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Il fashion tornerà di moda? Luci e ombre del settore nel report Sace

Nel 2019 l’industria della moda ha fatto incassare, agli 80 maggiori player mondiali con un giro d’affari superiore a 1 miliardo di euro, più di 471 miliardi di euro, con un balzo in avanti del 26,5% rispetto al 2015 e del 4,9% rispetto al 2018. La pandemia da Covid-19 si è abbattuta come un uragano…

Nel 2019 l’industria della moda ha fatto incassare, agli 80 maggiori player mondiali con un giro d’affari superiore a 1 miliardo di euro, più di 471 miliardi di euro, con un balzo in avanti del 26,5% rispetto al 2015 e del 4,9% rispetto al 2018. La pandemia da Covid-19 si è abbattuta come un uragano su questo florido settore che, solo in Europa, contava 220mila imprese, per la quasi totalità piccole e micro, e impiegava più di 1,8 milioni di persone con un giro d’affari di oltre 190 miliardi di euro. Passata la buriana il fashion tornerà di moda? È la domanda a cui prova a rispondere Sace nel nuovo rapporto in cui vengono analizzate le patologie del settore e sono avanzate ipotesi di cura.

La bufera Covid-19

Il 2020 è stato un annus horribilis anche per il settore della moda. Nel 2020 l’industria della moda ha generato un export di quasi 900 miliardi di euro, circa i due terzi dei quali in beni di abbigliamento e calzature, il 23% di prodotti tessili e il 9% di pelli e prodotti in pelle. Le pelli hanno. registrato il crollo maggiore con il -23,6%, seguite dal tessile con il -16,2% mentre più contenuto è stato il calo per abbigliamento e calzature -4,7%.

Le contrazioni in Europa

L’Unione europea è tra i più grandi esportatori e l’Italia è il terzo esportatore mondiale. I lockdown stabiliti per fermare la propagazione del virus hanno creato interruzioni nella catena di approvvigionamento, inoltre si è assistito a un mutamento delle abitudini di consumo dei cittadini che, con i nuovi ritmi di vita e con le ridotte occasioni di socialità, hanno ridotto gli acquisti nel settore. Nel 2020 il nostro Paese ha esportato  46,7 miliardi di articoli di moda, registrando una contrazione del 18,5%.

I principali attori internazionali

Il report di Sace mette al primo posto, tra i paesi esportartori, la Cina con 316 miliardi di euro export, circa il 35% del totale, mentre l’Europa segue con oltre 237 miliardi di euro. In Asia, dopo la Cina, i principali esportatori sono Vietnam, Bangladesh e India, che esportano prodotti in media per 39 miliardi di euro a testa. Gli Stati Uniti hanno esportato poco meno di 24 miliardi di euro in merce. Molti Paesi asiatici emergenti registrano valori di esportazioni di prodotti tessile di gran lunga superiori alle importazioni, spicca in particolare la Cina con un avanzo commerciale di circa 275 miliardi di euro, tra gli altri troviamo Vietnam, Bangladesh e Indonesia che importano grandi quantità di prodotti tessili e producono articoli di abbigliamento che sono successivamente esportati in tutto il mondo. Al contrario, tra le economie avanzate, il saldo commerciale è negativo e le importazioni superano le esportazioni. In particolare gli Stati Uniti registrano il maggior disavanzo: importano merci per oltre 15 volte il valore esportato.

Il sistema moda Italia: piccolo è bello

L’Italia, come detto, è il terzo esportatore mondiale con una quota di mercato del 5,3% e seconda nel segmento delle pelli con una quota del 14%. Il nostro Paese è tra le poche economie avanzate a riportare un saldo commerciale positivo per tutti i comparti del settore (abbigliamento, tessile e pelli), anche grazie all’elevata qualità dei prodotti, che genera un alto valore di vendite estere. “Le ragioni delle peculiarità italiane risiedono anche nella struttura del sistema produttivo della moda nel nostro Paese, dove grandi realtà imprenditoriali convivono con e fioriscono grazie alla presenza di micro e piccole imprese localizzate in distretti o territori altamente specializzati, dove l’artigianalità ha saputo mantenersi e rinnovarsi con l’avanzare del tempo, delle tecnologie e dei gusti e delle scelte dei consumatori”, si legge nel report.

