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Quota 100

L’Ucraina, le badanti e la realtà del mercato del lavoro in Italia

Che cosa succede nel mercato del lavoro in Italia e gli esperimenti in alcune città italiane. L'analisi di Giuliano Cazzola

’Gli ucraini sono un popolo di cameriere, badanti e anche amanti’’. È questo un ‘’fuori onda’’ carpito in un’importante trasmissione televisiva dedicata alla crisi ucraina. Nonostante le successive scuse le affermazioni si commentano da sé. E non sono generose, ma neppure corrette nei confronti di una comunità di 236mila cittadini ucraini residenti in Italia, dove svolgono, al pari di altre comunità di stranieri, il lavoro che viene loro offerto e che consentono, in questo modo, agli italiani di vivere – come ha scritto Luca Ricolfi – in un regime di ‘’signoria di massa’’.

Gli ucraini che vengono in Italia non sono in condizione di fare come quegli italiani che percepiscono il reddito di cittadinanza e che rifiutano l’offerta di un posto di lavoro, adducendo – secondo un report di Inapp – le seguenti motivazioni: il 53,6% ha indicato l’attività non in linea con le competenze possedute; il 24,5% non in linea con il proprio titolo di studio, mentre l’11,9% ha lamentato una retribuzione troppo bassa. Solo il 7,9% ha indicato la necessità di spostarsi come causa prevalente del rifiuto.

La mia famiglia – tanto per fare un esempio – ha assunto una colf ucraina che nel suo Paese dirigeva una piccola azienda di dolciumi. Il signore che, su incarico del condominio, pulisce le scale viene dal Marocco ed è iscritto a ingegneria. Ma c’è di più. Proprio negli stessi giorni in cui giravano i commenti ‘’politicamente corretti’’ sulle considerazioni percepite nel ‘’fuori onda’’ ho letto – sul più diffuso quotidiano della mia città, Bologna – un’intervista al direttore generale dell’Ascom (Confcommercio) Giancarlo Tonelli, il quale lamentava la mancanza, nell’area metropolitana, di circa un migliaio di posti di lavoro soprattutto nel terziario, dalla galassia del turismo, fino ai servizi più disparati; le aziende (a cercare personale sono anche gli ottici, i grossisti alimentari, i macellai, le librerie, le cartolerie) cercano forza lavoro ma non la trovano.

‘’Per quanto possa sembrare assurdo in questo momento, che è ancora legato alle difficoltà del Covid, registriamo da parte dei nostri associati diverse richieste di curricula di personale da assumere all’interno delle proprie attività – fa notare Tonelli –. Personale sia formato, sia da formare, con la disponibilità degli imprenditori a dire: nessun problema, lo formiamo noi”. “E’ una necessità assolutamente variegata – continua Tonelli assieme al presidente di Ascom Bologna, Enrico Postacchini –. Ecco perché abbiamo deciso di promuovere questa nuova iniziativa, ‘Sos Lavoro’ (N.B: lo lanciano i ‘’padroni’’), che darà la possibilità a chi lo desidera di candidarsi: da lunedì sarà operativo sui nostri canali un link, grazie al quale si potrà compilare una scheda velocemente. Chi vorrà proporsi potrà farlo. Ce n’è bisogno, vogliamo sensibilizzare il mondo del lavoro per sopperire alla carenza di figure lavorative, dall’alimentare all’abbigliamento, arrivando all’accoglienza alberghiera e non alberghiera”.

L’iniziativa è in collaborazione con i partner Iscom (l’ente di formazione di Ascom), l’agenzia Randstad e anche con il progetto ‘Insieme per il lavoro’ coordinato anche dalla Curia. “Abbiamo segnalato il tema al Comune – continua Tonelli –, ecco perché avremo ai primi di marzo un incontro con gli assessori del Comune e della Città metropolitana. Ci muoviamo come sempre a 360 gradi”. Ma perché i giovani – chiede l’intervistatore – non rispondono più alla chiamata dei posti di lavoro? . “Alcuni orari serali e l’impegno del weekend non sono più visti come prima, i due anni di Covid hanno peraltro infierito forse sulla motivazione delle persone. Alcuni si sono seduti sul reddito di cittadinanza – aggiunge Tonelli –, altri è come se avessero paura di tornare a volare, di impegnarsi. Il 31 marzo finirà, come annunciato dal premier Mario Draghi, lo stato di emergenza. Ecco, abbiamo bisogno di tornare alla normalità, e soprattutto nel terziario abbiamo bisogno di personale, si deve tornare a lavorare a pieno ritmo”.

