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banche italiane

Mps, Banco Bpm e non solo, come andrà il risiko bancario?

Estratto dalla relazione di Emilio Contrasto, segretario generale di Unisin, tenuta nel corso del congresso Unisin

 

Negli ultimi anni abbiamo assistito a casi di crisi di istituti bancari, in cui tra i fattori del salvataggio in nome della tutela dei posti di lavoro e dei risparmi della clientela, possiamo annoverare la mano pubblica (talvolta diretta come nel caso del Monte dei Paschi di Siena, talvolta indiretta, come nel caso della Banca Popolare di Bari, altre volte ancora con appositi interventi normativi) ma soprattutto il concreto e fattivo intervento del Settore (attraverso, ad esempio, il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi e l’acquisizione da parte di Banche sane di realtà in crisi) e delle Organizzazioni sindacali. Decisivo, infatti, in tutti i casi, è stato il contributo responsabile dei Sindacati per individuare le azioni e le misure, anche richiamate ad un necessario spirito di sacrificio, per risollevare le sorti di tali aziende e rilanciarne l’azione affinché un futuro stabile potesse essere garantito a chi vi lavora.

Anche in tutti questi casi, il ruolo delle Organizzazioni sindacali ed il senso di responsabilità dei lavoratori sono stati determinanti per la salvaguardia dell’occupazione e per la tutela degli interessi della clientela. Non sono, poi, mancati casi che hanno fatto scandalo come la questione diamanti o le operazioni cosiddette “baciate” (pratica mediante la quale alcune banche hanno condotto la clientela all’acquisto delle proprie azioni, fornendo loro a tal fine la necessaria provvista mediante finanziamenti ad hoc), nelle quali non solo i lavoratori sono stati anch’essi spesso vittime di tali riprovevoli comportamenti gestionali finalizzati alla massimizzazione del profitto ma si sono trovati a fronteggiare, sovente nelle aule dei tribunali, responsabilità ascrivibili solo a scelte manageriali. Nostro compito è tutelare questi lavoratori, nei luoghi di lavoro ma anche nella gestione delle conseguenze di tali situazioni non imputabili a loro. Ancora non totalmente risolte sono alcune di queste crisi: Monte dei Paschi di Siena che attende da anni il nuovo piano industriale, volto al definitivo superamento della crisi ed al rilancio della più antica banca del mondo, pur non avendo ancora mai visto attuato pienamente il vecchio e che vede ancora il Ministero dell’Economia e delle Finanze come principale azionista.

Sempre su Mps occorre ricordare che l’ipotesi di acquisizione da parte di Unicredit è sfumata quando era giunta quasi al traguardo e la recente decisione della Corte di Appello di Milano che ha assolto gli ex vertici della banca dalle accuse loro rivolte. Ancora una volta, alla fine, a pagare, per colpe non loro, sono stati le lavoratrici ed i lavoratori del Gruppo, la clientela e l’intera collettività che si è fatta carico, attraverso il Mef, di ripianare le voragini causate dalle passate gestioni; Banca Popolare di Bari, oggi integrata nel Gruppo MCC Medio Credito Centrale, soffre ancora e noi continuiamo a ritenere che il progetto di “Banca del Mezzogiorno” – che caratterizzava l’operazione di salvataggio operata con l’apposito decreto e assicurata anche da un delicato quanto duro accordo sindacale – vada portato avanti per non vanificare il sacrificio fatto dai lavoratori. Anche in questo caso, va ricordato, è stato determinante il coinvolgimento delle Segreterie Nazionali e Generali per individuare una soluzione che, seppur sofferta, ha consentito di guardare avanti; su CA.RI.GE., la recente acquisizione da parte della Banca Popolare dell’Emilia-Romagna dovrebbe finalmente lasciare definitivamente alle spalle la crisi. Anche i processi di aggregazione sono ripartiti, oramai circa due anni fa, con l’offerta pubblica di acquisto e scambio di Intesa Sanpaolo su UBI ed il contestuale conferimento di oltre 500 filiali a BPER e a Banca Popolare di Puglia e Basilicata: ancora una volta, il ruolo delle Organizzazioni sindacali, con i vari livelli coinvolti, è stato determinante per la buona riuscita dei processi di armonizzazione che in questi casi si rendono necessari. Quello che nel gergo giornalistico è definito “risiko bancario” resta evidentemente in atto.

