Nonostante una campagna mediatica pressocché unanime pro Ops di Intesa Sanpaolo su Ubi Banca, l’Antitrust deluderà i fan dell’aggregazione bancaria in Italia.
Infatti l’authority che vigila sul mercato e sulla concorrenza ritiene che la concentrazione tra Intesa Sanpaolo e Ubi Banca “non sia allo stato degli atti suscettibile di essere autorizzata” perché idonea a “produrre la costituzione e/o il rafforzamento della posizione dominante” di Intesa “in numerosi mercati” senza che l’accordo per la cessione di un ramo d’azienda a Bper “possa essere preso in considerazione, quale intervento volto a risolvere le criticità concorrenziali”.
E’ quello che emerge – secondo l’agenzia Ansa – dalla comunicazione delle risultanza istruttorie alle parti.
Sull’operazione Intesa-Ubi “non è stata assunta alcuna decisione da parte dell’Autorità sulla compatibilità dell’operazione con le regole della concorrenza”, ha comunque precisato l’Antitrust in una nota, specificando che allo stato attuale “è stata trasmessa alle imprese interessate la sola Comunicazione delle Risultanze Istruttorie, che rappresenta la valutazione preliminare degli uffici dell’Autorità in ordine alle possibili criticità concorrenziali dell’operazione di concentrazione. “La decisione definitiva in merito alla compatibilità della concentrazione sarà assunta dal Collegio solo all’esito del contraddittorio con le imprese interessate” che dovrebbe arrivare nella seconda metà di luglio, conclude la nota.
L’Antitrust ha identificato “639 aree critiche nel mercato della raccolta bancaria, 782 negli impieghi alle famiglie consumatrici e 218 negli impieghi alle famiglie produttrici-piccole imprese, nelle quali l’operazione in esame”, vale a dire l’aggregazione tra Intesa Sanpaolo e Ubi Banca, “conduce alla costituzione o al rafforzamento di una posizione dominante”, si legge nella Comunicazione delle risultanze istruttorie dell’autorita’.
Le “aree” citate sono lo cosiddette “catchment area”, vale a dire i bacini di utenza dei 1.064 sportelli Ubi, la cui ampiezza è stata determinata, secondo la prassi Antitrust, ‘considerando un tempo di percorrenza massimo di 30 minuti in auto, calcolato sulla base della mobilita’ della domanda dei clienti bancari’.
L’autorità con sede a Piazza Verdi sottolinea inoltre che il numero totale di aree problematiche è naturalmente inferiore alla somma delle cifre riportate, dato che in molti casi la stessa area può essere critica in due o più mercati. Sono state identificate come critiche le aree in cui la banca nata dall’aggregazione avrebbe, tra le altre cose, “una quota di mercato congiunta maggiore o uguale al 35%’ e ‘un distanziamento dal secondo operatore, in termini di quota di mercato, non inferiore a 10 punti percentuali”.
Dopo il via libera appreso ieri della Banca d’Italia all’acquisizione delle partecipate di Ubi da parte di Intesa Sanpaolo, sta arrivando dunque una doccia gelata per i piani del gruppo bancario guidato dall’amministratore delegato Carlo Messina, che tra l’altro ha dovuto vedersela in lontananza dal secondo gruppo bancario attivo in Italia, Unicredit, che non a caso ha voluto essere ascoltato dal Garante del mercato e della concorrenza di certo non per assecondare i progetti di Intesa Sanpaolo.
Una mossa- quella di Intesa – che molti addetti ai lavori hanno definito da killer acquisition da parte del gruppo guidato dall’ad, Carlo Messina, che di fatto castra le ambizioni da terzo polo creditizio italiano del gruppo capeggiato dall’ad, Victor Massiah.
D’altronde l’operazione architetta da Intesa in caso di successo – secondo l’Antitrust – avrebbe cambiato radicalmente il panorama bancario italiano, consolidando la leadership di Intesa, che ingloberebbe il quarto gruppo nazionale, stroncandone le ambizioni di terzo polo creditizio in Italia, e porrebbe fine alla “sostanziale simmetria” con Unicredit.
