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Ferrarini

Intesa, Unicredit e la guerra di prosciutti su Ferrarini con Pini e Amco (Mef)

Tutte le ultime novità sul caso del salumificio Ferrarini e la contesa fra le banche creditrici (Intesa Sanpaolo e Unicredit in primis) e il gruppo italo-ungherese Pini alleato con Amco (100% Mef)

 

Il salvataggio di Ferrarini rischia di diventare un caso politico. Il salumificio emiliano ha infatti presentato una proposta concordataria che vede l’uscita della famiglia fondatrice per lasciare spazio alla holding italo-ungherese Pini e ad Amco, l’ex sga controllata dal Tesoro e guidata da Marina Natale, che è uno dei quattro creditori finanziari del gruppo (oltre a Intesa Sanpaolo, Unicredit e Mediobanca).

Il timore di alcuni osservatori e politici è perciò che un pezzo di made in Italy – in enorme difficoltà finanziaria – possa finire all’estero – magari parzialmente – di concerto con Via XX Settembre. Dall’altra parte della barricata c’è invece una cordata nazionale appoggiata da Intesa e da Unicredit e formata dal gruppo Bonterre, dalla cooperativa di macellazione suina Opas e dalla società HP.

IL CROLLO DI FERRARINI

Ferrarini, guidata da Lisa Ferrarini – vicepresidente di Confindustria per l’Europa durante la presidenza Boccia -, ha avuto un vero e proprio tracollo dei conti tra il 2016 e il 2017 tanto da chiudere l’esercizio 2017 con un rosso pari a 156 milioni e un patrimonio netto negativo per 108 milioni, salito a 123 milioni a luglio 2018. All’interno del gruppo gravita anche Vismara che sempre nel 2017 ha perso 60 milioni e si è ritrovata con un buco patrimoniale di oltre 40 milioni. In totale, oltre 300 milioni di debiti, di cui più di 200 milioni a carico di banche, fornitori e obbligazionisti.

LA RICHIESTA DI CONCORDATO

Tornando alla cronaca, lunedì in tarda serata Ferrarini Spa ha presentato al tribunale di Reggio Emilia la domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo, dopo aver depositato il 2 maggio scorso la domanda di pre-concordato. Nella nota diffusa l’azienda ha specificato che “il piano assicura le migliori condizioni per il rilancio dell’impresa, salvaguarda i livelli occupazionali, evita ricadute negative sull’indotto e soddisfa i creditori privilegiati e in prededuzione integralmente e i creditori chirografari al 33% – differenziati attraverso la formazione di classi – percentuale che, attestata, rende inammissibile la proposizione di concordati concorrenti”.

Nel caso in cui il concordato verrà omologato l’intero capitale di Ferrarini sarà detenuto da Rilancio Industrie Agroalimentari Srl, società neocostituita e partecipata da Pini Italia Srl (operatore attivo nella trasformazione di suini), insieme ad Amco (100% del ministero dell’Economia), che sarà partner finanziario. Rilancio Industrie Agroalimentari si occuperà della gestione – in continuità con il passato – e il Gruppo Pini metterà a disposizione la propria rete commerciale nel mondo.

Previsto un nuovo cottificio, che andrà a sostituire quello di Rivaltella (RE), e che “sarà certamente ubicato nel territorio reggiano, possibilmente in prossimità di quello attuale”. Dunque si tratterà di “una nuova realtà produttiva con la forza lavoro esistente, già specializzata”.

IL GRUPPO PINI

Il gruppo di società partecipate da Pini Holding, guidata da Roberto Pini, come ricorda Il Giornale, è italo-ungherese e ha la sua base a Cipro. Solo un anno fa ha inaugurato a Binefar, in Spagna, un impianto che consente la macellazione di 160mila maiali a settimana. Da qui la paura di alcuni osservatori che si delocalizzi la produzione proprio nel Paese iberico. Nella nota diffusa dopo la presentazione del concordato preventivo viene evidenziato che Pini Holding “metterà a disposizione la propria rete commerciale nel mondo (la medesima che consentirà presto al Gruppo di superare i due miliardi di euro di fatturato), consentendo a Ferrarini di aumentare in modo esponenziale il raggio di azione all’estero e di promuovere il ‘Made in Italy’”.

