Il 29 settembre il leader supremo Ayatollah Ali Khamenei ha vietato l’importazione di elettrodomestici, in particolare da “due aziende sudcoreane”.
A chi sta alludendo? Naturalmente a Samsung e LG, che da anni sono nomi familiari nel Paese del Golfo Persico e presenti nelle case iraniane in assenza di gravi concorrenti dall’Europa e da altri stati asiatici.
Alcune stime non ufficiali suggeriscono che prima dell’ingiunzione, fino al 55-70% del mercato iraniano degli elettrodomestici, valutato a circa 3,8 miliardi di dollari, fosse dominato dalle due aziende.
Ora, con l’entrata in vigore del divieto imprevisto, il vuoto risultante dovrebbe essere inevitabilmente colmato dai produttori locali.
Fino a questo momento la produzione di elettronica, come anche di elettrodomestici, proveniva prevalentemente da paesi come la Germania, Italia e Giappone Taiwan e appunto la Corea del Sud.
Quali aziende allora traggono vantaggio se non quelle iraniane?
Un esempio illuminante è offerto dalla Entekhab Group, un’azienda che detiene oltre il 40% del mercato degli elettrodomestici del paese.
Se è evidente che la politica economica iraniana – almeno per quanto riguarda la Corea del sud – vada verso una scelta di natura neo-colbertista, è altrettanto evidente però che la Corea del sud ha 9 miliardi di dollari di beni che sono attualmente congelati nella sue banche.
Denaro, questo, che è il risultato del debito della Corea del sud nei confronti dell’Iran in relazione alle importazioni di petrolio greggio che non ha pagato a causa delle sanzioni americane.