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Gli affarucci di Loro Piana: fatti e polemiche

Tra approcci garantisti e chi invece denuncia un problema strutturale, il caso Loro Piana accende il dibattito su Made in Italy, capitalismo, sfruttamento e lacune normative. I commenti dalla stampa

 

L’amministrazione giudiziaria disposta dal tribunale di Milano nei confronti di Loro Piana è solo l’ultima di una serie di misure analoghe adottate contro noti marchi del lusso. Recentemente, infatti, lo stesso tribunale ha emesso provvedimenti simili anche per aziende dei gruppi Dior, Armani, Alviero Martini Spa (in questi casi successivamente revocati anticipatamente) e Valentino.

Nessuno sa o tutti sanno? È responsabilità delle aziende quanto fatto dalle società alle quali viene appaltata la produzione? Cosa dice la legge? Ecco alcune riposte e punti di vista.

IL FALSO MITO DEL MADE IN ITALY

Su Appunti, Stefano Feltri ha scritto che “Il Made in Italy è una favola, come tutte le favole richiede la sospensione dell’incredulità, e a tutti piace credere alle favole”.

Come è possibile, si chiede il giornalista, che La Sor Man di Nova Milanese (a cui si rivolgeva Evergreen, azienda a cui Loro Piana appaltava parte della produzione, pur non non avendo strutture produttive) riuscisse a consegnare 6.000 giacche all’anno con 7 dipendenti? Dalle indagine si è poi scoperto che questa si appoggiava ad altre due aziende – Clover Moda a Baranzate e Dai Meijing a Senago – dove operai irregolari venivano sfruttati in condizioni disumane.

Non solo. Secondo Feltri, ci vogliamo anche raccontare che il Made in Italy è pagare una camicia 1.200 euro pensando che nella catena produttiva tutti sono stati pagati adeguatamente, ma giustamente scrive: “se una camicia venduta a 1.200 euro costasse – tra produzione e marketing – 1.200 euro, non sarebbe un grande affare”. Tuttavia, “se ne costa poche decine, allora sì che il Made in Italy diventa un investimento allettante”.

IL SEGRETO DI PULCINELLA

Loro Piana non è certo la prima ad agire così. Come afferma Feltri, “come sempre in questi casi, Loro Piana – con i suoi avvocati – ribadirà che non sapeva niente, le aziende appaltatrici e subappaltatrici per difendersi diranno che tutti sapevano tutto”.

Teresa Provenzi della Sor Man, infatti, ha già detto che con l’azienda di moda veniva pattuito il costo dei capi (118 euro per una giacca venduta dai 1.000 ai 3.000 euro, di cui 80 euro arrivavano alle società cinesi). “Preciso, inoltre – ha dichiarato Provenzi -, che la Loro Piana è venuta presso la mia azienda diverse volte a fare audit, che vi consegno”. Per la procura di Milano, tali audit erano “più formali che sostanziali“, dato che non ha nemmeno verificato le capacità di produzione della Evergreen.

Feltri sottolinea che “non spetta ai giornalisti ipotizzare se ci siano reati e quali debbano essere le pene, ma sulla base dei fatti già accertati fin qua possiamo fare alcune considerazioni”. Per esempio, che “quando Loro Piana esternalizza la produzione alla Evergreen che la passa alla Sor Man e nessuna di queste due aziende ha gli operai sufficienti per realizzare i capi richiesti, significa che di fatto sta esternalizzando la responsabilità di farli produrre a condizioni diverse da quelle della presunta eccellenza”.

Infine, che il metodo adottato dalla Procura di Milano “dimostra due cose: che queste forme di illegalità sono diffuse e che chi vuole sapere può sapere tutto”.

LA TESI GARANTISTA DEL FOGLIO

Il Foglio, invece, a difesa della sua posizione garantista ha intervistato il giurista Luca Lupària Donati, ordinario di Diritto processuale penale all’Università di Milano, nonché penalista che ha assistito e sta assistendo molte delle società coinvolte nella campagna giudiziaria condotta dal pm milanese Paolo Storari.

“Non si contesta il fatto che i lavoratori debbano godere del giusto grado di tutele – ha affermato – , ma il problema è che ciò che viene addebitato alle imprese dalla procura milanese non è previsto sul piano normativo”.

Il giurista evidenzia infatti che non esiste “una legge dello Stato che obblighi specificamente le imprese committenti a effettuare capillari controlli sulle società fornitrici”. E su questo, aggiunge che bisognerebbe chiedersi se sia normale. Come se sia altrettanto normale che “a un singolo pubblico ministero, seppur valente e preparato, venga delegata un’attività di politica criminale così importante che lo Stato non è in grado di portare avanti”.

PERCHÉ LE ACCUSE DELLA PROCURA NON CONVINCONO IL GIURISTA

“La procura – ha spiegato Lupària Donati – sostiene che nel momento in cui una società stipula un contratto di appalto con un’azienda fornitrice deve garantire che anche questi fornitori versino le tasse. Ma se la procedura interna non riesce ad  accorgersi di irregolarità, si fa fatica a comprendere come si possa contestare l’evasione del fisco con dolo specifico”.

“L’idea di fondo – prosegue – sembra essere questa: poiché lo Stato non sempre è in grado di svolgere i controlli, poiché il sistema che dovrebbe portare a una contestazione tributaria spesso non funziona, allora è la procura ad addebitare sul piano penale alle grandi aziende il compito di svolgere questi controlli […] È chiaro che in questo modo viene a mancare la certezza del diritto”.

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