A ciascun giorno basta la sua pena, si legge nel Vangelo. E menomale direbbero a Siena visto che sorge di continuo qualche problema. Ora è la volta della richiesta di risarcimento per “almeno” 1,3 miliardi rivolta agli ex componenti del consiglio d’amministrazione che decise l’acquisto di Antonveneta, a fine 2007. Intanto il neo amministratore delegato di Montepaschi, Luigi Lovaglio, ex Creval, insediatosi il 7 febbraio scorso dopo la sfiducia nei confronti di Guido Bastianini, sta prendendo le misure per scrivere il nuovo piano industriale e proporre l’aumento di capitale che condurrà all’uscita progressiva del Tesoro, ora primo azionista con il 64%.
Proprio Lovaglio stamani ha inviato ai dipendenti di Rocca Salimbeni una lettera in cui afferma che occorre costruire un percorso per dare “alla banca e alle sue persone un futuro fatto di certezze e orientato alla crescita sostenibile, a beneficio dei clienti e dei territori dove operiamo”. Per far questo, sottolinea, “dobbiamo innanzitutto lavorare intensamente, avvalendoci delle competenze di ciascuno, a prescindere da ruolo, età e posizione, per far sì che la banca possa liberarsi dalle legacy che fino ad oggi hanno condizionato la sua attività e permettere che emerga il suo reale valore”.
E siccome pare proprio che i conti col passato a Siena stentino a chiudersi, stamani l’ex ad Giuseppe Mussari è stato ascoltato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di David Rossi, all’epoca capo della comunicazione di Mps, che ha definito “un fratello, un amico. Lo feci assumere perché nel suo lavoro era il più bravo di tutti”.
IL CAOS ANTONVENETA
La vicenda Antonveneta è iniziata l’8 novembre 2007 quando Mps comunicò di voler acquistare, senza previa due diligence, la banca padovana Antonveneta dall’istituto spagnolo Santander – che l’anno prima l’aveva rilevata a sua volta dall’olandese Abn Amro – per 9 miliardi di euro. La controllata Interbanca venne esclusa dall’operazione e uscì da Antonveneta in concomitanza con il suo ingresso a Siena.
L’acquisizione fu definita dal Monte, all’epoca, “un’occasione importante quanto ad appetibilità industriale (complementarietà territoriale e simile cultura “Retail”), linearità della governance (non presenta alcun vincolo né complessità) e dimensione”. Peraltro si prevedeva “un effetto accrescitivo sugli utili di consensus del Gruppo Monte dei Paschi di Siena a partire dal 2009”.
In realtà l’operazione si rivelò troppo pesante per le casse del gruppo che fu poi costretto a ricorrere ai derivati Alexandria e Santorini, sottoscritti rispettivamente nel 2005 e nel 2002, per nasconderne il reale impatto sui conti.
LA LETTERA INVIATA ALL’EX CDA E COLLEGIO SINDACALE
La lettera, visionata da La Stampa, è stata firmata dal capo dell’ufficio legale di Montepaschi e inviata agli ex membri del board Giuseppe Mussari, Francesco Gaetano Caltagirone, Ernesto Rabizzi, Fabio Borghi, Turiddo Campaini, Lucia Coccheri, Carlo Pisaneschi, Pier Luigi Stefanini e agli ex sindaci revisori Tommaso Di Tanno, Piero Fabbretti e Leonardo Pizzichi. Va aggiunto che in precedenza Caltagirone aveva avanzato una richiesta di risarcimento a Mps di circa 500 milioni di euro per il danno subito a causa della perdita di valore del suo investimento nella banca.
La missiva fa riferimento a una comunicazione del 24 dicembre 2021 con cui ai consiglieri e ai membri del collegio sindacale in carica tra 2006 e 2009 si rivolgeva l’invito a una soluzione stragiudiziale del contenzioso avviato nel 2016 al termine dell’approfondimento sulle conseguenze dell’acquisizione di Antonveneta. Secondo quanto si legge il board guidato da Mussari “ha posto in essere atti di mala gestio che hanno causato alla banca un ingente danno economico” tra cui la mancata due diligence e valutazione degli impatti finanziari, l’esame sommario dei documenti a disposizione, l’assenza di garanzie per l’acquirente nel contratto preliminare e di azioni cautelative a fronte delle criticità emerse tra contratto preliminare e acquisto definitivo (maggio 2008), la mancanza di procedure adeguate per valutare acquisizioni di grandi dimensioni.
LE IPOTESI SULL’AUMENTO DI CAPITALE
I conti con il passato non sono finiti qui, però. Per procedere con la privatizzazione dell’istituto occorre infatti metter mano a un aumento di capitale e sarà compito del nuovo ad scrivere il piano industriale – da sottoporre alla Bce – entro cui comprenderlo. Il mercato, riferisce Bloomberg, ipotizza una cifra superiore alle stime circolate finora, pari a 2,5 miliardi. Si starebbe ragionando intorno ai 3,5 miliardi, cifra “vista dal Tesoro come necessaria per rispettare i requisiti di capitale specifici per la banca”. In serata Montepaschi ha smentito queste indiscrezioni e detto che “non trovano alcun fondamento in iniziative avviate dalla Banca”.
Secondo Il Sole 24 Ore fonti vicine alla banca rilevano come sia presto per fare valutazioni sul deficit di capitale. Di sicuro tutti concordano sul fatto che la ricapitalizzazione dovrà essere realizzata a condizioni di mercato, senza coinvolgere gli obbligazionisti subordinati e magari attirando invece nuovi potenziali investitori.
Va ricordato, poi, che lo stesso ministro dell’Economia e delle Finanze, Daniele Franco, durante un’informativa alle Commissioni Finanze di Camera e Senato ad agosto scorso aveva detto che per ricondurre i coefficienti patrimoniali della Rocca i Mps sui valori medi delle banche Ue sarebbe servito “un aumento di capitale ben superiore a quello previsto nel Piano 2021-25” ovvero fra 2 e 2,5 miliardi. Stima che era poi stata fissata a 2,5 miliardi nel capital plan inviato a Francoforte e che non teneva in conto le risultanze degli stress test pubblicati qualche mese prima.
Secondo il quotidiano confindustriale, inoltre, nel definire la cifra si dovranno includere anche i costi per finanziare gli esuberi della banca e riportare il cost/income ratio a livelli più bassi rispetto agli attuali, circa il 71%. La ricapitalizzazione dovrebbe scattare a fine 2022.