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La tempesta perfetta sull’Emilia-Romagna? Colpa di ambientalisti e animalisti. Le tesi (gulp) di Confcooperative

Tesi approfondite e talvolta ardite sulla tragedia che sta vivendo l'Emilia-Romagna.

“È stata una tempesta perfetta, fatta di un insieme di elementi che vanno dall’ambientalismo e l’animalismo esasperati che per anni hanno lasciato le nutrie libere di scavare sotto gli argini minandoli e impedito la ripulitura dei letti dei fiumi; poi 200 millimetri di pioggia quando ne erano attesi molti meno, venti forti e onde altissime sul mare che non permettevano all’acqua esondata dei fiumi di essere assorbita”.

Parola di Maurizio Gardini, presidente di Confcooperative, una delle principali associazioni di cooperative italiane.

Ecco di seguito alcune delle analisi e dei commenti di esperti del clima e personalità delle zone, al centro della tragedia che ha colpito l’Emilia-Romagna.

MASSIMILIANO FAZZINI, RESPONSABILE DEL TEAM RISCHIO CLIMATICO DELLA SOCIETÀ ITALIANA DI GEOLOGIA AMBIENTALE, AL FOGLIO

“Non si può sempre dire di no a tutto”, ha spiegato al Foglio il geologo Massimiliano Fazzini, responsabile del team Rischio climatico della Società italiana di geologia ambientale. “Con questo nuovo clima bisogna regimare i corsi d’acqua, laddove occorra anche con opere impattanti sull’ambiente, ma sempre nel rispetto di quest’ultimo”, dichiara Fazzini: “Ad esempio, con l’invaso di Ridracoli, nel cesenate, si è risolto il problema dell’approvvigionamento idrico di cinque milioni di abitanti che d’estate popolano la riviera romagnola a scopo turistico. In altre parole, quando occorrono le opere bisogna farle. Non è che andiamo a tagliare cinquanta chilometri di bosco o andiamo a mettere a repentaglio la vita della gente”.

Per l’esperto, dunque, “dobbiamo adattarci e cercare di ridurre al massimo delle nostre potenzialità, tenendo conto dell’ambiente, il rischio effettivo, facendo sì che il rischio residuo sia il più basso possibile. Il rischio zero non esiste, purtroppo. E quindi: dove serve un’infrastruttura grande bisogna farla, dove è sufficiente un’infrastruttura piccola si interviene con l’infrastruttura piccola. Ma bisogna muoversi. Non si può dire sempre di no a tutto, perché altrimenti nel giro di dieci anni siamo rovinati”. “Il 94 per cento del territorio italiano è messo come la pianura emiliano-romagnola – prosegue Fazzini – quindi i fondi del Pnrr andrebbero maggiormente destinati a opere finalizzate a contrastare il rischio idrogeologico”.

GIULIO BETTI, METEOROLOGO DEL CNR-LAMMA, A REPUBBLICA

Storicamente, le zone più impattate da tali fenomeni in Italia sono sempre state quelle del versante ovest, con episodi frequenti in Liguria, Piemonte, Sicilia e Sardegna. Ora però qualcosa sta cambiando. «Questo perché solitamente le perturbazioni arrivano da ovest, invece qui si tratta di una reiterata azione di minimi di bassa pressione sul Mediterraneo che poi impattano ad est», spiega a Repubblica Giulio Betti, meteorologo del Cnr-Lamma. «Tutto nasce dai blocchi anticiclonici sull’Atlantico. Anziché esserci un treno di perturbazioni atlantiche che con venti occidentali transitano poi velocemente verso est, ora c’è la tendenza all’isolamento di minimi di pressione sul Mediterraneo che sono letteralmente intrappolati dalle alte pressioni a nord, ovest ed est. Risalendo verso l’Italia questi minimi non fanno altro che scaricare grandi quantità di pioggia dall’Emilia Romagna in giù. Inoltre, quando c’è un minimo di pressione del genere, la configurazione del territorio incide: una zona come la Romagna, che si affaccia sul mare ed è chiusa dall’Appennino, fa da collettore dell’umidità. Di conseguenza le quantità di acqua diventano ingenti». «Situazioni così eccezionali sono il perfetto identikit del cambiamento climatico. Ovvero grandi quantitativi d’acqua che cadono rapidamente e in maniera intensa, sulle stesse zone, dopo la siccità. Si tratta degli scenari che da anni indicano gli scienziati dell’Ipcc» conclude Betti.

ANTONELLO PASINI, FISICO DEL CLIMA DEL CENTRO NAZIONALE DI RICERCHE, A REPUBBLICA

Come aggiunge Antonello Pasini, fisico del Clima del Centro nazionale di ricerche, è perché siamo in presenza dell’effetto “Stau”: «L’aria sul versante Adriatico si alza sugli Appennini e crea precipitazioni violente, quelle che ingrossano i fiumi. Quando l’aria sale condensa, il vapore acqueo diventa acqua e si formano le nubi. Se sale dal lato della montagna si parla di Stau, quando scende è l’inverso, l’effetto Föhn».