Dopo il nulla di fatto di Unicredit/Mps, un lampo è stato rappresentato dall’acquisizione del Creval da parte di Credit Agricole Italia e proprio l’azienda francese, nelle settimane scorse, si è mossa con importanti acquisizioni azionarie sul Banco BPM. È evidente come a tutto ciò abbia contribuito anche la riforma delle Popolari che ha forzato ed accelerato il processo di consolidamento che incontra ancora qualche residua resistenza. Essenziale è, altresì, continuare a garantire il ricambio generazione tra i lavoratori che scelgono di uscire dal processo produttivo ed i nuovi ingressi di forze giovani che dovranno prenderne il posto. Il nostro Settore, anche in questo ambito, ha individuato strumenti e regole che permettono il turnover e il rinnovamento del comparto, facendosene carico in termini economici (ad esempio, il fondo di sostegno al reddito ed il fondo per l’occupazione). Tali strumenti devono essere confermati e restare gli unici utilizzabili nel Settore. Resta necessario garantire sempre forme di assunzione stabili, evitando ogni forma di instabilità e/o di precariato e, quindi, senza ricorso a strumenti che riducano le tutele individuate dalla legge, nel contratto nazionale e nella contrattazione di secondo livello. Ci piace, a tal proposito, ricordare che, grazie alle intese definite tra le cinque Organizzazione del Credito, Abi e Gruppi / Aziende oggi il nostro Settore è caratterizzato dalla più alta presenza di contratti di lavoro stabili a livello di sistema economico nazionale, nonché dal fatto di essere l’unico comparto che ha effettuato e continua ad effettuare un numero importante di nuove assunzioni di giovani lavoratori. Anche sulla sicurezza sui luoghi di lavoro occorrerà proseguire nella valutazione dei rischi specifici e nella ricerca delle migliori soluzioni volte alla prevenzione di tutte quelle situazioni che possano arrecare nocumento o pregiudicare la sicurezza dei lavoratori sui luoghi di lavoro. A partire dal rischio rapina sino ad arrivare alla gestione delle aggressioni, anche fisiche, nei confronti dei colleghi durate questi anni di pandemia o per effetto degli scandali che hanno coinvolto il Settore e dei quali, come detto, gli stessi colleghi sono spesso stati anch’essi vittime. Attenzione a parte, su tale aspetto, occorre darla al tema dello stress da lavoro correlato che in modo subdolo, silenzioso e diffuso colpisce sempre più i colleghi ed i cui effetti emergono anche a distanza di tempo. Un monitoraggio diffuso e capillare di tale fenomeno dovrà rappresentare un must sia per il Sindacato che per le Aziende.

Molte sfide dovremo avere l’ambizione di affrontare, come quella della partecipazione dei lavoratori e della valorizzazione del ruolo dei rappresentanti dei lavoratori nella vita delle aziende. Su questo va aperto un dibattito ed un confronto: molti modelli esistono e vanno indagati. Bisogna mettere fine al sistema perverso di socializzazione delle perdite e di privatizzazione dei profitti che si è affermato nella società e nel nostro Settore. I lavoratori – lo abbiamo visto in numerosi casi ed in tanti gruppi – sono sempre chiamati a fare la propria parte quando si tratta di fare sacrifici per salvare le aziende, salvaguardare l’occupazione, evitare le crisi o venirne fuori. E hanno sempre fatto la propria parte, grazie al contributo attivo e responsabile del Sindacato. Poi, però, allorquando le cose vanno bene, la distribuzione dei profitti premia pressoché esclusivamente gli azionisti ed i più alti livelli del management. E la spartizione di poche briciole è sovente lasciata solo ai contorti meccanismi di incentivazione che, essendo quasi sempre di matrice unilaterale da parte aziendale, tendono a premiare principalmente la produzione commerciale, generando effetti pericolosi in termini di pressioni commerciali e non valorizzando la qualità della prestazione, né il contributo indiretto di tante attività di supporto.

