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Ubi Banca Banche

Ecco la vera posta in palio nell’Opas di Intesa su Ubi

Conto alla rovescia per l’esito dell’Opas di Intesa Sanpaolo su Ubi Banca. Cos’è cambiato nell’operazione dal 14 febbraio e perché è importante la percentuale finale del 28 luglio. I 3 scenari

 

E’ questione di ore ormai e finalmente si conoscerà l’esito dell’operazione lanciata a febbraio da Intesa Sanpaolo nei confronti di Ubi Banca. Nel frattempo l’Ops – offerta pubblica di scambio – è diventata Opas – offerta pubblica di acquisto e scambio – ma il consiglio d’amministrazione guidato da Victor Massiah e da Letizia Moratti non ha cambiato idea.

Al termine dell’ultima riunione, giovedì scorso, il board di Ubi ha ripetuto il suo mantra: le profferte di Carlo Messina – non concordate, ribadisce – non “riconoscono appieno il valore complessivo” dell’istituto nonostante il “riconoscimento della componente in denaro”.

Non si può far altro che attendere, dunque, per capire se Ca’ de sass riuscirà a raggiungere il 50% più una azione – che comunque per Intesa Sanpaolo significa operazione riuscita – oppure l’agognato 66,67%, la maggioranza qualificata, che consentirebbe una vera e propria acquisizione del gruppo lombardo. Una differenza non di poco conto anche, e soprattutto, in questa fase iniziale, per risolvere il problema della cessione degli sportelli, senza la quale si verificherebbe una criticità concorrenziale.

DA OPS A OPAS

Con il ritocco dell’offerta deciso dai vertici, la prima banca italiana ha messo sul piatto 652 milioni in più per cui in totale la valutazione di Ubi Banca è passata da 3,47 miliardi a 4,12 miliardi. In sostanza, oltre alle 17 nuove azioni Intesa ogni 10 di Ubi – base di partenza dell’Ops – ai soci di Ubi vengono offerti in contanti 0,57 euro per azione: dunque, il premio sale dal 28% del 14 febbraio scorso al 44,7%.

Un bel rialzo per tentare di raggiungere il 66,67% del capitale azionario. “Dopo il rilancio in contanti, rispetto ai valori del 14 febbraio del titolo Ubi, l’offerta presenta un premio pari al 45%, le operazioni fra banche in Italia hanno garantito un premio medio in area 4%” ha precisato Raffaello Ruggieri, chief lending officer (Clo) di Intesa Sanpaolo, intervistato da Libero. “Rispetto ai valori medi a 6 mesi il premio è pari al 59%” ha rimarcato il manager evidenziandol come, “in caso di mancato esito il prezzo di mercato di Ubi potrebbe subire un calo di almeno il 40%. Solo la componente per cassa, garantita oggi a tutti i risparmiatori, rappresenta oltre i 2/3 dei dividendi previsti in tre anni dal piano Ubi stand-alone”. Giusto per la precisione.

Lasciando da parte i crudi numeri, Ruggieri ha puntato anche alla mozione degli affetti: “L’obiettivo dell’Ops non può essere quindi quello di eliminare un concorrente, bensì realizzare un progetto industriale più ampio, che porti alla nascita di un grande gruppo di dimensioni europee che possa servire il nostro Paese meglio e con ulteriori risorse, avendo al contempo l’opportunità di concorrere con le maggiori realtà bancarie internazionali già presenti nel mercato italiano ed europeo”.

I 3 SCENARI

Esistono tre diversi scenari, ha sintetizzato oggi il Sole 24 Ore: “Uno: se le adesioni non arriveranno al 50% più un’azione, l’Offerta fallirà. Due: se le adesioni supereranno il 50% più un’azione, ma non arriveranno a superare il 66%,7%, l’Offerta avrà successo ma le due banche non procederanno alla fusione. Tre: se le adesioni supereranno il 66,7% avverrà anche la fusione”.

IL REPORT DI EQUITA

Cosa potrebbe succedere a chi non aderisce all’offerta, qualora le adesioni superassero comunque il 66,7%? Lo spiega un report di Equita, banca che assiste Intesa nell’operazione su Ubi: «Nell’ipotesi che Intesa Sanpaolo raggiunga una percentuale di adesione tale da realizzare la fusione con Ubi – scrive -, gli azionisti che non avessero aderito all’Ops otterrebbero un concambio che non incorporerebbe ovviamente alcun premio di maggioranza né la componente cash. Di conseguenza gli azionisti Ubi resterebbero esposti – consapevolmente – al rischio molto concreto di vedersi concambiati in azionisti Intesa a condizioni meno vantaggiose rispetto al concambio di 17 azioni Intesa ogni 10 Ubi e certamente non incasserebbero alcuna componente cash».

LA QUESTIONE SPORTELLI

Decisamente importante la questione della percentuale di adesione all’offerta per quanto riguarda la questione cessione dei 532 sportelli di Ubi a Bper, condicio sine qua non per il via libera dell’Autorità garante per la Concorrenza e il Mercato, arrivato il 16 luglio scorso. Sportelli che “sono stati già identificati ad uno ad uno, in prevalenza al Nord” e che “verranno valorizzati da Bper” come ha spiegato Alessandro Vandelli, amministratore delegato della Popolare dell’Emilia-Romagna, in un’intervista al Sole 24 Ore.

