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Il debito di Roma capitale sarà digerito dallo Stato. Il commento di Polillo sull’annuncio del sindaco Raggi

Il sindaco di Roma, Virginia Raggi, e il viceministro dell'Economia, Laura Castelli, hanno annunciato: il debito romano di 12 miliardi sarà riassorbito nel grande calderone dello Stato centrale. Operazione destinata ad avere più di uno strascico. L'analisi di Gianfranco Polillo, già sottosegretario al Tesoro

 

Quando fu varata l’ultima legge di bilancio, che consentiva ai singoli comuni di aumentare le addizionali d’imposta, in precedenza congelate, i romani tirarono un sospiro di sollievo. Per loro quella norma, che in genere avrebbe comportato un aumento del prelievo fiscale, non avrebbe trovato applicazione. Non perché vi fosse stata una deroga esplicita, ma solo perché le addizionali della Capitale (comunali e regionali) erano da tempo anche oltre il massimo consentito. Per il Comune, in particolare, l’addizionale era pari allo 0,9 per cento dell’imponibile: 0,8 l’aliquota massima per il resto degli italiani. Uno 0,1 per cento in più dovuto alla necessità di contribuire al risanamento del debito pregresso. Quello storico, che affondava le sue radici nella notte dei tempi, e quello più recente: cresciuto con l’alba del Terzo millennio. Fino a raggiungere la cifra di 12 miliardi. Quindi congelato in una sorta di bad company, affidata alle cure di vari amministratori che si erano succeduti nel tempo: da Massimo Varazzani, a Domenico Oriani e, infine, Silvia Scozzese. Per poi essere riportato direttamente sotto la responsabilità dell’Amministrazione comunale.

Oggi Virginia Raggi e Laura Castelli, rispettivamente sindaco della Capitale e Vice Ministro dell’Economia, hanno annunciato la lieta novella. Quel debito non vi sarà più: cancellato con un tratto di penna. Riassorbito nel grande calderone dello Stato centrale. Del resto che volete che siano 12 miliardi, rispetto ai 2.358,008 miliardi, certificati nel gennaio 2019 dalla Banca d’Italia? Operazione destinata ad avere più di uno strascico. Non tutti, infatti, hanno digerito l’ultimo regalo contenuto nella stessa legge di bilancio, di cui si è detto in precedenza. Nelle pieghe di quei 1.143 commi, senza contare gli articoli relativi agli stati di previsione dei singoli ministeri, c’era una norma che consentiva al Comune di Roma di scaricare circa 1 miliardo di euro di debito sull’ex gestione commissariale. Sgravando, di conseguenza, il bilancio d’esercizio che, altrimenti sarebbe saltato per aria. Piccoli magheggi dell’alleanza giallo-verde.

Cose del passato: destinate a finire in cavalleria, grazie alla nuova disciplina che sarà sfornata nel provvedimento che proprio oggi il Consiglio dei ministri si appresta a varare. La cui latitudine, per la verità, visti i contrasti con il Ministro dell’Economia, Giovanni Tria, è tutta da verificare. Comunque sia, nella conferenza stampa, indetta dalle due esponenti dei 5 stelle, l’annuncio è stato inequivocabile: nel 2021 – è stato detto – la gestione commissariale chiuderà definitivamente. E consentirà di “mettere in sicurezza i conti da qui al 2048”, liberando “risorse per 2,5 miliardi”. Operazione che, a sua volta, sempre da quella data, renderà possibile “se tutto procede da programma, di ridurre l’Irpef. I romani pagano l’Irpef più alta di Italia e inizieremo a ridurla. Si inverte la rotta”. Manifestazioni di giubilo.

Dal punto di vista degli abitanti della Capitale, complice anche il clima elettorale, l’operazione non può che essere accolta con favore. Altro discorso è, invece, se questa nuova promessa, procrastinata al 2021, inciderà sulle intenzioni di voto, compensando il malessere profondo che si respira nella Città eterna. E’, comunque, una scelta che mette la parola fine ad una situazione sempre più kafkiana. Come quella che si era registrata soprattutto negli anni precedenti, quando gli stessi rapporti tra la Gestione commissariale e l’Amministrazione comunale raggiungevano, spesso, il calor bianco tra accuse reciproche, conti che non tornavano, ripicche ed incomprensioni.

Nei prossimi anni tutto sarà ricomposto nel ventre molle dello Stato italiano. Cesserà di esistere la struttura che fa capo alla presidenza del Consiglio dei Ministri e che era stata istituita per definire e rimborsare i debiti contratti dal Comune di Roma fino al 28 aprile 2008. Ma che poi una gestione, a dir poco opaca, ha progressivamente dilatato, come si è visto a proposito dell’ultimo miliardo. Verrà quindi smantellata la struttura finanziaria che sorreggeva il vecchio piano d’ammortamento: 500 milioni all’anno fino al 2048. Diverse generazioni non solo di romani coinvolte. La quota era infatti suddivisa: 300 milioni a carico dell’Erario e quindi di tutti gli italiani, 200 gravanti prevalentemente sulle tasche dei romani (doppia gogna per questi ultimi: come italiani e romani), ottenuti con l’aumento dello 0,1 per cento sul massimo dell’addizionale Irpef. Milano, tanto per avere un termine di paragone, ha anch’essa una aliquota pari allo 0,8 per cento. Ma sono esentati gli imponibili fino a 21 mila euro l’anno. L’ultimo balzello era infine dato dalla tassa sugli imbarchi negli aeroporti romani: pari ad 1 euro per ogni viaggiatore.

Secondo Virginia Raggi, tutto questo sparirà. Lo Stato si riprenderà i 300 milioni insieme al debito. I conti torneranno in sicurezza, potendo lo Stato far fronte alla principale preoccupazione degli analisti romani: quel maxi-Boc (un bond del comune) emesso del 2004 che oggi pesa per 3,6 miliardi tra interessi (2,2 miliardi, con un tasso superiore al 5%) e capitale (1,4 miliardi) da pagare in un’unica soluzione alla scadenza del 2048. Per onorare il quale era necessario predisporre specifici accantonamenti, di cui non esiste traccia. Forse i romani risparmieranno almeno una parte di quei 200 milioni all’anno, insieme ai viaggiatori di tutto il mondo. Ancora una speranza, più che una certezza. La stessa Sindaca ha messo le mani avanti: se tutto dovesse procedere “da programma”, ha tenuto a precisare. E a partire dal 2021, non si può fare a meno di sottolineare. Distanze che, nella politica romana, possono divenire siderali.

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