Significativo sul punto quanto aveva scritto su Facebook Fulvio Coltorti, già direttore dell’area studi di Mediobanca, nel giorno della notizia dell’avvio dell’istruttoria da parte del Garante del mercato e della concorrenza: “Con molto ritardo, a me pare, l’autorità Antitrust si occupa dell’acquisizione tentata da Intesa Sanpaolo su Ubi. In Italia è fin troppo evidente la concentrazione bancaria con due gruppi, IntesaSanpaolo e Unicredit che la fanno da padroni sul sistema. La fusione in oggetto aumenterebbe ancor più questa concentrazione, creerebbe una banca (Intesa Sanpaolo) ancor più grande, contro le più elementari regole del buon governo bancario (regole che purtroppo l’ultima grande crisi del 2008 non è stata capace di insegnare nemmeno ai vigilanti, Bankitalia in testa). Il futuro non può essere di enti mastodontici, da sempre difficili da governare. Organismi bancari troppo grandi configurano aziende propense al rischio e impossibili da far fallire. Invece; bisogna puntare su banche snelle, di media dimensione, adatte a dialogare con la nostra bella imprenditoria. Invece di fusioni, occorre puntare su “divisioni” degli organismi esistenti, che siano capaci di sviluppare se stessi e i territori nei quali operano i clienti. Banche agili, adatte anche ad applicare le nuove tecnologie. E che allontanino lo spettro dei licenziamenti in massa”.
La decisione dell’Agcm affonda il colpo su tutta la struttura dell’operazione che era stata messa a punto da Intesa con la sinergia di Bper e Unipol. Infatti l’Antitrust ritiene anche che l’accordo per la cessione di un ramo d’azienda a Bper non può essere “preso in considerazione quale intervento volto a risolvere le criticità concorrenziali”.
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Ecco di seguito l’articolo di Start Magazine dello scorso 13 maggio sull’avvio dell’istruttoria da parte dell’Agcm
L’Ops (Offerta pubblica di scambio) lanciata da Intesa Sanpaolo su Ubi Banca? Un’operazione che, in caso di successo cambierebbe radicalmente il panorama bancario italiano, consolidando la leadership di Intesa, che ingloberebbe il quarto gruppo nazionale, stroncandone le ambizioni di terzo polo creditizio in Italia, e porrebbe fine alla “sostanziale simmetria” con Unicredit, l’altra grande banca del Paese.
E’ quanto emerge dalla delibera con cui ieri l’Antitrust ha comunicato l’avvio di un’istruttoria per “verificare i possibili effetti sulle dinamiche concorrenziali nei mercati bancari, finanziari e assicurativi, nazionali e locali” dell’Ops di Intesa su Ubi, anche sulla scia delle “osservazioni” – una sorta di reclamo – che la banca guidata dall’ad, Victor Massiah, ha inviato all’Agcm.
CHE COSA SI LEGGE NELLA DELIBERA ANTITRUST SU INTESA-UBI
L’acquisizione di Ubi da parte di Intesa – si legge nella delibera del Garante del mercato e della concorrenza – è in grado di modificare “significativamente” il contesto bancario “sotto due profili”. Da un lato privando il sistema “di un operatore di medie dimensioni quale Ubi, che in un futuro non remoto avrebbe potuto fungere da polo di aggregazione, costituendo un terzo gruppo bancario di grandi dimensioni” a fianco di Intesa e Unicredit. Dall’altro facendo venir meno “la sostanziale simmetria” fra Intesa e Unicredit, con “l’importante di crescita” della prima. E’ quanto rileva l’antitrust.
LE RICADUTE COMMERCIALI SECONDO AGCM
“Per entrambi i profili, nella fase istruttoria, sarà possibile fare considerazioni prospettiche in termini di ricadute concorrenziali”, si legge nel provvedimento con cui l’Authority per la tutela concorrenza delibera l’avvio dell’istruttoria sulla possibile concentrazione tra Intesa e Ubi.
I SETTORI INTERESSATI
L’Antitrust rileva come “l’operazione in esame interessa una pluralità di mercati ricompresi nei settori bancario tradizionale, del risparmio gestito, del risparmio amministrato, del credito al consumo, del leasing, del factoring e degli strumenti di pagamento, dell’investment banking e assicurativo”.
