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Cosa dice e cosa non dice Giavazzi

Novità, contraddizioni e omissioni nell'ultimo sermone dell'economista Francesco Giavazzi sul Corriere della sera. Il corsivo di Liturri

In un Paese di gente distratta per fortuna arrivano con una certa frequenza i sermoni del professor Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera a ricordarci le vere priorità del Paese e le soluzioni che sono là a portata di mano. Ieri il menù prevedeva il tema dei salari bassi in Italia e come risolverlo.

Prima di tutto bisogna partire da una questione di metodo. Che deve essere quello del PNRR e che, a detta del Nostro, sta dando ottima prova di sé. Dalla riduzione dei tempi della giustizia civile e penale (Giavazzi sciorina dei dati attestanti risultati miracolosi, ma vi invitiamo a sentire un qualsiasi avvocato per avere opinioni almeno discordanti) alla riduzione delle stazioni appaltanti, all’organizzazione del servizio idrico in Calabria (non è una battuta…).

Un impeto riformista che esplicherà i propri effetti anche oltre il 2026, quando l’effetto degli investimenti sulla crescita si sarà azzerato.

Il problema, a suo dire, è che sfortunatamente di questo metodo non c’è traccia quando si parla di salari, dove l’Italia è sempre in coda, sia per il livello che per la dinamica dei salari reali. Salari di qualità possono essere generati solo con lavoro di qualità che in Italia manca (udite, udite…) perché abbiamo imprese troppo piccole, che non investono e non fanno ricerca. Il solito luogo comune del “nanismo” da sempre molto caro agli “offertisti” da Zingales in avanti.

Poi non manca anche il tema della scarsa crescita di nuove imprese, per incentivare la quale ci vorrebbero più investimenti, soprattutto in capitale umano, in modo da migliorare la produttività. E come li facciamo questi investimenti? Col debito pubblico! Che ci vuole! E non deve farci desistere da questo nobile proposito il fatto che la Ue intende costringerci ad almeno 7 anni di consolidamento fiscale. Perché, Signora mia, “il mondo è cambiato” ci sono la Russia e la Cina e nel 2050 rischiamo di ritrovarci col debito/Pil sotto il 60% ma in un Paese desertificato.

Come al solito, Giavazzi non è nemmeno sfiorato dal dubbio che in un Paese che appartiene ad un’area il cui modello di sviluppo è solo fatto di energia a basso costo (fino al 2021) esportazioni e contenimento della domanda interna (privata e pubblica), la svalutazione salariale è l’unica leva competitiva azionabile. Produrre di più al più basso costo e consumare di meno, fino a quando si trova qualcuno all’estero disposto a comprare le nostre merci. Ma Giavazzi dimentica di aggiungere che proprio chi vuole fare investimenti col debito pubblico dovrebbe uscire dall’euro o almeno dire che il Patto di Stabilità va gettato al macero (che equivale a voler rompere l’eurozona). Ma questo non può dirlo. Almeno per ora.

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