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Mes

Le capriole del Corriere della sera sul Mes

Dopo mesi di allarmismi e minacce, il Corriere della Sera scrive che i governi europei considerano la mancata ratifica del Mes da parte dell'Italia "un fastidio evitabile". Perché? Il commento di Giuseppe Liturri

 

Finalmente anche sul Corriere della Sera oggi si fa largo una delle motivazioni più importanti per cui il governo guidato da Giorgia Meloni sta tenendo il punto sulla (mancata) ratifica del Mes. Dopo mesi di allarmismi e minacce di possibili effetti destabilizzanti paragonati alla fine del mondo, apprendiamo da Federico Fubini che, puramente e semplicemente, “C’è poi un’altra ragione che permette alla premier di continuare a bloccare il Mes: gli altri governi trovano il veto italiano un fastidio evitabile, ma non così importante (almeno fino alla prossima crisi bancaria, quando la rete di sicurezza del Mes potrebbe servire)”.

Solo poche righe  – è comprensibile il fastidio nell’ammettere una semplice e decisiva verità finora negata – per prendere atto della realtà. Ma Fubini non spiega il perché di tale modesta importanza.

Cioè che il Mes che c’è già (quello ratificato nel 2012) sarebbe già in grado di assolvere ai compiti che i suoi sostenitori gli assegnano e quindi non c’è da bisogno di invocarne a gran voce la ratifica della riforma. La quale renderebbe solo più gravoso l’accesso ai prestiti precauzionali da parte degli Stati, quindi, tanto vale, tenerselo così.

Ma è ragionevole ipotizzare che nessuno dei 19 Stati che hanno già ratificato dopo la firma dei governi avvenuta a gennaio 2021, oggi creda a quei compiti. Cioè che serva un fondo salva Stati nella forma concepita nel lontano 2012, ormai un’era geologica fa, che dovremmo esserci messi ormai alle spalle. Altrimenti non si capisce perché non abbiano fatto alcuna pressione per la ratifica sul governo di Mario Draghi, che pure aveva una maggioranza parlamentare bulgara e, tuttavia, non ha mai nemmeno accennato alla presentazione del disegno di legge di ratifica.

C’è poi ancora qualche giapponese sperduto nella giungla di qualche isola del Pacifico che crede seriamente che il Mes riformato possa servire nel caso di una prossima crisi bancaria, quando potrebbe erogare un prestito “paracadute” fino a 68 miliardi al Fondo di Risoluzione Unico, nel caso quest’ultimo avesse esaurito i propri fondi nel correre in soccorso di una banca in dissesto. Cifre che sono schiuma sulla battigia al confronto con lo tsunami creato dalle dimensioni di qualsiasi banca europea medio-grande.

Tale intervento del Mes sarebbe di fatto un bail-out (salvataggio esterno ad opera dello Stato) della banca in crisi. Da sempre visto come il fumo negli occhi dagli aedi del Mercato di stanza a Bruxelles ed a Francoforte. Perché – con tutta evidenza – il Mes non trova i soldi sotto l’albero nel campo dei Miracoli, ma è finanziato dagli Stati membri ai quali può richiedere ancora circa 640 miliardi di capitale sottoscritto e non versato (di cui circa 114 a carico dell’Italia). Allora che senso ha farsi intermediare dal Mes per finanziare un salvataggio bancario? Uno solo: senza Mes  – in un modo o nell’altro – ciascun Stato membro interverrebbe nel salvataggio delle proprie banche, previo bail-in (cioè sacrificio di obbligazionisti e eventualmente di depositanti oltre 100mila euro). Col Mes la crisi bancaria sarebbe finanziata, sempre previo bail-in, con le casse dell’intero condominio. Un bail-out in cooperativa di cui lasciamo al lettore il compito di ipotizzare gli eventuali beneficiari.

Insomma, a nessun importa granché di una riforma di un accordo intergovernativo (il Mes è fuori dal perimetro delle istituzioni europee) il cui processo è cominciato nel 2017, si è stancamente trascinato per 4 anni, e di cui ora quasi nessuno si ricorda a cosa serva.

A Fubini tutto ciò interessa poco.

Secondo lui c’è ben altro a sorreggere la posizione della Meloni che noi, per contrappasso, ci limitiamo a liquidare in poche righe. Si tratta della volontà di Ursula von der Leyen di assicurarsi l’appoggio anche dei parlamentari europei che fanno capo ai “Conservatori e Riformisti” della Meloni per la corsa al ruolo di prossimo Presidente della Commissione, a cui la tedesca ambisce.

Ma, conclude Fubini, non si illuda la Meloni di poter fare “ingresso trionfale nel consociativismo europeo”, ché il rispetto delle regole europee incombe su tutti, amici vecchi e nuovi, e “non c’è maggioranza che serva, per chi non tiene il passo”. La terza rata del PNRR è ancora sub judice ed il nuovo modello di governo del PNRR sta facendo storcere il naso, e non c’è von der Leyen che tenga. Avvertimento consegnato. Ma da Roma s’ode già la risposta “Va bene, le faremo sapere. Chiamiamo noi”.

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