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inflazione McDonald's

L’inflazione frigge anche McDonald’s (e altri big del settore alimentare)

L'inflazione sembrava non aver ancora colpito McDonald's ma tra l'aumento dei prezzi, la carenza di manodopera e le abitudini dei consumatori che si trasformano le prospettive sono un po' cambiate e le nuove tecnologie fanno capolino. Fatti, numeri e commenti

 

Alla fine l’inflazione non ha risparmiato nemmeno le grandi catene di fast food e le più grandi aziende alimentari. A cominciare da McDonald’s, che dal 2014 ha aumentato i prezzi del menu del 100%.

Ma anche Starbucks, Kfc, Pizza Hut e Taco Bell devono fare i conti con l’aumento dei prezzi, la carenza di manodopera e gli aumenti salariali, a cui potrebbero porre rimedio sfruttando nuove tecnologie come l’intelligenza artificiale (IA).

Intanto, però, i consumatori, più attenti alle loro spese, in questo momento sembrano preferire i negozi alimentari ai fast food.

ANSIA DA INFLAZIONE

Negli Stati Uniti l’inflazione è scesa molto rispetto ai picchi del 2022 ma rimane elevata, nonostante gli sforzi della Federal Reserve, e i consumatori, per quanto ottimisti, continuano a esserne preoccupati.

“I clienti sono stanchi dell’inflazione”, ha affermato Jerry Sheldon, vicepresidente della società di ricerche di mercato IHL Group.

Anche se l’economia generale continua a crescere costantemente, “le grandi catene di fast food e altre aziende alimentari hanno faticato a fermare l’ansia da inflazione che colpisce le vendite”, scrive Quartz. E per i dirigenti questo ha un impatto sui prezzi, sul numero di clienti e sui piani di crescita.

Ecco perché, nelle ultime settimane, una serie di relazioni trimestrali sugli utili di alcune delle più grandi aziende alimentari ha puntato i riflettori sull’aumento dei prezzi dei menu, sulla carenza di manodopera, sugli aumenti salariali e sulle iniziative di rilancio, alcune delle quali includono l’utilizzo della tecnologia IA.

TUTTI GLI AUMENTI DI MCDONALD’S

Per contrastare gli effetti dell’inflazione, McDonald’s ha iniziato già da tempo ad alzare i prezzi. Una strategia che si è inizialmente rivelata vincente sia per le entrate che per le vendite, ma che ora comincia a scricchiolare. Questa settimana infatti la catena di fast food ha dichiarato che le vendite negli Stati Uniti sono cresciute del 2,5% nel primo trimestre, ma quelle complessive sono calate rispetto all’anno precedente. I motivi sono sia la maggiore attenzione dei consumatori al portafogli sia i boicottaggi legati alla guerra tra Israele e Hamas, che stanno interessando varie aziende americane, tra cui Starbucks e Shake Shack.

L’aumento delle vendite che comunque McDonald’s ha registrato è dovuto in parte a menu più cari, che hanno fatto lievitare il valore medio degli scontrini. Nel 2023, l’azienda dagli archi dorati ha aumentato i prezzi dei menu del 10% e, secondo uno studio condotto da FinanceBuzz, del 100% dal 2014. La società di dati ha inoltre rilevato che alcuni prodotti, tra cui i panini McChicken e le patatine fritte medie, hanno visto un aumento dei prezzi di quasi il 200%.

STESSA STORIA PER STARBUCKS, KFC, PIZZA HUT E TACO BELL

Ma McDonald’s non è l’unico a trovarsi in questa situazione. La scorsa settimana Starbucks ha dichiarato che le vendite nei negozi sono diminuite del 4% nel secondo trimestre. E, Quartz osserva che anche Yum Brands, proprietario di Kfc, Pizza Hut e Taco Bell, ha riferito che le vendite nei negozi a livello mondiale sono diminuite del 3% nel primo trimestre. In particolare, le divisioni Kfc e Pizza Hut sono diminuite rispettivamente del 2% e del 7%, mentre quelle di Taco Bell sono aumentate dell’1%.

Per Chris Kempczinski, amministratore delegato di McDonald’s, “il rallentamento è un campanello d’allarme” e “i consumatori sono più esigenti con ogni dollaro che spendono”. Anche il tipo di clienti sta cambiando, infatti, McDonald’s non attrae più i consumatori a basso reddito come un tempo, bensì quelli appartenenti alla fascia medio-alta.

Questo cambio di tendenza, stando a Quartz, potrebbe giovare ai negozi di alimentari, o almeno ad alcuni di loro come Kroger, Aldi e Walmart. “Quando la gente rinuncia ai ristoranti, spesso si riduce al fast food e, se questo inizia a diventare molto costoso, si riduce ai negozi di alimentari”, ha dichiarato Sheldon di IHL Group.

LA SOLUZIONE È L’IA?

Sempre secondo Sheldon, un modo in cui le aziende possono non solo riconquistare i clienti, ma anche tagliare i costi è che affidarsi alla tecnologia, che “accelera la rotazione dei tavoli e riduce i costi di manodopera”.

Lo scorso luglio, per esempio, la catena Chipotle ha iniziato a testare Autocado, un robot in grado di tagliare, snocciolare e sbucciare gli avocado e il mese scorso il suo amministratore delegato, Brian Niccol, ha dichiarato che l’azienda ha “già i prototipi” e “si sente pronta a portarli in un ristorante”. L’ad prevede di distribuire alcuni dei robot nei punti vendita più frequentati da quest’anno.

Anche McDonald’s sta testando i chioschi digitali dal 2003, ma potrebbe compiere ulteriori sforzi per ridurre i costi di manodopera. Come ha detto Sara Senatore, analista senior di Bank of America per i ristoranti, “se il costo della manodopera è il doppio o il triplo dell’investimento, forse l’investimento si ripaga da solo”.

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