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Contributi Pubblici Quotidiani

I giornali italiani sono anti-italiani?

Come i giornali stanno seguendo le azioni del governo Conte secondo il notista politico Francesco Damato

 

Come annebbiati e intossicati dai fumi, dai rumori, dai lapilli e dalle colate di lava dello Stromboli, dove vi assicuro che l’odiato ministro dell’Interno Matteo Salvini non ci ha messo nulla di suo per provocare e svegliare il vulcano e godersi la paura di abitanti, turisti e quant’altri, i giornali italiani sono stati presi letteralmente dal panico e da un’ondata non dico di antipatriottismo, essendo ormai il patriottismo scambiato per un difetto e non per una virtù, ma di disfattismo sicuramente.

Il fatto che anche nella sua nuova edizione, uscita dalle urne del 26 maggio, il Parlamento europeo abbia un presidente italiano, David Sassoli al posto di Antonio Tajani, entrambi peraltro approdati alla politica dal giornalismo attivo, non figurato o immaginario, e quindi anche per questo meritevoli forse di un supplemento di attenzione per chi se ne occupa scrivendo o parlando davanti a una telecamera o solo a un microfono, è apparso generalmente un’inezia al cosiddetto sistema mediatico.

È apparso anzi un infortunio rispetto alla decadenza o irrilevanza decisa chissà da chi a tavolino contro la solita Italia imbelle, rissosa, instabile e adesso addirittura sovranista. E già si scrive e si parla-  chi in odio al governo in carica e chi in odio alle opposizioni troppo preconcette e capaci delle manovre e delle congiure peggiori per accentuare le difficoltà della maggioranza gialloverde – della inevitabile irrilevanza del posto, anzi dello strapuntino, che sarà destinato all’Italia nella nuova Commissione Europea.

Ma lo spettacolo, chiamiamolo così, più stravagante, diciamo pure più disfattista, senza timore di esagerare, lo ha dato, volente o nolente, l’ormai solita Repubblica di carta col titolo dedicato su tutta la prima pagina, a parte l’angolino dedicato a Stromboli, alla rinuncia della Commissione uscente di Bruxelles alla procedura d’infrazione per debito eccessivo messa in cantiere, peraltro con assai sospetto tempismo, contro il governo italiano. Che si è difeso rifacendo e riassestando i conti con tanto di deliberazione del Consiglio dei Ministri e di “scudo”, come lo si è definito da più parti, del presidente della Repubblica in persona, Sergio Mattarella. Ebbene, “l’Italia la scampa”, hanno titolato nel giornale fondato da Eugenio Scalfari e ora diretto da Carlo Verdelli, dove non vorrei che fosse stato assunto come titolista o consulente di prestigio il notissimo e giustamente temutissimo magistrato Piercamillo Davigo, peraltro cresciuto assai di peso in questo periodo con la sua pur modesta corrente per le disgrazie nelle quali sono incorse le altre nel plenum e nelle commissioni dell’organismo di autogoverno delle toghe, travolto dallo scandalo di un sostanziale mercanteggiamento di promozioni e uffici.

È stato proprio Davigo -l’omologo come “dottor Sottile” in campo giudiziario di quello che è stato per tanti anni in campo politico l’attuale giudice costituzionale Giuliano Amato per preparazione professionale, cultura e finezza di ragionamento-  a voler diventare famoso nei salotti televisivi e nei convegni come una specie di stracciasentenze di assoluzione. Che sarebbero solo sentenze di fortuita e disgraziata mancanza di condanna: una specie di uscita dell’imputato dal processo per il rotto della cuffia, con la conseguenza peraltro di esonerare il giudice che lo avesse in un altro grado precedente condannato, e lasciato per un bel po’ in carcere, dall’obbligo delle scuse. Non parlo del risarcimento perché questo è di per sé già difficile di suo grazie a leggi che hanno clamorosamente disatteso nella sostanza, complicandone al massimo il meccanismo, l’obbligo della responsabilità civile dei magistrati sancito a larghissima maggioranza dagli elettori nel referendum dell’ormai lontano 1987.

Sarà rimasto male per il titolo culturalmente davighiano della Repubblica di carta Giuseppe Conte in qualità sia di presidente del Consiglio, che ha condotto personalmente col ministro dell’Economia Giovanni Tria il confronto-processo con la Commissione uscente di Bruxelles, sia di professore di diritto sia di avvocato del popolo, come gli piacque definirsi insediandosi l’anno scorso a Palazzo Chigi e chiedendo la fiducia alle Camere.

Sino al recente vertice mondiale a Osaka, in Giappone, il povero Conte si mostrava preoccupato solo che i giornali nel solito esercizio di “anti-italianismo” riferissero al momento giusto solo di un congelamento o di un rinvio della procedura europea di infrazione per debito eccessivo. Non immaginava, poveretto, di poter finire sui giornali come l’ennesimo, il solito colpevole sfuggito per caso, o per chissà quali misteriose ragioni o contropartite, ad una condanna dovuta, meritatissima: e ciò in perfetto stile giustizialista – come si dice generalmente, sia pure fra le proteste degli interessati- di magistrati e giuristi come Davigo, peraltro a lungo apprezzati fra e dai grillini, almeno sino a ieri, tanto da essere stati corteggiati come ministri della Giustizia in eventuali e ora diventati assai improbabili governi monocolori a cinque stelle, da quando si sono rovesciati nelle urne i rapporti di forza fra loro e i leghisti di un Salvini incontenibile -da Agrigento in su- nelle sue difese e offensive. Cui forse riuscirà il miracolo, fallito per tante ragioni nelle mani di Silvio Berlusconi e poi della sinistra, di riformare finalmente la Giustizia, non foss’altro per restituirle la maiuscola perduta per strada negli ultimi trent’anni, a dir poco.

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