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RSA

Lombardia, malati Covid-19 nelle Rsa. Botta e risposta sulla delibera della Regione

Perché in Lombardia c'è dibattito su una delibera della Regione anti Covid-19 che riguarda le Rsa. Il testo, le critiche e la replica della giunta Fontana

Secondo l’accusa, tutto avrebbe avuto inizio con la delibera XI/2906 emanata da Regione Lombardia l’otto marzo, in piena crisi sanitaria. Erano infatti appena caduti i cordoni sanitari attorno alle prime zone rosse e al governo centrale non era restato altro da fare che isolare gran parte del Settentrione, con un decreto annunciato nottetempo che aveva provocato fughe nelle stazioni di Garibaldi e Milano Centrale. Erano, insomma, le concitate ore in cui ai piani alti del Palazzo della Regione si discuteva dove reperire i posti letto di fronte una emergenza sanitaria che stava oltrepassando ogni barriera. Perché non guardare alle RSA, le case di riposo?

LA DELIBERA DI REGIONE LOMBARDIA

Il resto è storia nota. In quei giorni nessuno ha dato troppo risalto a quel documento. Adesso che i numeri iniziano a scendere e restano da spegnere proprio gli ultimi focolai nelle case di riposo, però, l’atto della Regione è riemerso nelle cronache. Nella delibera XI/2906 infatti si legge: “A fronte della necessità di liberare rapidamente posti letto di Terapia Intensiva e Sub Intensiva e in regime di ricovero ordinario degli ospedali per acuti, occorre mettere a disposizione del Sistema Regionale i posti letto delle “Cure extra ospedaliere” (subacuti, postacuti, riabilitazione specialistica sanitaria (in particolare pneumologica), cure intermedie intensive e estensive, posti letto in RSA)”. Insomma, il presidente della Regione, Attilio Fontana, e l’assessore al Welfare, Giulio Gallera, chiedevano alle ATS, le aziende territoriali della sanità, di individuare nelle case di riposo dedicate agli anziani strutture autonome per assistere pazienti Covid-19 a bassa intensità.

LE ACCUSE DI UNEBA LOMBARDIA

«Chiederci di ospitare pazienti con i sintomi del Covid 19 è stato come accendere un cerino in un pagliaio: quella delibera della giunta regionale l’abbiamo riletta due volte, non volevamo credere che dalla Regione Lombardia potesse arrivarci una richiesta così folle», ha detto Luca Degani, presidente di Uneba Lombardia, l’associazione di categoria che mette insieme circa 400 case di riposo lombarde, in un’intervista a Il Quotidiano del Sud. Ora bisognerà capire se la delibera emanata dal presidente della giunta, Attilio Fontana, su proposta dell’assessore al welfare, Giulio Gallera, sia alla base della strage di anziani all’interno dei padiglioni delle RSA.

RSA IMPREPARATE, HA VINTO LA PAURA DI PERDERE I FINANZIAMENTI

«Dipendiamo per un buon 30% dai finanziamenti della Regione – ha spiegato Degani – logico che molti abbiano paura di perderli. Non parlano e io li capisco, Ma noi, che facciamo parte del Terzo settore e siamo no profit, certe cose dobbiamo dirle: i nostri ospiti hanno una media di 80 anni, sono persone con pluripatologie. Come potevamo attrezzarci per prendere in carico malati spostati dagli altri ospedali per liberare posti-letto? Ci chiedevano di prendere pazienti a bassa intensità Covid e altri ai quali non era stato fatto alcun tampone. Il virus si stava già diffondendo. Stavamo per barricarci nelle nostre strutture, le visite dei parenti erano già state vietate».

I FOCOLAI NELLE RSA

Secondo l’accusa, la moria di ricoverati registrata nelle case di riposo, tutte persone anziane e fragili, che sarebbero dovute essere tutelate maggiormente dal mondo esterno, sarebbe collegata alla decisione di ricoverare nelle RSA pazienti positivi al Covid-19. Con il paradosso che, mentre le RSA provavano a vietare ogni contatto con i parenti dei degenti per non fare entrare il Coronavirus nelle strutture, Regione Lombardia chiedeva di aprire le porte a pazienti infetti. Lo scorso 30 marzo, il Post riportava per esempio che nella RSA di Quinzano d’Oglio, in provincia di Brescia, in tre settimane erano decedute 33 persone. La testata raccoglieva anche la dichiarazione di Luca Laffranchi, numero 1 della struttura: «Le RSA non sono ospedali», spiegava, «e non sono sicuramente ospedali con reparti di malattie infettive. Non abbiamo nessun tipo di barriera che possa isolare il malato dal non malato. Il contatto tra operatori e ospiti è stretto, le persone vanno imboccate, lavate. Abbiamo usato quello che avevamo, e all’inizio mancavano addirittura i sovracamici e le mascherine per il personale, che abbiamo poi recuperato con grandissima difficoltà».

