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Mps, ecco come Mediobanca e Mef spingono il Monte verso Unicredit

Dossier Mps e ipotesi Unicredit: fatti, numeri, indiscrezioni e scenari

 

Una ricapitalizzazione da 2-2,5 miliardi di euro a carico dello Stato per appostare in modo adeguato i rischi legali e far fronte ai costi di un’integrazione che comporterebbe l’uscita circa 6 mila dipendenti. Oltre a una dote di attività fiscali differite di oltre 3 miliardi di euro, da utilizzare per risparmiare sulle tasse.

ECCO TUTTE LE BOMBE LEGALI NEI CONTI DI MPS

Sarebbero queste, secondo quanto ha scritto ieri l’Ansa, le condizioni proposte dal Tesoro a Unicredit, che le starebbe valutando senza aver deciso alcunché, per farsi carico di Mps, nel tentativo di trovare una soluzione definitiva ai problemi di Siena. Nessuno dei soggetti coinvolti ha voluto commentare le indiscrezioni.

Unicredit ha ribadito come il suo ceo, Jean-Pierre Mustier abbia anche recentemente escluso l’intenzione di avventurarsi in fusioni e acquisizioni.

CHE COSA HA SCRITTO IL SOLE 24 ORE

Secondo quanto risulta a Il Sole 24 Ore, dal ceo francese non è ancora arrivato un via libera a un’operazione Siena. Perché, è probabile, molto se non tutto dipende dalle condizioni a cui il Tesoro conferirebbe la banca: “Secondo fonti finanziarie, l’ultima ipotesi prevederebbe una ricapitalizzazione del Monte da parte del Mef per una cifra compresa tra i 2 e i 2,5 miliardi, di cui uno destinato a rimpinguare i fondi per le cause legali e un altro per coprire gli esuberi pre-nozze, stimati intorno a 6mila unità (di cui la metà a Siena). A questa mossa, che deve in ogni caso superare ostacoli non banali sul piano dei conti pubblici, si affiancherebbero anche 3 miliardi di crediti fiscali. Al termine di questo processo, al Mef resterebbe una quota del 5%. Basterà tutto questo a convincere Mustier? Si vedrà. Difficile, però, che a breve il banchiere abbandoni la linea «No M&A»”, ha scritto oggi il quotidiano economico-finanziario.

LA DOTE DI MPS?

Per assicurare alla banca il mantenimento di un “cet1 superiore al 13%”, secondo un report di Equita dei giorni scorsi, Mps avrebbe bisogno di una dote di “circa 4 miliardi”, cifra che non include il necessario incremento degli accantonamenti sui rischi legali, pari a 600 milioni su un petitum di 10 miliardi (qui l’approfondimento di Start Magazine sulle cause legali). A pagare sarebbe ancora una volta il Tesoro (il Mef infatti controlla il Mps), in un’operazione che ricalcherebbe la cessione delle banche venete (Popolare di Vicenza e Veneto Banca) a Intesa Sanpaolo.

LE STIME DI EQUITA

Equita ha calcolato che, a fronte di 2 miliardi di euro di costi di integrazione, la neutralità sul patrimonio (Cet 1 ratio pro forma del nuovo gruppo che si verrebbe a formare superiore al 13%), rende necessaria una ricapitalizzazione di 4 miliardi, “ma senza considerare la copertura dei rischi legali”.

I CALCOLI DEGLI ANALISTI SU MPS E UNICREDIT

Per la Sim – ha scritto Radiocor – l’ipotesi le risorse già stanziate dal Mef per 1,5 miliardi sono sufficienti per procedere con lo spinoff dei crediti deteriorati (Npe) ad Amco e completare il processo di derisking, ma potrebbero risultare non sufficienti per rendere ancora più appetibile la banca in un’ottica di M&A, anche ipotizzando un intervento da parte di Unicredit.

COSA FA MEDIOBANCA SECONDO IL CORRIERE DELLA SERA

Comunque secondo Mediobanca – come ha scritto nei giorni scorsi il Corriere della Sera – chi si fonderà con Mps potrà beneficiare di un «patrimonio inespresso» di 3,6 miliardi (in termine tecnico «Dta», attività per imposte differite), ovvero crediti fiscali legati alle enormi perdite della banca senese. È questo uno dei punti forti del dossier Mps portato avanti dal Tesoro, socio al 68%, dall’advisor Mediobanca e dallo stesso ceo dell’istituto, Guido Bastianini.

L’OPZIONE DI B DI MEDIOBANCA E TESORO SU MPS

E se il piano di Tesoro e Mediobanca dovesse fallire? E’ pronto un piano B: convincere Bruxelles della ineluttabilità della nazionalizzazione. Anche in questo caso – ha scritto di recente Panorama – l’istituto di Piazzetta Cuccia ha l’uomo giusto per un Monte pubblico: Antonio Guglielmi, “ambasciatore romano di Nagel”, e apprezzato da M5s (ebbe un ruolo nell’incontro nel 2018 dell’allora candidato premier Luigi Di Maio con la comunità finanziaria londinese) , ma anche della Lega, oltre che candidato dai grillini alla direzione generale del Mef; ma fu sconfitto dalla scelta dell’ex ministro dell’Economia, Giovanni Tria, che promosse Alessandro Rivera alla direzione generale del Tesoro. E ora i duellanti collaborano, pare.

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