Le difficoltà della moda italiana: i numeri

Nel 2019 in Italia c’erano coltre 56mila imprese attive, il 15% di quelle manifatturiere, che impiegavano più di 465mila addetti e generavano un valore pari all’1,6% del Pil totale. Nel 2020 gli effetti negativi della pandemia si sono abbattuti sul sistema produttivo italiano. L’indice della produzione industriale ha subito una profonda flessione rispetto all’anno precedente arrivando al -28,2% con cali diffusi in tutti i comparti. Nel 2021 si sono visti i primi segnali di ripresa: i prodotti tessili e gli articoli in pelle hanno ottenuto incrementi intorno al 16%, l’abbigliamento, invece, è rimasto in calo. Negli ultimi mesi del 2021 ha segnato un –22,5% e un -10,4% per il tessile rispetto al 2019. Flessioni che difficilmente saranno colmate entro la fine dell’anno. Il medesimo andamento è riscontrabile anche nell’indice del fatturato, “la ripresa dei ricavi domestici tra gennaio e ottobre del 2021 è stata maggiore di quella del fatturato proveniente dall’estero (+22,0% vs +14,7%)”, si legge ancora nel rapporto. Nel 2020 sono calate anche le importazioni di tessile, abbigliamento, pelli e calzature, attestandosi al -7,7% tendenziale, pari a circa 30 miliardi di euro.

Importazioni: calo generale con due sorprese

L’unica nota fuori dal coro l’ha suonata il sotto comparto “Altri prodotti tessili” le cui importazioni hanno chiuso il 2020 in positivo sull’anno precedente (+85,8%). Questo ampio aumento è dovuto specialmente ai maggiori approvvigionamenti provenienti dalla Cina, in crescita del 352%. A crescere è stato in particolare l’import di articoli in materie tessili come tende e articoli da campeggio, teloni per autoveicoli, teli per coprire mobili o macchinari, bandiere, striscioni e stendardi. Il Paese del Dragone è il primo fornitore del sistema moda italiano, con una quota del 25,7% in aumento di 5,6 punti percentuali rispetto al 2019. Anche le importazioni dalla Germania sono cresciute nel 2020 dell’1,8% (6% il peso sul totale). “Tra gennaio e ottobre dello scorso anno l’import di moda si è mantenuto su livelli lievemente inferiori rispetto allo stesso periodo del 2020 (-1,7%) ma il divario è ancora ampio rispetto ai primi dieci mesi del 2019 (-8,9%)”, riporta l’analisi di Sace. Tale flessione rispetto all’anno precedente è ascrivibile all’andamento di “altri prodotti tessili”, tornati sul sentiero di crescita pre-crisi dopo la performance eccezionale del 2020, a fronte del ritorno all’espansione di pressoché tutti gli altri comparti.

Esportazioni: crollo vertiginoso e risalita

Le esportazioni della moda made in Italy ha subito un brusco rispetto all’anno precedente: il valore si è ridotto del 18,5% a quasi 47 miliardi di euro, ben 10,6 miliardi di euro in meno. Tale andamento ha riguardato tutti i comparti del fashion. “L’abbigliamento è la prima componente delle esportazioni del settore rappresentando nel 2020 poco più di un terzo del valore complessivo, nonostante la diminuzione del 16,7%. Segue la valigeria e pelletteria con un peso del 21% circa, dopo che le vendite oltreconfine hanno subìto un calo del 23,8%. Le calzature, terzo comparto, rappresentano il 19% peso sul settore, con un export in flessione del 15,8% sul 2019”. Sostenuti segnali di ripresa si sono avuto nei primi dieci mesi del 2021 segnando un +16,4% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. “Nonostante ciò, il divario con i livelli pre-crisi è ancora ampio (-6,6%) seppure con alcune differenze: tessuti, abbigliamento in pelliccia e pelletteria e valigeria rimangono più indietro rispetto agli articoli di maglieria e alle calzature, che beneficiano infatti dell’impulso delle griffe internazionali del lusso; l’export di altri prodotti tessili, invece, è l’unico comparto ad aver già superato i livelli del 2019”. I dati del 2021 indicano esportazioni in ripresa, molto bene le vendite verso Cina, Corea del Sud e Polonia, che dopo essere riuscite a contenere le perdite nel 2020, sono cresciute a ritmi elevati nei primi dieci mesi dello scorso anno. In Cina si osserva una crescente richiesta di articoli di lusso, anche Made in Italy, e anche i consumatori sudcoreani stanno sviluppando un gusto per i capi alla moda.