LA CORDATA UNICREDIT-INTESA SANPAOLO

Solo qualche settimana fa, invece, Intesa Sanpaolo e Unicredit hanno depositato al tribunale di Reggio Emilia una nuova proposta di concordato per salvare e rilanciare le attività di Ferrarini insieme ai partner industriali gruppo Bonterre-Grandi Salumifici Italiani, O.P.A.S. e HP. Nella nota congiunta emessa nell’occasione si sottolineava che la cordata “metterà a disposizione dell’operazione capacità imprenditoriali e apporti di capitale a cui si unisce il sostegno finanziario di Intesa Sanpaolo con un ammontare di 35 milioni di euro disponibile per la durata del Piano Industriale presentato”. Da ricordare che già lo scorso novembre Intesa Sanpaolo aveva presentato un piano per rilevare Ferrarini in cordata con il gruppo Bonferre-Grandi salumifici, con Opas (organizzazione di prodotto fra allevatori suini) e con il gruppo pugliese Casillo partecipazioni. L’offerta andava presentata entro il 22 dicembre ma un mese prima la banca del ceo Carlo Messina si era tirata fuori. A gennaio, invece, le prime indiscrezioni che la davano pronta a tornare alla carica insieme a Unicredit.

COSA FARA’ AMCO

Secondo quanto indicato da Ferrarini, Amco metterà a disposizione nuova finanza ed entrerà nel capitale del veicolo di investimento, chiamato Rilancio Industrie Agroalimentari S.r.l., con una quota del 20% sostituendo con azioni i crediti vantati dall’ex Sga verso le società lussemburghesi azioniste di Ferrarini S.p.A. rispetto ai quali il gruppo Pini si è reso coobbligato. Nella sua veste Amco potrà designare componenti degli organi societari e responsabili di funzioni di controllo, agendo come partner strategico nel turnaround. Anche la presenza di Amco dovrebbe garantire che “nel futuro non mancheranno i presupposti per mantenere e, anzi, incrementare i livelli occupazionali, come è sempre avvenuto nelle importanti iniziative in Italia del Gruppo Pini, che da anni investe sul territorio nazionale rilanciando, con successo, imprese in difficoltà, senza aver mai delocalizzato all’estero le attività”.

GLI APPELLI PER IL MADE IN ITALY

Parole, quelle arrivate ieri, che pare vogliano tranquillizzare chi invece teme che l’eventuale nuova proprietà voglia guardare all’estero. A cominciare da Coldiretti che, con il presidente Ettore Prandini, chiede all’esecutivo di sostenere una “svolta strategica per valorizzare il vero Made in Italy” con “un coinvolgimento diretto dell’intera filiera per evitare una pericolosa delocalizzazione del lavoro e degli approvvigionamenti in un settore dove operano cinquemila allevamenti duramente provati dall’emergenza Covid”. Coldiretti già nelle scorse settimane aveva fatto sentire la propria voce a favore della cordata guidata dalle due maggiori banche del Paese, “una cordata innovativa in grado di promuovere un reale cambiamento valorizzando sul territorio nazionale gli investimenti e l’occupazione dalla stalla alla tavola”. A differenza invece di “qualsiasi ipotesi di una partecipazione pubblica a fragili ipotesi imprenditoriali che, in continuità con gli errori del passato, rischiano di portare all’estero un pezzo importante dell’attività industriale con un danno pesante per l’economia, il lavoro e l’immagine del Made in Italy in un settore che vale 20 miliardi di euro a livello nazionale”. Una scelta, questa, definita da Prandini “inaccettabile”.