LE RSA SCRIVONO A GALLERA: SCELTA FOLLE

Ma 15 giorni prima la Regione era stata sollecitata proprio dalle RSA. Lo scorso 16 marzo le associazioni Agespi, Anaste, Arlea, Anffas, Aci Welfare, e Uneba hanno scritto una lettera a Gallera e al direttore generale dell’assessorato al welfare Luigi Cajazzo: “Non crediamo che possa essere possibile la volontà del vostro Assessorato di inserire pazienti COVID a bassa intensità assistenziale in nuclei di RSA occupandone un posto letto in una situazione di potenziale contatto con gli anziani non autosufficienti ivi ospitati. Una scelta di questo genere sarebbe assolutamente contraria a qualsiasi forma di tutela sanitaria per una popolazione significativamente anziana (mediamente ultra ottantacinquenne) che, laddove si trovasse in una situazione di contagio, sarebbe esposta ad un rischio altissimo e ben più ampio di quello della media della popolazione italiana”. Peraltro, nella medesima missiva si lamentava l’assenza di DPI, vale a dire di dispositivi di protezione personale, “in particolar modo mascherine”.

IGNORATI GLI APPELLI DEI SINDACATI

Gli appelli dei sindacati non sono mancati. Ancora il 19 marzo Il Fatto Quotidiano aveva raccolto la voce della  segretaria generale della Fp Cgil Lombardia, Manuela Vanoli: “C’è un bisogno disperato di liberare posti in ospedale, ma le Rsa non sono adatte, non hanno gli spazi, non hanno strutture separate, non hanno dispositivi di protezione individuali e non hanno personale formato per gestire questo tipo di pazienti. Chiamano addirittura noi al sindacato per avere indicazioni su come sono strutturati gli ospedali, per capire come comportarsi. Non sono strutture per acuti”.

NELLE RSA DELLA BERGAMASCA 600 MORTI IN 20 GIORNI

Secondo quanto riportato da ANSA lo scorso primo aprile, il 25 marzo i responsabili delle strutture avevano scritto un’altra lettera disperata, indirizzata all’Ats e alla Regione, nella quale, oltre a chiedere aiuto, denunciavano che “in soli venti giorni” si erano già verificati “600 decessi su 6.400 posti letto”. “Mentre scriviamo la situazione – si legge nella lettera – continua ad evolvere in peggio. Siamo in ginocchio anche sul versante operativo perché quasi duemila dei cinquemila operatori risultano assenti per malattia, quarantena o isolamento”. È sufficiente scartabellare le rassegne locali per vedere come effettivamente i decessi si siano concentrati proprio nelle case di riposo. Il 31 marzo Brescia Today per esempio titolava: “Coronavirus, in casa di riposo è una strage: 90 morti tra Chiari, Coccaglio e Quinzano”. O, ancora, Il Giorno: “Coronavirus, strage nella casa di riposo a Lambrate: 23 anziani morti”. Decessi che si sono purtroppo estesi anche al personale sanitario, come avvenuto a Milano e a Pavia.

LA REPLICA DI GALLERA

Ha invece difeso la misura l’assessore al welfare Gallera, in uno dei punti stampa quotidiani andati in onda e in streaming. “Sono girate notizie un po’ allarmate da parte di alcuni gestori di RSA e da un po’ di cittadini”, aveva detto qualche giorno fa, precisando che le direttive erano state rivolte alle RSA in grado di predisporre “piani separati, padiglioni separati o strutture indipendenti; con personale dedicato per pazienti stabilizzati che sono in via di guarigione o che non hanno particolari problemi”. Secondo Gallera la strategia “sta consentendo al sistema di reggere. Non andiamo a creare un problema in un ecosistema fragile, ma a recuperare spazi dove è possibile farlo in totale sicurezza”. “Nel 90% dei casi – ha specificato l’assessore -i pazienti trasferiti sono andati in strutture sanitarie private e ospedaliere. In alcuni casi nelle RSA, ma solo laddove vi siano strutture con padiglioni separati dagli altri e con personale dedicato solo a questo. Non mettiamo i malati di Covid insieme agli anziani”. Ora bisognerà capire se è stato davvero così.

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