Ovviamente non tutte le città sono Bologna e i Comuni dell’Hinterland. Ma si dovrebbe riflettere su questi problemi, anche perché in situazioni siffatte dove sono in campo istituzioni serie come le amministrazioni comunali e le agenzie del lavoro, non è consentito tirare in ballo i bassi salari, il lavoro nero, le precarietà. Un mondo dell’impresa che si espone pubblicamente fino a questo punto non si fa sorprendere dall’Ispettorato del Lavoro ‘’col sorcio in bocca’’.

Per concludere una breve ed amichevole osservazione va anche al Ministro Renato Brunetta. Non vi è traccia, nelle segnalazioni del direttore dell’ASCOM- Confcommercio di Bologna di lamentele per il lavoro in smart working dei pubblici dipendenti che finisce per sottrarre i clienti dello snack di pranzo ai locali del centro storico. Una volta il povero Silvio Berlusconi si azzardò a dire che i ristoranti erano pieni, ma venne lapidato di insulti. La versione ufficiale in Italia è sempre un’altra che è poi la stessa che emerge dall’elenco dei contribuenti.

Infatti, come ricorda sempre Alberto Brambilla, sintetizzando per scaglioni, lo 0,10% dei contribuenti paga il 6,02% dell’IRPEF; lo 0,24% paga il 9,03%; l’1,21% paga il 19,56%; il 4,63% paga il 37,22%; il 13,22% paga il 58,86%; il 42,94% paga l’88,55%. Per contro il 43,62% dei contribuenti paga solo il 2,31% dell’intera IRPEF. Così l’Italia – sta scritto nel IX Rapporto di itinerari previdenziali – sembrerebbe ‘’un Paese di poveri: se solo 31,161 milioni di cittadini su 59,817 milioni di abitanti presentano per il 2019 una dichiarazione dei redditi positiva, significa (per chi ci crede) che il 52% degli italiani non ha redditi e quindi vive a carico di qualcuno. Ovviamente, nessuno lo dice, ma sta in questi dati la rappresentazione pratica di gran parte dell’evasione.

Poi, tornando, più in grande a livello nazionale, sul tema ‘’posti vacanti’’ (che è un aspetto del lavoro rifiutato oltreché della inadeguatezza degli strumenti dell’incontro tra domanda e offerta nel mercato del lavoro) non vi è solo il caso dei servizi e del terziario (ricordiamolo, un settore bastonato dalle chiusure per ragioni ‘’sanitarie’’) di una città ‘’sazia e disperata’’ (copyright Cardinale Giacomo Biffi) come Bologna.

L’Istat ha segnalato che, nel terzo trimestre 2021, il tasso di posti vacanti destagionalizzato – per il totale delle imprese con dipendenti – si attestava all’ 1,8%; lo stesso valore si registrava per le imprese dei servizi e saliva all’ 1,9% per quelle dell’industria. Il confronto con il trimestre precedente segnalava un incremento nell’industria (+ 0,3 punti percentuali) e un decremento nei servizi (-0,2 punti percentuali). I posti vacanti sono un fenomeno fisiologico del mercato del lavoro. Entro certi limiti, tuttavia, che possono essere cifrati intorno all’1%. Ma l’1,8% è tutta un’altra musica, soprattutto dopo una crisi produttiva come quella imposta dalle restrizioni dello scorso anno e un blocco dei licenziamenti durato – con varie proroghe – circa 500 giorni.

Un altro aspetto importante riguarda l’arco temporale estremamente breve in cui si verifica questa accelerazione. Come fa notare l’Istat nel secondo trimestre 2021, il tasso di posti vacanti destagionalizzato – per il totale delle imprese con dipendenti – si attesta all’1,3% nel complesso delle attività economiche, all’ 1,4% nell’industria e all’ 1,6% nei servizi. Il confronto con il trimestre precedente mostra un incremento più marcato nei servizi (+0,5 punti percentuali) e più debole nell’industria (+0,2 punti percentuali).

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