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Intesa Sanpaolo, Unicredit, Mps e non solo. Cosa succede sugli Npl

Dossier Npl: il progetto di band bank europea, i numeri di sistema, i commenti degli analisti e le mosse di Intesa Sanpaolo, Unicredit, Mps e non solo. L'articolo di Emanuela Rossi

Intesa Sanpaolo, Unicredit, Mps e non solo. Cosa succede sugli Npl? Ecco numeri, commenti, analisi e scenari.

I crediti deteriorati continuano a scendere ma i gravi problemi economici legati alla pandemia da Covid-19 non fanno certo ben sperare per il futuro. Secondo l’ultimo Bollettino mensile dell’Abi, in particolare, ad agosto le sofferenze sono scese a 24,45 miliardi (oltre 64 miliardi in meno dal picco di novembre 2015), toccando il livello più basso da settembre 2009. Solo un anno prima, ad agosto 2019, erano a quota 32,3 miliardi. Numeri, tra l’altro, che non tengono in considerazione la cessione di 8,1 miliardi di crediti deteriorati di Montepaschi (Mps) ad Amco di cui è arrivata l’ufficialità solo pochi giorni fa.

LA BAD BANK EUROPEA

Su tutto aleggia l’ipotesi formulata dalla Banca centrale europea di creare una bad bank Ue dove far confluire gli Npl degli istituti dell’area euro. Secondo le indiscrezioni riportate dal Financial Times, le preoccupazioni di Francoforte riguarderebbero proprio gli asset tossici creatisi con i vari lockdown decisi dai governi nazionali nel Vecchio Continente Nella bad bank europea, però, confluirebbero pure i crediti deteriorati legati alle crisi precedenti.

LE ULTIME MOSSE DI UNICREDIT

Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza tra fine anno e inizio 2021 le agenzie di rating dovrebbero esprimersi su una cartolarizzazione di crediti deteriorati. Il pacchetto avrebbe un valore di circa 1,8-1,9 miliardi – l’importo ipotizzato inizialmente era di 2,5 miliardi – e riguarderebbe crediti in leasing, finora non coinvolti in operazioni di cartolarizzazione. Piazza Gae Aulenti in tal modo proseguirebbe nella sua azione di derisking e verrebbe assistita nella cartolarizzazione dal servicer DoValue. Va ricordato che nel 2017 aveva ceduto uno stock di oltre 17 miliardi a Fortress e a Pimco tramite cartolarizzazione con garanzia pubblica.

Più di recente l’istituto guidato da Jean Pierre Mustier ha ceduto a Illimity un portafoglio di crediti in sofferenza derivanti da contratti di credito ipotecario verso clientela del segmento piccole e medie imprese italiane. Come spiegava una nota di Unicredit, il portafoglio “comprende esclusivamente crediti derivanti da contratti di finanziamento regolati dal diritto italiano con una creditoria complessiva al lordo delle rettifiche di valore di circa 692 milioni”. L’impatto della cessione è stato recepito nel bilancio del terzo trimestre 2020.

IL DIMAGRIMENTO DI MONTEPASCHI

Risale a poco più di una settimana fa la firma del provvedimento, che secondo Il Sole 24 Ore era pronto già a inizio settembre e che nei giorni scorsi aveva completato i passaggi tecnici al ministero dello Sviluppo economico, con cui Palazzo Chigi ha autorizzato la scissione degli 8,1 miliardi di crediti deteriorati di Montepaschi ad Amco, l’ex sga, e ha spianato la strada all’uscita del Tesoro dall’azionariato che dovrà avvenire entro metà 2022. L’operazione finanziaria era già stata definita da Rocca Salimbeni e aveva ricevuto il via libera con un voto quasi unanime (il 99,97% del capitale) dall’ultima assemblea.

Alla fine di questa operazione, rileva l’agenzia Radiocor, Montepaschi ridurrà il proprio capitale sociale di oltre 1,3 miliardi ma aumenterà la propria efficienza riducendo gli Npe e migliorando i ratio patrimoniali, come il Cet1 fully loaded, in base ai quali la Bce misura la solidità degli istituti di credito.

LE OPERAZIONI PREVIDENTI DI INTESA SANPAOLO

Sul versante Npl si è data molto da fare Intesa Sanpaolo che al 30 giugno scorso poteva vantare uno stock di crediti deteriorati lordi sceso a 29,9 miliardi dai 30,2 miliardi di fine marzo, con un Npe ratio al 7,1%, in linea con quello di tre mesi prima. Dunque, conti alla mano, a fine giugno 2020 Intesa Sanpaolo ha già realizzato il 90% dell’obiettivo di riduzione previsto nel Piano di Impresa valido per il quadriennio 2018-2021.

LO SCENARIO GENERALE IN ITALIA

Dello scenario futuro sul tema per quanto riguarda il sistema bancario italiano si è parlato durante l’Npl Meeting di Banca Ifis che si è svolto a Cernobbio il 30 settembre scorso. La previsione è che il tasso di deterioramento dei crediti salga dall’1,3% del 2020 al 2,8% del 2021 a causa della contrazione economica dell’anno in corso. Secondo il report realizzato dall’Ufficio studi di Banca Ifis, le transazioni Npl (i portafogli unsecured) costituiranno la quota più ampia di vendite, raggiungendo il 31% del totale. Nel biennio 2020-2021 si consoliderà anche il mercato delle transazioni Utp, ossia gli Unlikely to Pay, con dismissioni complessive per  27 miliardi.

A latere, e neppure troppo, c’è da registrare la crescita del settore del servicing con un +23% dei ricavi dal 2013. Da notare che il 44% dello stock totale degli Npl nel nostro Paese è gestito soltanto da sei servicer: DoValue (13%), Amco (9%), Prelios (7%), Cerved (7%), Banca Ifis (5%) e Credito Fondiario (3%).

Sull’argomento si è pure espressa, in un’intervista su Affari&Finanza di Repubblica, Enrica Landolfi, per Hsbc responsabile in Europa della origination di Abs – le obbligazioni strutturate spesso frutto di cartolarizzazioni legate proprio agli Npl – che presenta un conto molto chiaro: “Io credo che il flusso di nuovi Npl varierà fra i Paesi tra i 30 miliardi” di valore nominale “della Grecia e i 100 miliardi della Francia” con quest’ultima che, a suo dire, farà da “apripista”.

Se dunque a inizio anno lo stock di Npl si aggirava intorno ai 600 miliardi nei prossimi 18-24 mesi Landolfi ritiene che “se ne aggiungeranno altri 300”. Stime, comunque, che “partono da alcuni assunti, in termini di disoccupazione e perdita di prodotto interno lordo, che potrebbero essere ampiamente mitigati da interventi esterni, a partire dal Recovery fund”.

In merito all’ipotesi di bad bank europea l’analista di Hsbc evidenzia che “non si è ancora capito fino in fondo qual è il disegno che hanno in mente e autorità monetarie né quale modello si imporrà, se opereranno come un qualsiasi player di mercato o se invece interverranno con denaro pubblico solo per banche in crisi, come in altri Paesi”. Per quanto riguarda l’Italia, invece, sottolinea che “il sistema bancario ha fatto molti passi avanti, con un processo di smaltimento delle sofferenze piuttosto accentuato”. Semmai, rileva, “nel nostro caso gioca contro la lentezza della macchina amministrativa con una giustizia più lenta nel recupero delle garanzie. Sugli altri aspetti invece il modello misto pubblico-privato può essere un buon esempio, anche a livello europeo”.

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