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Obiettivi, incognite e scenari dopo la delega fiscale

Che cosa c'è nella delega fiscale approvata dal consiglio dei ministri e quali saranno i prossimi passi dell'esecutivo. L'analisi di Gianfranco Polillo

 

Sarà anche vero che “la lunga marcia”, di cui parla Mao Tze Tung, “fosse iniziata con un piccolo passo” fino al trionfo della rivoluzione. Speriamo che qualcosa di simile possa ripetersi nel delineare, in Italia, il fisco del futuro. Per mettere ordine in un sistema in cui trionfa l’illegalità (l’enorme evasione ed elusione); il disordine legislativo ed amministrativo (l’eccesso di norme che come spesso capita favorisce alcuni e penalizza altri); le grandi e piccole furbizie (il guardare sempre e solo nelle tasche altrui); la realtà (le aliquote legali a danno solo di alcune categorie) e l’illusione (le aliquote effettive, al netto degli sgravi che avvantaggiano solo i protetti dal sistema dei partiti); una progressività esasperata, visto che sul 2,8 per cento dei contribuenti, secondo gli stessi dati del Dipartimento delle Finanze del Mef, grava il 23,7 per cento del gettito Irpef.

Ma il successo della lunga marcia fu tale perché a guidarla furono uomini di ferro. Accadrà lo stesso in Italia, considerati i tempi lunghi previsti per il completamento di quel disegno e le enormi incognite che gravano sugli assetti politici del Paese? Questo, per la verità, è l’interrogativo più angoscioso. Prendiamo la riforma del catasto: esigenza ineludibile. Mario Draghi ha ripetuto più volte che da qui al 2026 non ci sarà alcun cambiamento nella tassazione degli immobili. E Draghi è indubbiamente “uomo d’onore”. Ma sarà ancora lui a gestire nei prossimi anni la politica del Paese? Perché se questa eventualità non dovesse sussistere, allora quegli impegni rischierebbero di trasformarsi in promesse da marinaio. E l’assalto al piccolo forziere, che la riforma potrebbe mettere a disposizione dell’Erario, divenire incontenibile.

Eppure nonostante questo rischio, non si può che convenire con lo spirito che ha animato la delega fiscale, sperando che tutto si compia nei primi diciotto mesi, il tempo necessario, per emanare i decreti legislativi necessari per tradurre i suoi principi generali in precetti legislativi. Nel frattempo, altra speranza, l’attuale Governo dovrebbe avere più probabilità di rimanere in sella, essendo la sua scadenza naturale prevista per il marzo 2023. Più o meno tra 18 mesi. Il che non significa fare sogni tranquilli. Nel 2003 il Parlamento approvò la legge delega (legge n. 80) con cui Giulio Tremonti riduceva a due il numero delle aliquote Irpef: 23 e 33 per cento. Morta e sepolta negli archivi parlamentari.

Ovviamente un esempio da non imitare. Anche perché questa volta c’è di mezzo l’Europa con la Next generation Eu. La riforma fiscale fa parte di quel pacchetto condizionante l’erogazione effettiva dei fondi. Agisce, di conseguenza, come stimolo ed elemento di pressione. Quando nel 2003 si era verificato il contrario. L’idea di quella semi flat tax, contenuta nel disegno di legge, aveva armato tutti ben pensanti, dalla Presidenza della repubblica fino alla Commissione europea, invitandoli alla pugna. Per fortuna, molta acqua è passata da allora sotto i ponti del Tevere. Ma, comunque, non c’è da stare del tutto tranquilli. Il percorso nonostante la spinta del Presidente Draghi e del ministro dell’Economia, Daniele Franco, rimane accidentato. Nelle difficili condizioni in cui versa la finanza pubblica italiana non resta che allungare il brodo. Occorrerà non solo avere i decreti legislativi, ma le risorse necessarie per finanziarie le eventuali riduzioni fiscali. Il tutto in un tempo difficilmente compatibile con le schizofrenie cui ci ha abituato la politica politicante.

