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La fiera delle tasse nella manovra. Il commento di Polillo

Come e perché aumenterà la pressione fiscale. Fatti, numeri e commenti nell'analisi di Gianfranco Polillo

Ma insomma: questa manovra di bilancio riduce o aumenta la tassazione? Che i pareri siano contrastanti è naturale. La maggioranza tende ad avallare la tesi di una loro riduzione, l’opposizione ne denuncia la fiera. Insomma: “Cosi è (se vi pare)”. Avrebbe concluso Lamberto Laudisi, il protagonista della commedia di Pirandello, che, nella pièce, rappresenta lo stesso autore. Del resto i piani interpretativi dell’ultima legge di bilancio sono molteplici e certo non aiuta il fatto che nei 119 articoli, che la compongono, vi siano ben 139 disposizioni che impattano sul piano fiscale. Misure micro, come risulta dalla Relazione tecnica, alcune delle quali, come quelle riferite al Comune di Campione, valgono appena 100 mila euro. Naturalmente non tutto è così. Sugli argomenti più controversi, come sulla plastica, il maggior prelievo è pari a 1.029,5 milioni, per raddoppiare negli anni successivi. Mentre la sugar tax costerà al contribuente 233,8 mila euro a partire dal primo aprile. Cifra destinata a salire nei 12 mesi successivi a oltre 350 mila euro.

Siamo pertanto di fronte ad un grande zabaglione, che ovviamente non fa bene al portafoglio. Ma nemmeno all’intestino. Resta solo da vedere quale sarà il prodotto finito, dopo le scorribande parlamentari. Quei 119 articoli di partenza hanno eccitato la fantasia dei parlamentari e prodotto circa 4.500 emendamenti. Di cui quasi la metà presentati dalle stesse forze di maggioranza. Una sorta di “salvo intese” che esce dal perimetro del Governo, per impattare direttamente sull’Aula di Palazzo Madama. Tante bandierine piantate per dimostrare la propria incomunicabile diversità.

Tra le tante marchette vi sono tuttavia alcuni emendamenti velenosi. Come quello presentato, che mira a reintrodurre lo scudo penale per l’Ilva. Difficile ch’esso possa essere dichiarato inammissibile. Si potrà sempre argomentare che dalla sua approvazione può derivare il salvataggio di un’azienda che, da sola, vale 1,4 punti del Pil nazionale. Comunque non sarà facile. Troppe le spaccature all’interno del Governo. Il sogno di rivincita dei 5 stelle dopo la sconfitta subita per la Tav. Ed una maggioranza che, su questo capitolo, non esiste più. Ma proprio per questo si farà il possibile per non arrivare alla conta finale.

Solo per completezza, va ricordato che la legge di bilancio è solo un “pezzo” della manovra. Mentre il procedimento è avviato presso il Senato, la Camera sta ancora discutendo il decreto fiscale, che vale, da solo oltre 5,4 miliardi di nuove imposte: necessarie per far fronte alle cosiddette “spese indifferibili”. Rientreranno nel conto posto a carico dei contribuenti. Sebbene da parte governativa vi sia il tentativo di separare i due argomenti: decreto fiscale da un lato e legge di bilancio dall’altro. Come se a pagare non fosse sempre pantalone.

Provare, comunque, a tirare le somme non è un’impresa facile. Siamo, come al solito (verrebbe da dire) a mostri legislativi che ne rendono impervia la lettura. Un classico, visti i precedenti. Ma anche un interrogativo. Nonostante le riforme tentate in precedenza (la prima legge organica risale al 1978) la legge finanziaria, ora ribattezzata “legge di bilancio”, continua ad essere uno strumento inadeguato per regolare una società così complessa. Segnata dalla presenza pervasiva di uno Stato che vorrebbe occuparsi di tutto, ma che, alla fine, smarrisce il senso della sua funzione più vera. Che è quella di favorire la cornucopia della crescita: senza la quale c’è solo, come diceva quel grande comunista che risponde al nome di Deng Xiaoping (il padre della Cina di oggi), solo “l’amministrazione della miseria”.

Ma per tornare alla domanda iniziale: chi ha ragione? Non esistendo una verità assoluta (ancora Pirandello), lo sforzo deve essere quello di decifrare i numeri. L’Iva e le accise sui carburanti non aumenteranno. Almeno per quest’anno. Il prossimo si vedrà. Un bonus di 23, 072 miliardi. Ma qui valgono due considerazioni. Queste maggiori imposte erano solo contabilizzate nel cosiddetto “tendenziale”. Non erano ancora operanti. Lo sarebbero state se il Governo non fosse intervenuto. Erano quindi destinate ad incidere sul futuro, non sul presente. Ma come sono coperte? Con nuove imposte, per circa 5,4 miliardi, con una piccola riduzione delle spese, per poco più di 3 miliardi. Ed aumentando il deficit pubblico per la parte rimanente che fanno 14,5 miliardi. E che si traduce in un’illusione ottica. Perché quegli aumenti, oggi sterilizzati, li pagheremo, negli anni, sotto forma di maggiori interessi, a causa dell’aumento del debito. È come se avessimo contratto un mutuo, che prima o poi verrà a scadenza.
È comunque innegabile che rispetto al “tendenziale”, seppur con i limiti descritti, le tasse sono state ridotte. Il netto vero, tuttavia, rappresentato dalla contrazione della spesa, è pari ad appena al 13,7 per cento dell’importo complessivo. L’86,3 per cento si scarica sul contribuente: con una percentuale pari al 23 per cento per cash (le nuove imposte) e per il resto (il 62 per cento) accendendo il mutuo di cui si diceva poc’anzi.

Ma rispetto all’anno appena trascorso? In questo secondo caso, l’aumento della pressione fiscale dovrebbe risultare più o meno pari allo 0,3 per cento del Pil, al netto dei 3 miliardi previsti per abbattere il cuneo fiscale per una platea ristretta di lavoratori dipendenti: sempre che la crescita del Pil, in termini nominali (aumento della produzione più il tasso d’inflazione), sia quella previsto dal Governo.

Questo quindi lo stato dei conti, secondo la Relazione tecnica elaborata dalla Ragioneria generale dello Stato. Abbiamo scritto i numeri su una grande lavagna. Che lasciamo alla libera interpretazione. Come si diceva, una volta, “ai posteri l’ardua sentenza”. Visto che i conti effettivi li avremo solo alla fine del 2020.

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