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Voucher Lavoro

I dati Istat sull’occupazione smentiscono gli ideologismi del sindacato

Che cosa mostrano gli ultimi dati Istat sul lavoro. L'analisi di Claudio Negro della Fondazione Kuliscioff

 

Non c’è moltissimo da dire sui dati occupazionali diffusi il 2 maggio dall’Istat per il mese di marzo, che confermano una crescita moderata ma costante degli indicatori non solo degli occupati ma, per una volta, anche simultaneamente del tasso di partecipazione al mercato del lavoro: diminuiscono i disoccupati, cioè coloro che cercano lavoro ma non lo trovano, e contestualmente diminuiscono gli inattivi, cioè coloro che non lavorano e non lo cercano.

Di norma questi due indicatori hanno segni contrapposti: il fatto che entrambi abbiano segno meno indica un mercato del lavoro in ripresa abbastanza solida: più persone cercano lavoro, e lo trovano.

Altro dato notevole, cresce l’occupazione femminile: +0,5% rispetto a febbraio e addirittura +2,9% rispetto ad un anno fa, contro rispettivamente +0,1% e 2,6% per l’occupazione maschile; il che significa che anche l’occupazione femminile torna alle posizioni pre Covid, anche se in tempi più lunghi rispetto a quella maschile.

Decisamente rimarcabile, e non scontato, il fatto che il saldo occupazionale degli impieghi a tempo indeterminato sia molto superiore a quello dei contratti a termine: +103.000 contro + 19.000.

Importante poi a livello simbolico il fatto che il tasso d’occupazione totale sfiori il 60%, record assoluto dal 2004!

Tutto ciò è certamente positivo ma non particolarmente sorprendente, poiché, come detto, conferma una tendenza che era visibilmente in atto. Piuttosto è sorprendente che di ciò faccia fatica ad accorgersi il sindacato, che ancora in occasione del recente 1° Maggio ha dipinto nei comizi e nelle interviste un mondo del lavoro stravolto dalla disoccupazione, guastato dalla precarietà, avvilito da salari da fame (ma chi li ha contrattati..?).

È molto difficile capire il perché il sindacato anziché descrivere con sobrietà e realismo i problemi esistenti e indicare soluzioni praticabili, a partire dal problema del potere d’acquisto dei salari che con ogni evidenza richiede una soluzione di natura concertativa piuttosto che rivendicativa, preferisca dipingere una situazione connotata da miseria e disperazione sociale per invocare contromisure di segno fortemente palingenetico.

Facciamo solo notare che una lettura della realtà che prescinda dai dati concreti e noti si definisce arbitraria e/o ideologica (o preferiamo dottrinaria?). Nulla a che fare, in ogni caso, con il pragmatismo empirista al quale i sindacati europei, compresi ovviamente quelli italiani, devono le loro conquiste degli ultimi decenni.

Naturalmente questa è una fotografia della realtà odierna che lascia inalterate le preoccupazioni delle conseguenze di un ulteriore aggravamento della situazione internazionale.

Ma sono proprio queste incognite che, sulla base di un’analisi attenta delle fragilità strutturali del nostro paese, dovrebbero imporre a tutto il mondo del lavoro un esame attento della situazione e un progetto comune innovativo per difendere la coesione sociale e la tenuta del nostro sistema economico nel quadro dei nuovi equilibri che si vanno delineando a livello mondiale.

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