Non stiamo, qui ed ora, proponendo dei modelli duali o di cogestione ma, ribadiamo, è l’ora di aprire un tavolo sul tema. Così come è necessario riscoprire e riaffermare il ruolo ed il peso di istituti premianti egualitari e democratici che, per loro natura, assicurano riconoscimento a tutti per il contributo garantito all’affermazione dell’azienda. Non è plausibile, anzi è deleterio a lungo termine, continuare ad avere sistemi incentivanti, premianti, discrezionali che riconoscano, solo ad alcuni ed in misura crescente con il ruolo, premi economici squilibrati rispetto al salario contrattualizzato. Questi meccanismi sono miopi e tendono a focalizzarsi sul solo risultato immediato e di brevissimo periodo, piuttosto che puntare su quelli consolidati e strutturati nel tempo. E troppo spesso, generano situazioni controverse che vanno assolutamente evitate.

Una riflessione della giornalista Carlotta Scozzari, se pur riferita solo ai massimi vertici, può aiutare a riassumere la situazione attuale: nel 2021 gli amministratori delegati dei sei principali Gruppi bancari hanno percepito in tutto oltre 19 milioni, in media 3,17milioni a testa: 54 volte gli stipendi medi dei dipendenti dei gruppi bancari ove lavorano.

Il nostro concetto di equità non vuole certamente non riconoscere le migliori professionalità o compromettere la ricerca ed il reclutamento dei cosiddetti “talenti” ma lo squilibrio retributivo oggi presente non si giustifica e va corretto anche alla luce delle considerazioni sin qui esposte. La professionalità del lavoro del bancario è un dato incontrovertibile e deve essere riconosciuta attraverso un quadro normativo certo e garantista e premiato attraverso un adeguato riconoscimento economico sostanzialmente “a pioggia” che abbatta il differenziale oggi presente tra quanto percepito dalle Aree Professionali e dai Quadri Direttivi rispetto al top management.

È inevitabile, a questo punto, un riferimento alla nota dolente, alla ferita sempre aperta, rappresentata dalle pressioni commerciali e da tutte quelle sollecitazioni indebite, insopportabili, fatte di continui e reiterati richiami alla produzione – spesso con toni inaccettabili, spingendo sempre più in alto l’asticella degli obiettivi – di previsioni di vendita, di agende continuamente controllate e mai sufficientemente piene, di mail, messaggi e telefonate a tutte le ore, non solo del giorno, e di quanto potranno ancora continuare ad inventarsi per stupirci.

Il protocollo del 2017, inserito nell’ultimo CCNL, così come i numerosi accordi in materia nei gruppi e nelle aziende, rappresentano un fondamentale risultato ed una importantissima conquista in termini di affermazione di valori e principi ma non possono essere vanificati o sconfessati da un agire quotidiano, spesso di natura individuale, che, pressoché in tutte le aziende del Settore, vede il malcostume di reiterarsi indisturbato. La commissione di Settore, ad oggi, è stata investita di un solo caso e non ci risulta che le commissioni aziendali e di gruppo riescano ad ottenere risultati più tangibili. Probabilmente vanno rivisti certi meccanismi ma, soprattutto, bisogna agire sulla cultura manageriale e a questa responsabilità chiamiamo i vertici dell’Associazione delle Banche e delle aziende/gruppi che non possono fingere di non sapere cosa succede quotidianamente o sbalordirsi quando casi eclatanti vengono alla luce. Su questo aspetto, come detto, ABI deve svolgere il suo ruolo e pretendere il rispetto di quelle regole che insieme abbiamo costruito, anche a tutela della reputazione dello stesso Settore.

Ricordiamo, sempre sul tema delle pressioni commerciali, che lo scorso 17 maggio Unisin, insieme alle altre Organizzazioni del Credito, ha partecipato ad una audizione presso la Commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario presieduta all’onorevole Carla Ruocco. In quella sede, abbiamo ribadito la nostra proposta di affidare ad uno specifico organismo, magari da individuare all’interno delle Banche centrali di ogni singolo Stato, disciplinato a livello europeo per evitare così differenze tra i vari Stati dell’Unione, avente lo scopo di certificare, in modo indipendente rispetto a Banche e altri intermediari, i profili dei clienti (c.d. questionari) redatti in applicazione della normativa MiFID (Markets in Financial Instruments Directive) che, come noto, ha specificatamente il duplice scopo di garantire una maggiore tutela degli investitori ed una migliore trasparenze dei mercati finanziari.

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