L’AZIONE DELLA GDF
Il Garante ieri ha comunicato l’avvio di un’istruttoria allo scopo di “verificare i possibili effetti sulle dinamiche concorrenziali nei mercati bancari, finanziari e assicurativi, nazionali e locali”, dopo che in giornata aveva inviato gli uomini della Guardia di Finanza ad acquisire documentazione nelle sedi di Ca’ de Sass, Ubi e dell’advisor di Intesa, Mediobanca.
LA TEMPISTICA
Il procedimento dovrà concludersi nel termine massimo di 60 giorni lavorativi, dunque entro fine luglio. Solo allora, e in presenza delle autorizzazioni delle altre authority coinvolte, la Consob potrà dare disco verde alla pubblicazione del prospetto sul quale dovrà poi esprimersi formalmente il cda di Ubi con il comunicato dell’emittente. Possibile dunque che l’offerta richieda più tempo di quanto preventivato da Intesa che, come dichiarato anche recentemente dal ceo Carlo Messina, si era detta fiduciosa “di completare l’offerta entro agosto 2020”.
LE QUOTE DI MERCATO
Rilevanti i numeri indicati dal Garante frutto della fusione nei settori degli impieghi. Ecco 4 brani salienti
“In particolare, con riferimento al mercato degli impieghi alle famiglie consumatrici, nelle province di Monza-Brianza, Viterbo, Teramo, Cosenza, Como, Taranto, Campobasso, Terni, Aosta, Avellino, Perugia, Alessandria, Imperia, Arezzo, Vibo Valentia, Napoli, Potenza, Savona e Matera la quota post-merger di ISP sarà compresa tra il 35% e il 40%; nelle province di Macerata, Isernia, Ancona, Chieti, Reggio Calabria, Barletta-Andria-Trani, Novara, Prato, Brindisi, Pavia, Ascoli Piceno, Fermo, Cagliari, Caserta, Lecco, Foggia, Brescia e Bari, ad esito dell’operazione ISP verrà a detenere una quota compresa tra il 40% e il 50%; nelle province di Varese, Rieti e Bergamo ISP supererà il 50%, con punte superiori al 60% a Pesaro e Urbino e Verbano-Cusio-Ossola.
Con riguardo al mercato degli impieghi alle famiglie produttrici-imprese di piccole dimensioni, la quota post-merger sarà compresa tra il 35% e il 40% nelle province di Napoli, Pesaro e Urbino, Brindisi, Ancona, Perugia, Chieti, Barletta-Andria-Trani e Foggia; supererà il 40% nelle province di Isernia, Ascoli Piceno, Macerata, Cagliari, Pavia, Caserta, Bergamo, Reggio Calabria, Novata, Prato, Rieti e Fermo; supererà il 50% nelle province di Varese e Verbano-Cusio-Ossola.
Per quanto concerne il mercato degli impieghi alle imprese medio-grandi, esso ha dimensione territoriale valutata in prima approssimazione a livello regionale, data la maggiore mobilità di tali soggetti rispetto ai precedenti segmenti della domanda. In proposito, ISP verrà a detenere una quota postmerger significativa in diverse Regioni, posizionandosi tra il 35% e il 40% in Calabria, Sardegna, Umbria e nelle Marche, e oltre il 50% in Piemonte.
La quota aggregata delle Parti nella distribuzione dei fondi comuni di investimento, sulla base delle stime fornite da ISP, risulterà significativa in diverse province, come di seguito riportato. In particolare, la quota post-merger sarà compresa tra il 35% e il 40% nelle province di Como, Viterbo, Cuneo, Monza-Brianza, Alessandria, Catanzaro, Aosta, Rieti, Torino, Milano, Chieti e Imperia; sarà superiore al 40% nelle province di Bergamo, Varese, Novara, Prato, Verbano-Cusio-Ossola, Macerata, Pesaro e Urbino, Brindisi, Brescia, Pavia, Ancona, Arezzo e Firenze”.