PIERLUIGI RANDI, PRESIDENTE DELL’ASSOCIAZIONE METEOROLOGI PROFESSIONISTI, A REPUBBLICA

In entrambe le alluvioni di maggio, un’altra caratteristica è stata la permanenza “lenta” del fenomeno. «Nel primo caso — spiega a Repubblica Pierluigi Randi, presidente dell’Associazione meteorologi professionisti — le piogge non sono nemmeno state violente, ma costanti e per oltre 36 ore. Nel secondo la depressione si è mossa lentamente, con il vortice che ha dissipato la sua energia spostandosi poco ma riversando tanta acqua in meno di 24 ore. Quest’ultima perturbazione è stata alimentata da un afflusso di aria estremamente umida prelevata da Jonio e Nord Africa, pescando aria calda persino dall’equatore”. Un dettaglio che dovrebbe farci ragionare sull’aspetto globale della crisi del clima. «Infatti, dobbiamo smetterla di pensare che, in giornate magari fredde, non sia in atto il surriscaldamento: crisi del clima significa perturbazioni che arrivano da radici lontane, anche dalla calda Africa, e poi impattano da noi, come ora». Per poter affermare che l’intensità dell’alluvione romagnola è caratteristica della crisi del clima, ci sono oltretutto tre indizi che fanno una prova. «Negli ultimi due anni abbiamo avuto in quest’area tre eventi estremi di segno opposto: prima siccità grave e poi in 15 giorni due eventi di pioggia micidiale. Questo è un segnale chiaro della crisi del clima: eventi estremi in sequenza, che di solito hanno tempi di ritorno secolari, ma che invece si sono verificati in pochissimo tempo».

SILVIO GUALDI, SENIOR SCIENTIST AL CENTRO EURO-MEDITERRANEO SUI CAMBIAMENTI CLIMATICI (CMCC), AL CORRIERE

È un ciclone nato nel Tirreno meridionale e oggi intrappolato sul Centro Italia schiacciato fra due aree di alta pressione, con il suo carico di aria umida che si scontra con gli Appennini. «La depressione non riesce a fluire da ovest verso est, seguendo il normale flusso della circolazione atmosferica, e ciò ha generato sulla Romagna questa enorme quantità di pioggia» spiega al Corriere Silvio Gualdi, senior scientist al Centro Euro-Mediterraneo sui cambiamenti climatici (CMCC), che partecipa al programma Copernicus di previsioni stagionali. «L’altro fattore che contribuisce a rendere questo evento eccezionale è il riscaldamento globale: un’atmosfera più calda contiene una maggiore quantità di vapore acqueo che, quando si verificano queste condizioni meteorologiche, è quindi in grado di produrre molta più pioggia». La siccità prolungata dei mesi scorsi ne ha aggravato l’impatto, «perché un terreno particolarmente secco non assorbe, la pioggia tende a scorrere sul terreno». Meglio abituarsi a quella che rischia di diventare una “nuova normalità”. «Piove meno frequentemente, e quindi aumenta la probabilità di periodi siccitosi, ma quando piove le precipitazioni sono più intense. È una tendenza che secondo le proiezioni dei modelli climatici si accentuerà ulteriormente in futuro».

PAOLA MERCOGLIANO, CLIMATOLOGA DEL CMCC, AL CORRIERE

La climatologa del CMCC Paola Mercogliano conferma al Corriere: «Le attuali condizioni estreme sono simili a quelle che portarono all’alluvione del Po nel 1994 e nel 2000. Quindi non possiamo affermare che sono eventi mai visti prima ma il cambiamento climatico amplifica la loro frequenza e intensità». E prepariamoci ad un’estate più calda ed umida del solito. Gualdi preannuncia temperature più alte rispetto alla media climatica degli ultimi trent’anni. E ancora pioggia: «Tra maggio e luglio è probabile un’umidità superiori alla norma».

MAURIZIO GARDINI, PRESIDENTE DI CONFCOOPERATIVE, AL CORRIERE

«È stata una tempesta perfetta, fatta di un insieme di elementi che vanno dall’ambientalismo e l’animalismo esasperati che per anni hanno lasciato le nutrie libere di scavare sotto gli argini minandoli e impedito la ripulitura dei letti dei fiumi; poi 200 millimetri di pioggia quando ne erano attesi molti meno, venti forti e onde altissime sul mare che non permettevano all’acqua esondata dei fiumi di essere assorbita. Il problema più grave ora riguarda le frane che minano la tenuta idrogeologica del territorio, va ripensata tutta l’area viaria e quella delle coltivazioni», ha detto al Corriere Maurizio Gardini, forlivese, imprenditore agricolo, presidente di Confcooperative. Potete quantificare i danni? «Qui ora nessuno pensa ai danni, inimmaginabili, impossibile fare una conta adesso. Ora il massimo impegno deve essere quello di salvare le persone, ci sono 100 mila sfollati e ancora decine di dispersi. Al resto si penserà dopo». E che succederà dopo? «Ci sarà da ricostruire tutto. Il danno più evidente è sull’assetto idrogeologico e l’equilibrio rotto in tutte le colline: il rischio è che i terreni vengano abbandonati dall’uomo. Qui è stato profondamente minato tutto l’aspetto agricolo e agroalimentare. In agricoltura l’acqua peggiore è quella del mese di maggio, che danneggia le coltivazioni e mette a rischio la raccolta dell’anno».

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