L’iniziativa maturata nell’ambito del comune di Milano per la individuazione di una salario minimo corrispondente al costo della vita nell’area metropolitana non risolve un problema sempre più evidente. Cresce infatti il divario tra il carrello della spesa dei beni essenziali e i salari definiti da contratti nazionali che sempre più faticosamente individuano incrementi (modesti) che possano diventare effettivi in tutti i territori di un Paese fortemente differenziato.
Nella capitale economica si applica poi il teorema declinato già un decennio fa dal professor Moretti, in base al quale per ogni occupato hi-tech si producono almeno cinque lavori servili. Colf, badanti, operatori della sicurezza, addetti alle pulizie e alle consegne, camerieri sono alcune delle figure professionali a basso reddito che solo l’ideologia può comprimere nello stesso livello retributivo applicabile in una periferia del mezzogiorno. Ed è ancora l’approccio ideologico a suggerire la soluzione del salario minimo, affidato peraltro non alla negoziazione ma ad una commissione municipale. Senza dimenticare l’incursione della procura che ha stabilito in più occasioni che i minimi retributivi dei contratti sottoscritti dalle maggiori organizzazioni sarebbero inferiori ai livelli coerenti con i criteri di cui all’art.36 della Costituzione.
In verità, la questione milanese evidenzia la necessità immediata di un contratto territoriale integrativo, sottoscritto dalle maggiori confederazioni delle imprese e dei lavoratori, che istituisca una indennità di sede giustificata dagli extra costi del vivere e lavorare nella città più ricca.
Non si tratterebbe di una gabbia salariale perché la fonte non è data da un rigido atto amministrativo ma da un duttile negoziato. Si avvierebbe invece, finalmente, la stagione di un modello contrattuale nel quale i salari dovrebbero essere definiti in prossimità, nelle aziende ovunque possibile o, in alternativa, nei territori. Così da riflettere costo della vita, diseconomie esterne alle imprese, professionalità, produttività, scomodità (lavoro notturno o festivo).
L’equità non dignifica uguaglianza.
Maurizio Sacconi