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Lobbisti divisi, Fazzolari pensa a Bisignani, Rutelli saluta Formiche, vento gelido a Wind, Ferragni in cattedra

Fazzolari, Bisignani, lobbisti, affaristi, Giorgetti, Meloni, Ilva, Arcelor Mittal, L'Espresso, Il Secolo XIX, Formiche, Wind e non solo. Pillole di rassegna stampa

 

PER IL LEGHISTA GIORGETTI, GIORGIA MELONI E’ CENTRISTA

 

FAZZOLARI DICE AFFARISTI E PENSA A BISIGNANI?

IL GRAN BALLO DEI LOBBISTI DOPO LE PAROLE DI GIORGIA MELONI

 

LOBBISTI DIVISI

 

CHIARA FERRAGNI IN CATTEDRA

 

IL LAVORO SECONDO L’ISTAT

 

BOOM BTP

 

CAMPARI NON BRINDA IN BORSA

 

GOZZI NON FA L’INDIANO CON MITTAL SULL’EX ILVA

 

LE STIME DI BLOOMBERG

 

CARTOLINA DALLA GERMANIA

 

TIRA UN BRUTTO VENTO IN WIND

TUTTI I TRAMBUSTI IN WIND

 

PAPA FRANCESCO PAPALE PAPALE

 

CNR SQUILIBRATO

 

APONTE VUOLE NAVIGARE SUL SECOLO DI ELKANN

 

GIORGIO RUTELLI SALUTA FORMICHE DI PAOLO MESSA

 

ARRESTO ESPRESSO

 

BUONGIORNO DA BELPIETRO, TRAVAGLIO E SECHI

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ESTRATTO DELL’ARTICOLO DEL FATTO QUOTIDIANO SULL’APPELLO DEI LOBBISTI:

A far la parte del leone delle firme del documento c’è l’agenzia Comin&Partners con ben 6 suoi rappresentanti a partire dal fondatore Gianluca Comin. C&P ha un portafoglio clienti davvero ragguardevole che va da Amazon alla Duferco il cui leader, Antonio Gozzi, è in corsa per la presidenza di Confindustria. Ma ci sono anche Philip Morris, Sky, Unicredit, università pubbliche a private, la Luiss Business School, molte ex municipalizzate, Amazon e Consip e molto altro ancora. Fino a qualche giorno fa sul sito dell’agenzia si poteva leggere anche il logo della Huawei, ma dopo il caso Verdini la sigla è scomparsa dal sito. Comin&Partner è stata anche individuata da Report come partner – tramite la sua vicepresidente – della società Obiettivo Cinque di cui è socia, e ispiratrice, la deputata Pd Michela De Biase anche moglie di Dario Franceschini.

Tra i firmatari del documento, oltre a nomi della consulenza strategica come Fabio Bistoncini di Fb e Associati, Mariella Palazzolo di Telos o Licia Soncini di Nomos Studi Parlamentari, anche la Ferpi, Federazione Italiana Pubbliche Relazioni con il suo direttore scientifico Vincenzo Manfredi e poi anche personaggi di rilievo delle relazioni pubbliche e istituzionali di grandi imprese: Roberto Basso di Wind, Michelangelo Suigo di Inwit, Stefano Genovese di Unipol, Giovannantonio Macchiarola di Enav, Rodolfo Belcastro della Sace, Roberto Calise di Flixbus, Maria Laura Cantarelli della Abbot, Pierluigi Dal Pino di Microsoft, Luca Del Pozzo di Iren, Veronica Pamio degli Aeroporti di Roma, Franco Spicciariello di Amazon e ancora altri. C’è anche un nome molto noto nel settore così come in quello della politica, Claudio Velardi, indicato da molti come uno degli estensori del testo, il quale anche se con un ruolo più defilato nel lobbyng rispetto agli anni passati è anche uno dei pochi a essere stato anche dall’altra parte del campo, tra i consulenti di Massimo D’Alema quando questi era presidente del Consiglio.