Se quindi il contesto generale è di per sé poco rassicurante, l’architettura della delega fiscale, al contrario, suona come elemento di riscatto. Il che induce a sostenerne gli sforzi. Si parte da una constatazione, da noi stessi avanzata, in precedenti interventi. L’impianto fiscale italiano risale agli anni ’70, prodotto dalla Commissione Cosciani e dalla regia di Bruno Visentini. Da allora, tanti ritocchi, interventi parziali, modifiche di questo o di quell’istituto che hanno completato enormemente il quadro legislativo, senza, tuttavia, alterare lo schema di base, sopravvissuto a sé stesso per oltre mezzo secolo. Un’era geologica fa. Tanto per avere un’idea, allora in Cina si registravano gli ultimi colpi di coda della “rivoluzione culturale”. L’URSS era in grado di minacciare l’Occidente. Oggi la Cina è la maggiore potenza mondiale, almeno dal punto di vista economico. Ed il socialismo d’antan un reperto della storia.

Gli obiettivi della riforma dovranno essere diversi e tra loro strettamente coerenti. Primo obiettivo: fare da stimolo alla crescita economica, aumentando l’efficienza del sistema e riducendo il carico fiscale. Non si dimentichi che la pressione fiscale, in Italia, supera di circa due punti la media dell’Eurozona. Si traduce, pertanto, in un forte spiazzamento della produzione italiana rispetto ai concorrenti esteri. Fenomeno al quale si è finora fatto fronte con una più forte compressione dei salari netti. Andranno ridotti i costi relativi all’adempimento fiscale. Semplificare quelle complesse procedure che spesso comportano, sia per le imprese che per le famiglie, un costo superiore alle imposte da pagare. Rientra in questa logica, l’eliminazione dei micro-tributi. Spesso la relativa riscossione risulta antieconomica, a causa dei costi necessari al mantenimento della sottostante struttura amministrativa.

C’è poi il grande tema dell’articolo 53 della Costituzione: quello della progressività dell’imposta. Tema indubbiamente ineludibile. Finora esso è stato cavalcato dalla sinistra nel segno “finalmente anche i ricchi piangono”. Ma i dati a disposizione, come si diceva in precedenza, indicano uno squilibrio ben più consistente. Che non può essere confinato solo tra le fasce di reddito comprese tra i 28 ed i 55 mila euro annui dei lavoratori dipendenti. L’elettore medio del PD. Tema, comunque, da coniugare in relazione alla lotta all’evasione e all’elusione. I dati indicano per l’Italia una sottrazione di ricchezza pari, per lo meno al doppio, degli altri Paesi. Dove, comunque si manifestano gli stessi fenomeni, seppure con un’intensità minore. Cercheremo, nel prosieguo di capire in che modo si cercherà di far fronte al problema. Personalmente rimaniamo convinti che la semplice repressione, per quanto necessaria, da sola non basti. Occorre mobilitare il popolo contro i troppi “furbetti del quartierino”, ricorrendo allo strumento del conflitto d’interessi.

I capitoli di questo impegno sono così riassunti nella delega: modifiche del sistema nazionale della riscossione; revisione del sistema di imposizione personale sui redditi; revisione dell’Ires e della tassazione del reddito di impresa; razionalizzazione dell’imposta sul valore aggiunto e di altre imposte indirette; graduale superamento dell’Irap; modernizzazione degli strumenti di mappatura degli immobili e revisione del catasto fabbricati; revisione delle addizionali comunali e regionali all’Irpef; delega al Governo per la codificazione in materia tributaria. Tanta roba: come si vede. In questo sforzo il ministro dell’Economia sarà affiancato da una commissione di esperti. Ritorna in qualche modo lo schema Cosciani che, in passato, ha funzionato. Ma allora c’era la Prima Repubblica, oggi un sistema politico – istituzionale sempre più indebolito dalla mancanza di élite, capaci di guardare oltre gli interessi più immediati.

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