ‘falco’ Weidmann si è lanciato sulla sua scia, confermando l’importanza della politica fiscale in un’intervista rilasciata alla Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung.

Il 19 agosto ci aveva pensato il premio Nobel Paul Krugman a definire come “un’ossessione’” il rifiuto dei tedeschi di fare politiche di bilancio espansive, danneggiando sé stessi ed i vicini.

Il  24 agosto era il turno di Vitor Costancio (ex vice presidente della Bce) che, in un’intervista a Der Spiegel, dichiarava senza peli sulla lingua che il pareggio di bilancio tedesco era una cosa priva di senso economico.

Il 26 agosto, completava il quadro un articolo sul Financial Times che, pur prevedendo tempi lunghi, preannunciava una revisione delle regole, troppo complesse, che disciplinano gli obiettivi di bilancio per i paesi Ue, considerati troppo stringenti e troppo complicati e discrezionali nella loro determinazione.

A certificare l’avvenuto cambio di scenario, giungevano le stupefacenti parole di Tria che in un’intervista del 25 agosto, dichiarava che il deficit al 2,4% o 2,7% non ‘era un tabù’.

Ma tutto ciò, era già noto a tutti già ben prima del 2 luglio.

Il calo della produzione industriale della Germania è cominciato nei primi mesi del 2018 e, ricordiamo tutti l’autentica gragnuola di dichiarazioni che nel successivo autunno allarmavano i mercati per pochi decimali di deficit in più che l’Italia era andata a chiedere a Bruxelles. A nulla valevano le risposte italiane che sottolineavano il rallentamento in atto della congiuntura internazionale e la conseguente necessità di una manovra di bilancio espansiva. La risposta è stata la minaccia di apertura della procedura di infrazione. Essi sapevano che serviva una manovra espansiva ma la negarono in nome di regole astruse e discrezionali. Furono forse usate come strumento di lotta politica?

Alla luce della leggerezza con cui oggi, pur in presenza degli stessi evidenti dati macroeconomici, si legge, come se nulla fosse, di deficit/PIL per il 2020 oltre il 2% (addirittura fino al 3%), sorge il sospetto che quelle stesse regole siano quindi interpretabili e flessibili solo per gli amici della Commissione?

Ma soprattutto, perché allora con quella lettera Conte e Tria di fatto scrivevano la legge di bilancio 2020, esautorando qualsiasi margine di manovra del Parlamento e vanificando qualsiasi progetto di taglio alle tasse?

La ricompensa per il governo amico di cui parlava 2 giorni fa Ottinger è proprio la flessibilità che fino al 2 luglio non esisteva?

Ma, si sa, il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, ed ora quelle parole, probabilmente concepite per mettere ai margini uno scomodo alleato di governo, sono una camicia di forza per la politica economica del nascituro (?) governo.

Se e quando la Ue concederà flessibilità per il bilancio 2020, gli italiani potranno verificare l’eventuale disparità di trattamento rispetto al 2019 e formarsi un proprio autonomo convincimento sul rispetto della democrazia italiana da parte della Commissione Ue.

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