Ancora qualche intoppo per Unicredit sulla strada che porta a Siena: si lavora all’acquisizione mentre crescono i timori per le ricadute occupazionali e per la sorte dei tanti dipendenti che potrebbero non trovare spazio nella nuova realtà. A discutere e a preoccuparsi per il futuro di Rocca Salimbeni ora non sono solo i sindacati ma anche la politica. Intanto si avvicinano le elezioni suppletive a Siena del 3 e 4 ottobre e fino ad allora è probabile che non arrivino novità in merito alla sorte della più antica banca del Paese.
IL NODO ESUBERI
A destare preoccupazione tra i sindacati e tra i diversi schieramenti politici sono i posti di lavoro a rischio che si aggirerebbero intorno a quota 5.000. Del resto, secondo i conti presentati dalla Stampa, l’efficienza di Rocca Salimbeni è di molto peggiorata negli ultimi anni di controllo statale. In media infatti nei primi sei mesi del 2021 in Montepaschi lavorano 15 dipendenti per sportello a fronte dei 10 in Bper e Credem e dei 13 in Banco Bpm. Anche sul fronte della redditività per dipendente il discorso non è certo favorevole a Siena. Se infatti Intesa Sanpaolo impiega 18 lavoratori a filiale, più di Mps, però ciascuno porta a casa margini medi per 141 mila euro, mentre in Banco Bpm ci si attesta a 114 mila euro, in Credem a 103 mila euro, in Bper a 88 mila euro. Ultima in classifica è proprio Siena con 73 mila euro per dipendente. Dunque, considerando 4-5 dipendenti in eccesso per sportello su 1.400 filiali ecco che gli esuberi sarebbero circa 6-7 mila e non dovrebbero granché aumentare con l’acquisizione da parte di Unicredit perché scenderebbero in campo altri istituti (secondo indiscrezioni Mediocredito Centrale e Bper).
INTANTO I DIPENDENTI SCIOPERANO
I sindacati, come si diceva, sono in fibrillazione. Venerdì tutte le sigle del settore – Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca Uil e Unisin Confsal – hanno indetto uno sciopero che ha riscontrato – secondo la Fisac – una “forte” adesione. Quattro presidi in piazza (a Milano, Roma, Bari e Siena, davanti alla Rocca) per chiedere un incontro a Palazzo Chigi e per protestare contro l’ipotesi “spezzatino” e la possibile chiusura di 50 filiali in tutto il Paese. “Lo sciopero di oggi non è un no a Unicredit né vuole rappresentare un muro nei confronti del Tesoro e del governo, per quello che stanno facendo” ha commentato il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni. “Sono convinto che il premier Draghi, il ministro Franco e il direttore generale del Tesoro Rivera troveranno, con Unicredit, le migliori soluzioni possibili, soluzioni che i sindacati valuteranno e contrasteranno se non saranno socialmente e politicamente sostenibili”. Per Sileoni “se si arriverà a un eventuale accordo fra governo e Unicredit, credo che dovremo considerare positivamente che un gruppo italiano, anche se con l’aiuto economico dello Stato, si faccia carico di una situazione complicata come quella di MPS che permetterà di gestire gli eventuali esuberi senza licenziamenti e di garantire gli stipendi a oltre 21.000 lavoratori e alle loro famiglie”.
Di sicuro occorre tutelare i dipendenti dell’istituto senese che “hanno già contribuito, in termini economici, con centinaia di milioni di euro per tenere in piedi la banca, sia rinunciando a una parte del Tfr sia con le giornate di solidarietà. La protesta di oggi ha diversi obiettivi: quello che lavoratori e sindacati siano coinvolti dal governo, e quello di dire, a chi prenderà Mps e al Tesoro che è arrivata l’ora che tutti i sacrifici fatti, professionali ed economici, siano ricompensati e che si torni finalmente alla normalità e alla stabilità”.
COSA PENSANO GLI ANALISTI DEL FUTURO DI MPS
Nel frattempo pure il mercato nutre i suoi dubbi sul futuro della banca senese. In particolare, si ragiona sul fatto che, se la trattativa con Unicredit non dovesse andare a buon fine, via XX Settembre lascerebbe Mps al suo destino visto che a fine anno dovrà dismettere il suo 64% in base agli accordi con Bruxelles. E di certo – si è visto – la Rocca avrebbe ben più di qualche difficoltà. Dunque – riporta il sito di Milano Finanza – l’Ue potrebbe non dare il via libera a lasciare Mps da sola e “si rischierebbe la liquidazione della banca col licenziamento di tutti i dipendenti”, una strada che però “andrebbe a destabilizzare il sistema finanziario.
Oppure Bruxelles potrebbe dare il proprio assenso “ma pretendere un ridimensionamento con l’uscita di oltre 7 mila dipendenti. E, visto che Mps “è uscita dagli stress test di luglio molto male (il peggior istituto europeo), il rischio è di dover trasformare in equity e quindi in solidità patrimoniale parte del debito subordinato”. Una situazione del genere, secondo gli analisti di Bestinver, porterebbe a un bail-in.
D’altro canto, potrebbe accadere che il gruppo di Andrea Orcel trovi un accordo con il Mef e “in quel caso i bond subordinati vedrebbero i prezzi riallinearsi a quelli dell’acquirente, con le spalle più solide (sarebbe un bel rally)”. I detentori dei bond avrebbero perciò un bel vantaggio che, secondo gli analisti di Kbw, “vanificherebbe lo spirito del diritto dell’Ue, dal momento che i possessori del debito subordinato sono fondi istituzionali”. L’unica soluzione sarebbe dunque “quella di una conversione volontaria delle obbligazioni in equity e/o altro debito subordinato da concordare con i detentori dei bond, che sia legata al resto dell’operazione”.