skip to Main Content

Normativa Crisi Impresa

La rivoluzione che porterà la nuova normativa sulla crisi d’impresa

Ecco perché la nuova normativa sulla crisi d’impresa, nei prossimi anni, è destinata a cambiare profondamente panorama e abitudini di imprese e banche italiane ed è una sfida aperta, stimolante e, soprattutto, ineludibile. L'articolo di Paolo Rubino

 

La definitiva entrata in vigore, il 15 luglio, del nuovo codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza è argomento di rilievo epocale per la vita economica nazionale. Se possibile, perfino più importante del pur esiziale sperato successo del PNRR. Quest’ultimo, infatti, potrebbe rilanciare la politica industriale del paese dando un più competitivo impulso all’attività delle imprese in un rinnovato e sperabilmente visionario quadro strategico. Ma, trattandosi sostanzialmente di norma provvedimento, la sua portata nel tempo ha intrinsecamente natura congiunturale legata al quadro politico non solo nazionale, ma anche europeo.

La nuova normativa sulla crisi d’impresa ha, invece, diversa portata temporale proprio perché legge destinata a durare nel tempo e rispondente ad esigenze sociali ed istituzionali di lungo periodo e, perciò, incidente sull’assetto pattizio che regola la convivenza sociale della nazione, almeno per quella sua parte, invero rilevantissima, che riguarda la sfera economica.

Correttamente, l’attenzione degli esperti, legali e contabili, si appunta sulle disposizioni tecniche della normativa, e soprattutto sui nuovi rimedi successivi all’insorgenza dei segnali di crisi. In questo filone si inquadra l’estratto dal volume “Crisi d’impresa. Spunti di insieme” di Cristiano Cerchiai e Maria Grazia Alfisi, apparso nell’edizione del 16 luglio di Startmag. Si tratta di una quanto mai tempestiva pubblicazione certamente dedicata ai professionisti in materia. Ma la lettura del volume è altamente consigliabile a chiunque si occupi di economia e di impresa, in primis a imprenditori e manager.

Il nuovo codice ha dichiaratamente lo scopo di salvaguardare, perfino privilegiare la continuità dell’impresa laddove essa si ritrovi in condizioni critiche. E già questo focus merita una chiosa. Non può sfuggire all’osservatore attento la rilevanza culturale di esso che sposta l’attenzione dalla persona fisica, imprenditore, finanziatore o manager che sia, alla persona giuridica, l’impresa posta al centro dell’attenzione del legislatore.

È questa, come assieme di competenze, brevetti, beni materiali, occupazione di salariati, aspettative dei terzi, il soggetto meritevole di salvaguardia. La continuità dell’impresa sembra prevalere sulla continuità del suo assetto gestorio e perfino proprietario. A ben guardare, nel contesto italiano, ci si trova di fronte ad una vera rivoluzione culturale in grado di allineare lo scenario produttivo a quello di ogni altro sistema economico con cui il nostro compete, che sia quello massimamente privatistico del mondo anglosassone, quello dirigista dell’Europa continentale o anche quello statalista dei regimi autoritari.

Tecnicalità del nuovo codice e sua portata culturale sistemica sono materia per professionisti, giuristi e politici. Per imprenditori e manager, la nuova normativa merita attenzione soprattutto nella parte che conferisce potente centralità agli strumenti di programmazione quali il piano industriale e il budget. Considerati quest’ultimi, finora, lussuosi orpelli dell’assetto organizzativo d’impresa, riservati alle sole grandi imprese che tali lussi possono consentirsi.

Pianificazione e gestione del progetto imprenditoriale escono dal campo dell’azione consulenziale e occasionale per diventare la routine quotidiana dell’organizzazione con il diretto coinvolgimento, se non altro in termini di responsabilità, accountability, del vertice aziendale.

L’impatto del nuovo codice sulla cultura d‘impresa, nel contesto nazionale, è fenomenale: l’impresa italiana, fondata fin dal Medioevo dei Comuni sull’abilità produttiva, tipica qualità artigianale, dell’imprenditore/manager dovrà sostituire, o se non altro affiancare, a tale abilità quella organizzativa e previsionale. La continuità gestoria e proprietaria cessa di essere variabile indipendente dalla continuità aziendale dell’impresa che, in quanto privilegiata poiché essa è vera e ultima titolare del patrimonio, diventa condizionante per garantire continuità di manager e azionisti. L’insorgenza dello stato di crisi porterebbe, infatti, l’impresa sotto la tutela di soggetti esterni che, in regime speciale e temporaneo di protezione dai creditori, si occuperanno di riportarla in bonis.

È evidente che, in tale quadro, proprietà e management sarebbero se non altro sospesi dall’agire fino all’estrema ratio della rimozione ove il ripristino della loro responsabilità fosse pregiudizievole per la continuità dell’impresa. Ne consegue che proprietà e management dovranno concentrarsi su previsione, pianificazione e controllo con l’intento primario di proteggere e incrementare il patrimonio dell’impresa, quindi prevenire i segnali di crisi.

Comprensione del contesto competitivo e di mercato, chiarezza degli obiettivi, adeguatezza dei mezzi finanziari, innanzitutto propri, per il perseguimento degli obiettivi, capacità di reclutare e organizzare le competenze produttive non potranno più essere la retorica declinazione dei requisiti di ricerca dei cacciatori di teste al momento dell’ingaggio, ma la pratica quotidiana del management.

Di pari passo, la dotazione di capitale da parte della proprietà non potrà più essere il sacrificio iniziale di livello legale minimale richiesto dal notaio all’atto della costituzione in forma societaria dell’impresa e ripetuto al più in emergenza per ripristinare quel livello legale a fronte di perdite. Il capitale andrà messo prima a sostegno dei progetti di arricchimento dell’impresa e non a rimedio delle sue perdite.

E sempre a ben guardare questa importane novità normativa imporrà anche ai soggetti finanziari, e le banche per antonomasia, una nuova impostazione delle loro relazioni con le imprese finanziate. Se il nuovo codice assume l’impossibilità, in fase di crisi dell’impresa, da parte dei creditori nei cui confronti operano le misure protettive, di rifiutare unilateralmente l’adempimento dei contratti pendenti o provocarne la risoluzione, i cosiddetti covenant che accompagnano i contratti di finanziamento non potranno più essere presi sottogamba nella relazione tra creditore e debitore ma saranno la parte essenziale e produttiva della relazione.

Nei prossimi anni il nuovo codice è destinato a cambiare profondamente panorama e abitudini di imprese e banche italiane ed è una sfida aperta, stimolante e, soprattutto, ineludibile.

Back To Top