Voci a favore della cordata capitanata da Unicredit e Intesa Sanpaolo si levano anche dal mondo politico con Mino Taricco, capogruppo Pd in commissione Agricoltura al Senato, per cui “l’ampia cordata che coinvolge Gruppo Bonterre – Grandi Salumifici Italiani, O.P.A.S. e HP s.r.l., supportate da Banca Intesa e Unicredit, ha tutte le carte in regola per rappresentare una proposta solida e strategicamente interessante per il settore ed il territorio. E’ fondamentale infatti che dalle scelte che si faranno emerga un progetto in grado di valorizzare le prospettive di un settore nazionale strategico e di tutelare interessi, investimenti ed occupazione di tutta la filiera, dalle aziende agricole e zootecniche, alla trasformazione, alla distribuzione arrivando sino ai consumatori”.

Ancora più esplicita la Lega con l’ex ministro dell’Agricoltura Gian Marco Centinaio e il capogruppo in commissione Agricoltura a Palazzo Madama, Giorgio Maria Bergesio: “Sull’azienda Ferrarini sarebbe criminale se un’azienda statale come Amco, società controllata dal ministero del Tesoro, preferisse l’offerta di un’azienda spagnola a scapito del made in Italy”. E ancora il deputato di Italia Viva, Michele Anzaldi: “Sarebbe davvero incomprensibile se un’azienda statale come Amco, che ricade sotto la responsabilità del ministero del Tesoro, preferisse davvero l’offerta che non dà garanzie in termini di italianità, qualità del prodotto, filiera corta”. Anzaldi chiede addirittura intervenga “subito” il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e che in seconda battuta convochi “il presidente e l’amministratore delegato di Amco e chieda spiegazioni, alla luce della scelta dell’azienda pubblica di non sostenere il fronte pro Made in Italy nella procedura di salvataggio di Ferrarini ma di appoggiare la cordata alternativa”. “Siamo alle solite: da un lato il Governo Conte annuncia la difesa a spada tratta del Made in Italy, dall’altra permette a degli stranieri di entrare dalla porta sul retro per controllare le nostre imprese. Questa ipocrisia è davvero inaccettabile” è invece il commento del vicepresidente della commissione Agricoltura al Senato e responsabile nazionale agricoltura di Forza Italia, Francesco Battistoni.

LE PAROLE DELLA MINISTRA BELLANOVA, LA RISPOSTA DELLA LEGA E IL TWEET DI CROSETTO

Pochi giorni fa del futuro di Ferrarini ha parlato anche la ministra dell’Agricoltura, Teresa Bellanova, secondo cui per salvarla “non basta una iniezione finanziaria ma occorre soprattutto superare le ragioni che hanno provocato la crisi dello storico salumificio con una decisa svolta strategica per valorizzare il vero Made in Italy con il coinvolgimento dell’intera filiera”. La parlamentare di Italia Viva ha pure ricordato “l’azione del ministero e del Governo che ha introdotto l’obbligo di indicare in etichetta l’origine delle carni suine trasformate per combattere la concorrenza sleale dall’estero e garantire trasparenza ai consumatori sulla reale provenienza dei prodotti”.

A stretto giro è arrivato un secco commento da parte del Carroccio con il capogruppo in commissione Finanze alla Camera, Giulio Centemero. “Al di là del Made in Italy che siamo stati i primi a volere tutelare, come dimostrano anche le tante iniziative messe in campo quando ci trovavamo al Governo del paese, c’è tutto un settore occupazionale che va difeso dalla scure di quella che potrebbe essere una vera e propria catastrofe. Avevo già sollevato il caso diverse settimane fa – ha proseguito Centemero – e come sempre il governo arriva al traino delle dichiarazioni altrui. Ben vengano allora le cordate bancarie e gli investitori che stanno manifestando interesse per la situazione della nota azienda e arrivano dove il Governo è completamente assente e senza alcuna progettualità”.

 

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