Il manager ha poi voluto allontanare lo spettro degli esuberi: “Siamo una banca che ha ormai una strategia multicanale, ma rimaniamo fermamente convinti che il ruolo della filiale sia e resterà centrale nel rapporto con i clienti. E le persone che lavorano in banca sono fondamentali. Ai dipendenti delle filiali di Ubi che auspichiamo diventeranno di Bper dico che speriamo di appassionarli con il nostro progetto di crescita e che puntiamo ad aumentare e non a diminuire le risorse”.

E già che si trova, Vandelli si toglie pure qualche sassolino dalla scarpa: “Nell’autunno 2019 ci siamo incontrati alcune volte con il ceo Massiah per valutare in via del tutto preliminare i numeri di un’eventuale aggregazione, ma poi a dicembre Ubi ha deciso di procedere con un piano industriale in una logica stand alone. Quindi quando in seguito ci è stata prospettata l’operazione con Intesa Sanpaolo non dovevamo scegliere tra due alternative, perché l’ipotesi Ubi in quel momento non era sul tavolo”.

I PALETTI DELL’ANTITRUST PER LA CESSIONE DEGLI SPORTELLI

Tornando alla vexata quaestio degli sportelli è bene ricordare quanto ha scritto l’Antitrust nel provvedimento di chiusura dell’istruttoria relativa all’offerta pubblica di scambio. Piazza Verdi rileva intanto “come il numero di sportelli oggetto di cessione sia notevolmente aumentato rispetto alla prima versione dell’Accordo con Bper, prospettata al momento della notifica dell’operazione, che faceva riferimento a circa 400-500 sportelli” quanti erano indicati al momento del lancio dell’Ops. In tal caso, infatti, “la concentrazione avrebbe comportato la costituzione o il rafforzamento della posizione dominante della nuova entità nei mercati sopra individuati in misura tale da eliminare o ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza sugli stessi”. Poi l’audizione a giugno dei vertici di Intesa, capeggiati da Gian Maria Gros-Pietro, e il rilancio a 532: “Le misure correttive proposte da ISP – si legge – risultano idonee a rispondere alle criticità concorrenziali” indicate.

Peraltro, nota l’Authority, “le cessioni proposte, investendo tutte le attività gestite da uno sportello bancario, produrranno effetti sugli altri mercati interessati, comportando una riduzione delle quote post merger sia nei mercati ‘collegati’ alla raccolta bancaria diretta e indiretta, sia a quelli la cui distribuzione dipende, di fatto, dal canale degli sportelli bancari”. In dettaglio “le cessioni proposte garantiranno una riduzione della quota congiunta anche nei mercati del risparmio amministrato e del risparmio gestito, per la cui valutazione funge da proxy proprio il posizionamento delle Parti nei mercati della raccolta diretta e indiretta. Analogamente, la capacità distributiva dell’entità post merger dei prodotti assicurativi vita tramite canale bancario – canale il cui peso nell’ambito del collocamento di tali polizze è preponderante rispetto agli altri – viene limitata per effetto delle cessioni in misura tale da escludere che in tali mercati rilevanti locali si verifichino per effetto dell’operazione sovrapposizioni pregiudizievoli per la concorrenza”.

Sempre nel provvedimento di chiusura del procedimento istruttorio, l’Agcm nota che “le cessioni proposte appaiono idonee anche a superare le criticità concorrenziali nel mercato degli impieghi alle imprese di medie e grandi dimensioni” e che “la cessione di un sì ampio numero di filiali pone le condizioni affinché lo specifico ruolo di disciplina concorrenziale esercitato da UBI possa essere assunto da uno, o più d’uno, degli altri concorrenti operanti nei mercati interessati”.

Tra le condizioni imposte dall’Antitrust ce n’è una che forse desta qualche preoccupazione all’ad Messina. Se infatti Intesa Sanpaolo non riuscisse “a cedere tutti o alcuni degli sportelli di UBI oggetto delle misure strutturali” dovrà cedere propri sportelli in modo da “produrre, nei mercati interessati, effetti almeno equivalenti a quelli derivanti dalla cessione degli sportelli di UBI proposta da ISP”. In questo modo si preserverebbero “le dinamiche concorrenziali” a seguito dell’operazione di concentrazione.

Per quanto riguarda i tempi, come ha scritto il Corriere della Sera, entro sei mesi Ca’ de sass dovrà vendere i 532 sportelli ex Ubi a Bper e se non ci riuscirà avrà altri tre mesi per affidarsi a un intermediario indipendente senza indicazione di un prezzo minimo. Se ancora non dovesse farcela, Isp dovrà cedere proprie filiali entro altri sei mesi. Ma senza il 66,67% di capitale il rischio di incontrare contestazioni nel board di Ubi nella vendita del ramo d’azienda sarebbe elevato.

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