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Banche Dividendi

I dividendi servono ai vertici delle banche anche per consolidare il potere dei capi azienda

Effetti diretti e indiretti del via libera della Bce sul pagamento dei dividendi agli azionisti delle banche. L'intervento di Lando Maria Sileoni, segretario generale Fabi

 

Con il via libera della Bce, le banche potranno pagare dividendi agli azionisti per circa 20 miliardi di euro.

Sarà l’occasione per consolidare il potere di molti amministratori delegati che ricoprono ruoli importanti e che sono strettamente vincolati da questa situazione: più è alto il dividendo che distribuiscono agli azionisti, più tempo rimangono a guidare l’azienda con ingaggi importanti.

Tutto il resto è propaganda, compresa la smania di apparire come i guardiani del tempio dell’economia e anche della politica.

Si intrecciano, spesso, situazioni personali, ambizioni, ipocrisie e tutto, poi, si riconduce ad arricchire principalmente quei fondi azionisti che permettono, conseguentemente, ad alcuni amministratori delegati, di fare il bello e il cattivo tempo.

Quello che conta è la distribuzione di dividendi alti in cambio di una gestione, la più libera possibile, della propria azienda. I piani industriali, le riorganizzazioni aziendali, le aggregazioni e le fusioni vengono sempre gestite dai vertici delle banche, con un occhio al mercato e un occhio alle proprie tasche.

Se questo meccanismo non tagliasse posti di lavoro, ma garantisse anche nuova occupazione non avremmo niente da dire. Il problema è che in alcuni casi si licenzia o si riduce il personale soltanto perché più distruggi posti di lavoro, più raggiungi gli obiettivi del piano industriale e quindi maggiori guadagni personali.

Tanto è vero che quasi sempre il raggiungimento degli obiettivi dei piani industriali è legato, contrattualmente, ad importanti aumenti economici degli amministratori delegati.

C’è poi un altro tema rilevante in questi giorni. Quello delle nuove norme dell’Autorità bancaria europea sui crediti delle banche verso le imprese. La responsabilità è tutta politica perché quando l’Eba, scelleratamente, ha preso la decisione di introdurre regole più severe sul credito alle imprese, anzitutto non c’è stata una comunicazione immediata e seria nei confronti del sistema economico del nostro Paese.

Poi va detto che l’unico che si opposto concretamente è stato il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, che ha fatto una battaglia utilizzando argomenti molto forti. Ma il problema è che nessuno ha avuto il coraggio di contrastare l’Eba, quattro anni e mezzo fa, nessuno ha reagito.

Le associazioni di categoria, delle imprese, avrebbero dovuto prendere una posizione di dissenso. Quello che è mancato è stato proprio il dissenso.

Io non parteggio per alcun partito, ma devo dire che, ad esempio, sulle norme che vietano i conti in rosso, solo Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia, nel silenzio più assoluto, ha preso una posizione concreta. Il mio auspicio è che tutti i partiti e tutte le associazioni di categoria si facciano carico di questa situazione: è arrivato il momento di cambiare queste regole dell’Autorità bancaria europea.

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