Dopo un inizio d’anno all’insegna di aspettative di crescita elevate, il nuovo regime tariffario introdotto dall’amministrazione Trump all’inizio di aprile ha profondamente scosso i mercati, che si sono ripresi solo con la sospensione dei dazi e oggi, almeno dal punto di vista delle valutazioni, si trovano praticamente ai livelli pre-Liberation Day. L’attuale clima di ottimismo, però, potrebbe sembrare eccessivo: per questo, come Payden, stiamo sfruttando l’attuale rally come un’opportunità per vendere alcuni titoli societari, soprattutto high yield, e aumentare la qualità e la liquidità della nostra esposizione. Crediamo che un “atterraggio morbido” sia ancora possibile, ma i rischi legati alla politica e al commercio globale non vanno sottovalutati.
Nel frattempo, i fondamentali delle obbligazioni societarie restano solidi, a fronte di una domanda robusta da parte degli investitori: gli emittenti mantengono una leva finanziaria contenuta e negli anni passati hanno beneficiato di condizioni favorevoli per l’emissione di debito a lungo termine a tassi ridotti. Anche l’economia americana rimane solida, la crescita è moderata, il mercato del lavoro ancora forte e l’inflazione sotto controllo. Con le preoccupazioni economiche e i dubbi sull’affidabilità degli Usa come partner commerciali, però, gli investitori stranieri, soprattutto europei, mostrano una crescente diffidenza verso i Treasury a lunga scadenza e vendono, anche se al momento non in misura tale da influenzare significativamente i mercati.
Sebbene alcuni movimenti osservati ad aprile avessero fatto ipotizzare una “svendita” da parte degli investitori esteri, infatti, non sono emerse evidenze decisive in tal senso, anche se un riposizionamento è innegabile e ha fatto sì che le società del Vecchio Continente reggessero meglio alla prova della volatilità, con un minore allargamento degli spread. Crediamo, però, che i forti aumenti dei tassi dei Treasury Usa trentennali registrati in aprile, più che dai deflussi di capitali esteri siano stati determinati da altri fattori, tra cui il riprezzamento del premio a termine e la chiusura delle operazioni di swap spread a leva da parte degli hedge fund e, nel lungo termine, prevediamo una rivalutazione del ruolo dei Treasury nei portafogli delle Banche Centrali estere. In particolare, il ritiro della Cina dai Treasury ha attirato l’attenzione mediatica, ma va contestualizzato ricordando che al Dragone fa capo meno del 3% del mercato complessivo dei titoli di Stato americani e che si tratta per lo più di titoli a breve termine. In ogni caso, l’incertezza si concentra soprattutto sulla parte finale della curva dei rendimenti, con evidenti movimenti negli spread swap, nei rendimenti trentennali e nel premio di durata.
È plausibile che gli investitori stranieri stiano riducendo la loro esposizione, richiedendo un premio al rischio maggiore, e questo fenomeno ci porta a privilegiare i titoli di Stato con scadenze tra i 5-7 anni, invece che quelli a 10 o 30 anni.
Sul fronte valutario, molti investitori azionari globali che avevano lasciato la loro esposizione agli Stati Uniti senza copertura, scommettendo sulla continua sovraperformance del dollaro, hanno visto il Biglietto Verde crollare e sono stati costretti ad aumentare l’attività di hedging. A livello settoriale, le tariffe hanno introdotto un certo grado di dispersione: i titoli del settore auto con rating BBB, ad esempio, soprattutto quelli più deboli, hanno registrato un aumento di 100-120 punti base in aprile.
Molti hanno poi ritracciato e, sebbene ora siano meno attraenti, la volatilità ha offerto buone opportunità per aggiungere selettivamente rischio su alcuni nomi. Come Payden siamo sovrappesati sui titoli bancari, penalizzati dalle oscillazioni di inizio anno, ma ora favoriti dal calo degli spread, mentre abbiamo ridotto l’esposizione al settore energetico, a causa della debole dinamica dei prezzi del petrolio e delle pressioni sull’offerta legate all’OPEC.