La ripresa del 2021

Secondo l’indagine di Banca d’Italia “Sondaggio congiunturale sulle imprese industriali e dei servizi” nel 2021 è partita la ripresa del settore moda. Nei primi nove mesi del 2021 il 70% delle imprese industriali e, in misura minore, il 60% di quelle del fashion (tessile, abbigliamento, pelli e calzature) ha registrato un aumento (variabile da +1,5% a oltre +25%) del fatturato rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. “Questo dato conferma il quadro già delineato sopra di maggior difficoltà della moda, rispetto ad altri settori, a recuperare appieno quanto perso con lo scoppio della pandemia. Analogamente, quasi tre imprese del settore su quattro prevedono di chiudere l’esercizio 2021 con un pareggio o utile di bilancio, contro circa il 90% di quelle industriali in senso stretto”. Inoltre solamente il 41% delle imprese del settore si aspetta di tornare ai livelli di attività pre-crisi entro la fine del 2021 (contro il 72% delle imprese dell’industria in senso stretto).

Le ricadute sull’occupazione

La ripresa del settore non ha avuto impatti sull’occupazione anche se c’è qualche segnale incoraggiante. Nei primi 9 mesi del 2021 il numero delle ore lavorate è stato maggiore per il 63%, “dato in linea con quello delle imprese dell’industria in senso stretto (65%)”.  Questi numeri, però, non si sono tradotti in una maggiore occupazione. Soltanto il 28% delle imprese della moda, contro 39% dell’industria, prevede un’occupazione nel 2021 più elevata di quella registrata durante l’anno precedente; il 40% si attende un dato stabile e il restante 32% prospetta livelli occupazionali più bassi.

Le sfide per il settore: digitalizzazione e sostenibilità

Nei prossimi anni il settore moda dovrà affrontare due rivoluzioni. La prima riguarda la sostenibilità, prima di tutto ambientale. L’industria della moda è responsabile di circa il 10% delle emissioni globali, utilizza una vasta quantità di acqua per la coltivazione di cotone e altre fibre tessili ed è uno dei maggiori responsabili della dispersione di microplastiche negli oceani. A questo va aggiunto che le abitudini dei consumatori hanno virato verso il fast fashio: ogni anno ogni cittadino europeo acquista 26 kg di prodotti tessili e ne smaltisce circa 11 kg (l’87% dei quali è incenerito o portato in discarica). All’interno del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) è stato fissato al 100% il target di recupero dei prodotti tessili da raggiungere tramite i cosiddetti “Textile Hub”, nuovi impianti dedicati al riciclo di questi materiali.

Digitalizzazione: il lascito della pandemia

L’impulso alla digitalizzazione è uno dei lasciti positivi della pandemia. Le imprese hanno dovuto reagire velocemente trovando nuove soluzioni per raggiungere la propria clientela. “L’e-commerce assumerà un ruolo sempre più rilevante nelle scelte di acquisto dei consumatori e diventerà quindi essenziale predisporre innovative piattaforme di vendita online per intercettare anche le esigenze e i gusti delle nuove generazioni sia sul mercato domestico sia su quello estero. In questo senso, i social media e le applicazioni di messaggistica stanno diventando importanti mezzi per influenzare e direzionare le preferenze dei clienti, non solo come strumento pubblicitario ma anche per lo shopping online”.  A questo si aggiungerà il livestream commerce, un fenomeno molto diffuso in in Cina, che consiste nell’utilizzo di piattaforme per sessioni di shopping online in diretta tramite cui si possono vendere e pubblicizzare i propri prodotti. I vantaggi della digitalizzazione non riguardano solo la vendita al consumatore finale ma investono tutta la catena del valore. “L’applicazione di avanzate tecnologie dell’industria 4.0 aiuterebbe le imprese manifatturiere a diminuire i costi di produzione, il time-to-market, ovvero il lasso di tempo che intercorre fra l’ideazione e la commercializzazione di un prodotto, e i rifiuti generati”.

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