Skip to content

Intesa Sanpaolo

Ops su Ubi Banca, ecco i veri travagli di Intesa Sanpaolo

Che cosa succederebbe se Intesa Sanpaolo non riuscisse ad ottenere la maggioranza qualificata di Ubi Banca alla fine dell’Ops? Fatti, numeri, commenti, analisi e scenari

Ancora un mese circa col fiato sospeso poi si saprà come va a finire la partita che Intesa Sanpaolo ha iniziato a giocare il 17 febbraio scorso e che punta ad aggregare Ubi Banca per dare vita al più grande gruppo bancario italiano e a uno dei primi in Europa. Se intanto il board di Ca’ de Sass, il 16 giugno scorso, ha deliberato l’aumento di capitale a pagamento a servizio dell’offerta pubblica di scambio, ora gli occhi sono tutti puntati su Piazza Verdi, a Roma, sede dell’Antitrust. E’ lì che si stanno decidendo le sorti dell’Ops – che ha già ricevuto il placet della Banca centrale europea – ed è lì che continuano gli incontri fra i protagonisti dell’operazione e i tecnici dell’Authority che dovranno decidere se le profferte di Intesa Sanpaolo possono avere “effetti sulle dinamiche concorrenziali nei mercati bancari, finanziari e assicurativi, nazionali e locali” come ha precisato la stessa Agcm all’avvio dell’istruttoria, ai primi di maggio, evidenziando rilevanti sovrapposizioni territoriali e geografiche delle due banche.

In attesa dell’esito del procedimento – che arriverà entro il 25 luglio – l’Antitrust un risultato l’ha già ottenuto visto che la banca guidata da Carlo Messina si è detta disposta a cedere a Bper 532 suoi sportelli a fronte dei 400-500 inizialmente previsti. Per completare il quadro deve arrivare anche un parere obbligatorio, ma non vincolante, chiesto dall’Agcm all’Ivass e un disco verde della Consob per quanto riguarda la tutela della trasparenza, correttezza e diligenza nei confronti del mercato, degli investitori e dei risparmiatori.

La domanda che però al momento circola insistentemente tra gli addetti ai lavori è cosa succederà se Intesa Sanpaolo non riuscirà a raggiungere il 66,7% di Ubi Banca, ovvero la maggioranza qualificata, necessaria per poter prendere alcune decisioni. In tal caso Ca’ de Sass riuscirà a rispettare l’impegno preso con l’Authority guidata da Roberto Rustichelli?

COSA ACCADE SE NON SI ARRIVA AL 66,7%

Secondo quanto rivela a Start Magazine un analista finanziario, Intesa ha lanciato l’offerta sulla banca lombarda con l’intenzione di arrivare al 66,7% della proprietà di Ubi ma ormai sarebbe consapevole che non riuscirà a raggiungere una percentuale del genere. Per questo motivo, spiega, i vertici del gruppo si sono fatti autorizzare dal board ad andare avanti anche con il 50% più una azione, “il famoso corridoio”. In tal caso, però, Ubi Banca non verrebbe fusa all’interno di Intesa Sanpaolo e diverrebbe invece solo una controllata.

Di sicuro, ha scritto qualche giorno fa l’ex Banca d’Italia ora editorialista Angelo De Mattia su Avvenire, se non si riesce a raggiungere un’effettiva aggregazione “la condizione per entrambe le banche non sarebbe ottimale: tutte e due resterebbero, di fatto, quasi in mezzo al guado. Non sarebbero più come prima e non sarebbero ancora come Intesa avrebbe voluto, non potendosi deliberare nelle assemblee dell’istituto coinvolto quelle operazioni straordinarie per le quali necessita il ‘favor’ dei due terzi degli azionisti”.

LA QUESTIONE DELLA FUNZIONE DEL CDA

Come rivela sul Messaggero Rosario Dimito, alla domanda dei tecnici dell’Antitrust su cosa succederebbe in caso non si dovesse raggiungere la soglia della maggioranza qualificata del 66,7% Intesa Sanpaolo – che giovedì 18 giugno è stata audita dall’Agcm e rappresentata dal presidente Gian Maria Gros-Pietro e dall’avvocato Guido Alpa – non avrebbe fornito una risposta.

Continua Dimito: “Secondo alcuni basterebbe una delibera del consiglio d’amministrazione, sentito il comitato parti correlate, per deliberare la cessione del ramo d’azienda ma in Ubi non la pensano così perché i loro rappresentanti nel board sarebbero pronti ad impugnare la delibera in Tribunale chiedendo la sospensiva in base all’articolo 700 del Cdc”.

Di sicuro, secondo alcuni osservatori, se non raggiungesse la maggioranza qualificata “Messina rischierebbe di essere un’anatra azzoppata non potendo essere certo, come hanno più volte ricordato ambienti vicini agli azionisti storici di Ubi Banca, di ottenere il via libera alla cessione di ramo d’azienda, ossia di almeno 532 filiali a marchio Ubi Banca (pari a circa un terzo della rete di filiali di Ubi Banca, ammontare che può salire fino a 600), pre-requisito per ottenere il via libera dell’Antitrust.

COSA DICE LO STATUTO DI UBI BANCA

Occorre però considerare che lo statuto di Ubi Banca, consultato da Affaritaliani.it, all’articolo 9 chiarisce che “l’esercizio delle funzioni sociali, secondo le rispettive competenze” è affidato a una serie di organi. In particolare, all’articolo 24 si dice che spetta al board e non all’assemblea straordinaria (dove serve appunto la maggioranza qualificata dei due terzi dei votanti) “la gestione dell’impresa con facoltà di compiere tutte le operazioni sia di ordinaria sia di straordinaria amministrazione necessarie o comunque utili e opportune per il miglior espletamento dell’oggetto sociale”.

Sempre secondo lo stesso articolo è sempre il cda che delibera “acquisti o cessioni da parte della Società e delle società controllate di aziende, rami d’azienda, rapporti giuridici in blocco, conferimenti, scorpori, investimenti o disinvestimenti che comportino impegni il cui valore, per ogni operazione, sia superiore al 5% del Patrimonio di Vigilanza utile ai fini della determinazione del Common Equity Tier 1 consolidato o incida per più di 50 basis point sul Common Equity Tier 1 Ratio quali risultanti dall’ultima segnalazione inviata alle competenti Autorità di Vigilanza ai sensi delle vigenti disposizioni”.

Insomma, se l’Ops riuscisse ad ottenere una percentuale di adesione superiore al 66,7% Messina dormirebbe sonni più che tranquilli, se invece dovesse attestarsi al 50% più un’azione la strada sarebbe più complicata.

Torna su