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ESTRATTO DELL’INTERVISTA DI REPUBBLICA A GOZZI SU ILVA:

«I privati sono pronti a fare la loro parte nel rilancio dell’ex Ilva, ma solo se ci sono determinate condizioni. Serve un’operazione verità sui conti, sui patti parasociali con Mittal e sullo stato dei macchinari. E poi occorre certezza su piano finanziario e industriale». Il giorno dopo la rottura sul futuro delle acciaierie al tavolo tra il governo e il socio privato Arcelormittal, il presidente di Federacciai e ceo di Duferco Tonino Gozzi esce allo scoperto. «Il ruolo dello Stato come socio di maggioranza può essere transitorio – dice – non si può pensare di tornare ai tempi della Finsider. Ma i privati, per entrare in campo, hanno bisogno di risposte chiare».

Dottor Gozzi, cosa pensa della rottura tra Stato e Mittal? «Che era ampiamente annunciato e prevedibile un esito di questo tipo. Lo dissi a maggio 2023 all’assemblea di Federacciai e l’ho sempre ripetuto anche in questi mesi».

Perchè?

«Cosa ci si poteva aspettare da Mittal se non un disimpegno totale? Hanno in tutto questo tempo deconsolidato Ilva, creato una struttura commerciale parallela, non sostenuto da soci di maggioranza un’azienda che aveva bisogno di liquidità, costringendo il management a fare i salti mortali nell’approvvigionamento di materie prime, determinando di fatto accensioni e spegnimenti degli altiforni a seconda dei momenti. Dobbiamo ringraziare scelte scellerate passate, a partire da quella del governo Conte, con patti parasociali mai del tutto chiariti, nei quali al socio privato è stato riconosciuto il diritto di governare anche se va in minoranza, con annesse clausole di indennizzi, sulle quali infatti ora Mittal fa leva minacciando azioni legali».

Quanto è importante secondo lei la nazionalità delle proprietà?

«L’idea che in certi settori di produzione industriale qualificata come quello siderurgico, non abbia valore una proprietà italiana, rappresenta un’imbecillità dell’ideologia del turbocapitalismo. Fesserie che si toccano con mano nel momento in cui le acciaierie di Terni vengono rilanciate dal gruppo Arvedi, mentre Mittal punta tutto sul mercato asiatico».

Ora, però, la situazione precipita. I privati, Arvedi, voi di Duferco, Feralpi ed altri sono disposti a scendere in campo?

«Sono assolutamente convinto che l’Italia non possa abbandonare un asset strategico come quello dell’Ilva di Taranto. Ma servono alcune condizioni. La prima è una grande operazione verità».

Come, secondo lei?

«Sui conti, sullo stato di salute dello stabilimento di Taranto. Da quando dodici anni fa il gruppo Riva è stato espropriato senza indennizzo dell’Ilva, non si è fatta più adeguata manutenzione degli impianti con pregiudizio nei confronti della qualità della produzione e della sicurezza dei lavoratori. E poi non possono essere i privati che entrano a farsi carico dell’ammontare dei debiti, generati negli ultimi anni di gestione. Se lo Stato è azionista anche se di minoranza, dovrà provvedere. Poi, il piano industriale e finanziario».

Come si può risollevare un’azienda in questa condizione?

«L’obiettivo dev’essere a tendere, arrivare al 2028-2029 con uno stabilimento decarbonizzato e un potenziale di produzione di circa cinque-sei milioni di tonnellate l’anno di acciaio. Così si raggiunge il break even. Ma servono risposte su molti punti per arrivare lì».

Ad esempio?

«A partire da quegli anni non si potranno più avere Co2 gratuite. Se devo pagarle, subirò extracosti di produzione (sono circa 200 dollari a tonnellata) che spiazzeranno completamente le produzioni europee a ciclo integrale. Su questo l’Unione Europea e gli Stati devono aiutare i privati. E non accetto che ci si indigni di una considerazione simile, perché ci sono grandi paesi europei come la Germania che fanno esattamente così».

Tutto questo però, deve essere sciolto in pochissimo tempo?  È possibile secondo lei?

«Non ci sono alternative. Di fatto questa è un’azienda che non paga più i fornitori, che è insolvente. Purtroppo l’industria non aspetta e ha bisogno di certezze. I legali facciano il loro mestiere, il governo il suo. E i privati a quel punto ci saranno»

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