C’è attesa per la riunione del consiglio d’amministrazione di Mediobanca, in programma mercoledì 20 settembre. Il board uscente ha depositato una lista, che punta alla conferma di Alberto Nagel, mentre nessuna notizia arriva ancora dal fronte Delfin-Caltagirone (che hanno rispettivamente una quota del 19,8% e di quasi il 10%) cui Piazzetta Cuccia aveva proposto un patto parasociale e per cui – scrive il Corriere della Sera – le parti avevano lavorato nelle ultime due settimane. La proposta di Mediobanca era di quattro consiglieri totali, dei quali tre espressione della holding lussemburghese e uno dell’imprenditore romano. La rottura sarebbe avvenuta per il niet a sostituire l’attuale presidente, Renato Pagliaro, con uno indipendente e condiviso. Oltre che per altri punti contenuti in un documento – svelato dal Sole 24 ore – proposto dai vertici di Mediobanca a Delfin e Caltagirone e giudicato dai due troppo vincolante rispetto a potenziali spazi di manovra sia nel cda che in assemblea.
LA LISTA “NAGEL”
Come informa una nota della banca d’affari, al cda del 20 settembre verrà presentata una lista per il triennio 2024-2026 con otto conferme e quattro nuovi nomi chiamati a sostituire – per raggiunti limiti di età – Maurizia Angelo Comneno, Maurizio Carfagna, Maurizio Costa ed Elisabetta Magistretti. Continuità per i vertici, con Nagel e Pagliaro saldamente al comando insieme al direttore generale Francesco Saverio Vinci, verranno poi ricandidati Virginie Banet, Laura Cioli, Valérie Hortefeux, Maximo Ibarra e Vittorio Pignatti-Morano Campori. Nel comunicato stampa si evidenzia che le new entry sono indipendenti, hanno esperienza di lavoro sia in Italia sia all’estero e sono “funzionali a sostenere appieno il piano presentato da Nagel a maggio” con “un buon bilanciamento di genere”.
In totale la lista del board uscente è composta da 15 membri ma ne verranno eletti solo 12 perché due posti devono andare a Delfin e uno (per statuto) ai fondi di Assogestioni.
LA LISTA DI MINORANZA
Delfin, ricorda l’Ansa, ha tempo fino al 3 ottobre per presentare una propria lista di minoranza. La holding, presieduta da Francesco Milleri, potrà offrire un elenco di tre-cinque membri oppure uno che contempera fino a sette membri. In quest’ultimo caso si aprirebbe una sfida con la lista espressione del board uscente durante l’assemblea del 28 ottobre prossimo.
IL CONFRONTO TRA IL CDA DI MEDIOBANCA E DELFIN
Come si diceva, Piazzetta Cuccia e Delfin, ossia il primo azionista, hanno tentato di trovare un accordo per una lista unica. Il board di Mediobanca ha offerto quattro posti in cda (tre alla holding e uno a Caltagirone) in cambio di una serie di impegni stringenti per garantire il sostegno al piano e al board (ad esempio il divieto di chiedere la revoca del cda stesso). Secondo fonti vicine alla trattativa citate dal Corriere della Sera, Caltagirone non avrebbe risposto alla proposta mentre Delfin avrebbe chiesto, appunto, un nuovo presidente condiviso al posto di Pagliaro, il rinnovo di due terzi del cda e quattro consiglieri suoi. Richieste che però Mediobanca avrebbe respinto considerandole non in linea con gli standard di governance di una banca quotata.
LA FIRMA DI PESO DEL GIORNALE SU MEDIOBANCA E CALTAGIRONE
Secondo Osvaldo De Paolini, giornalista di lungo corso in materia di finanza, vicedirettore e firma economica del Giornale ora della famiglia romana Angelucci, i nomi fatti circolare per la successione erano peraltro “figure di alto profilo (Vittorio Grilli, Flavio Valeri, Fabrizio Palenzona, Lorenzo Bini Smaghi)”.
CALTAGIRONE CONTRO LA LISTA DEL CDA USCENTE
Nella lotta per il potere a Piazzetta Cuccia si collocano altre due questioni accadute di recente ossia la salita oltre il 10% di Delfin in Generali (di cui Mediobanca “resta la porta più diretta per arrivarne al controllo”, come scrive De Paolini) e soprattutto le parole di Caltagirone contro la presentazione di una lista da parte del cda uscente.
Audito in commissione Finanze del Senato sul ddl Capitali, il costruttore romano aveva paventato il rischio di creare “un’autocrazia in cui i manager possono auto-perpetuarsi, anche in contrasto con scelte e visioni degli azionisti stabili” nella governance di una società quotata proprio con il meccanismo della presentazione della lista del board uscente. Caltagirone – al lavoro su questa materia con il suo stuolo di legali in simbiosi con il capo delle relazioni istituzionali del gruppo Fabio Corsico – aveva fatto riferimento, per contrasto con la situazione italiana, al “mondo angloamericano, dove esistono grandi società con azionariato polverizzato, e calato in una struttura di diritto completamente diversa”.
Gli aveva fatto eco qualche giorno dopo Grilli, ex ministro dell’Economia e ora ai vertici del ramo europeo di JP Morgan, sempre in commissione Finanze del Senato. Grilli aveva evidenziato l’inutilità – nell’ordinamento italiano – di una lista che venga presentata dal cda uscente, come accaduto ad aprile 2022 in Generali. “L’Italia non ha la tradizione anglosassone dove la partecipazione alla vita societaria dell’azionista è una rarità – ha detto rispondendo a una domanda del presidente della commissione, il leghista Massimo Garavaglia -. È questo il motivo per cui nella tradizione anglosassone c’è un ruolo di surroga del cda che presenta la lista per il rinnovo del consiglio mentre in Italia la surroga non è necessaria”.
Su questo tema è intervenuto di recente De Paolini con una domanda: “È pur vero che far presentare le candidature al cda uscente è una prassi diffusa in molte legislazioni, che però poi prevedono il voto su ogni singolo candidato. Perché mai dovrei votare in blocco una lista di consiglieri, alcuni dei quali non stimo, pur di avere Nagel come amministratore delegato? E’ questa l’anomalia da correggere”, ha scritto De Paolini che è tornato al quotidiano milanese dopo essere stato per 11 anni vicedirettore del Messaggero della famiglia Caltagirone (un’uscita dal quotidiano romano dai contorni confusi).